Operosità e impegno degli italiani in Eritrea

SULLA STRADA DI MAI HABAR

 

Si vedono, passando di sera sulla strada di Mai Habar, molti “fanus” accesi, in una concessione a sinistra, un poco prima del passo Berredà.

Quei lumi mi avevano incuriosito, ed un giorno, passando in auto con un amico mi fermai, e sceso per una corta rampa nel fiume, mi presentai all’ingresso dell’azienda. Rimossa una sbarra chiusa, proseguiamo per una larga pista e passati sotto un gigantesco sicomoro, sbuchiamo per una breve salita davanti alla casa d’abitazione, tra numerose file di gabbie che a tutta prima avevo preso per alveari.

Ci viene incontro un signore con gli occhiali che con la franca cordialità del gentiluomo campagnolo ci dà il benvenuti a Santa Teresa (cosi si chiama l’azienda).

Cominciamo a girare. Per un viale ombreggiato da un filare di limoni ci inoltriamo in un agrumeto, in cui aranci e mandarini sembrano tanti mazzi di palle gialle con un lungo gambo piantato in terra. Da un lato corre adagiata al suolo una grossa tubazione che, ci spiega la nostra guida, conduce l’acqua di irrigazione pompata da un pozzo, scavato nella roccia, molte centinaia di metri più avanti.

Proseguiamo tra grandi alberi di casimiro, filari di vite, alberi di annona, alberi di mele, cedri, ed ogni ben di Dio, e giungiamo al pozzo. E’ a forma di L ed è così vasto e profondo che ci si potrebbe nuotare nelle sue acque verdine popolate di numerosi pesci. Un gruppo motopompa su una base di cemento aspira senza posa, regolare come un orologio, la linfa vitale senza la quale non sarebbe possibile questo miracolo di verde, nell’arido paesaggio fuori dell’azienda. Noto che la sistemazione del terreno è tutta a terrazzamenti come usano i liguri sui loro impervi monti, ricavata dal fianco aspro e sassoso delle ultime propaggini in basso, di un monte che ci sovrasta. Torniamo indietro e passando dietro la casa di abitazione vediamo il locale adibito a laboratorio, dove vengono fatte ed eseguite tutte le riparazioni ed i lavori necessari all’azienda e dove vengono costruite le gabbie che albergano i conigli dell’allevamento.   

La terra dell’azienda è stata divisa in due distinte sezioni. Da un lato agrumeto e piante da frutto, dall’altro uno splendido vigneto. Mentre lo visitiamo, la nostra guida ci dice che questo è un vigneto ricostruito, poiché nei passati tempi del banditismo politico fu distrutto ed il bestiame dei nativi pascolava indisturbato nell’azienda con grave danno sia delle culture che delle sistemazioni.

Torniamo verso casa e addossato al muro d’una piccola costruzione quadrata vedo certe caldaie che mi incuriosiscono. Il nostro ospite ci spiega che sono caldaie per la fabbricazione di marmellate di agrumi, che nelle annate di basso prezzo di mercato, egli produce in azienda e vende risolvendo così in beneficio il danno. Entriamo nella costruzione quadrata. E’ l’ufficio dell’azienda. Una vetrata frontale, sotto ad essa un lungo tavolo, con su dei disegni tecnici, fiale, provette densimetri, uno strumento geodetico, e molte altre cose in un ordinato disordine si presentano ai nostri sguardi. Scaffali di libri con vecchie rare edizioni in lingue morte ci danno un’idea della coltura di questo disorientante agricoltore. Su una piccola scrivania, una macchina da scrivere con infilato nel rullo uno scritto in gestazione. Un’occhiata indiscreta: parla di filosofia religiosa...

Un modesto schedario attira la mia attenzione. E’ l’anagrafe allevamento angora, quelle gabbie che mi parevano alveari.

Il nostro ospite ci spiega con grande semplicità e termini assai chiari e comprensivi l’applicazione della legge di Mendel nell’allevamento cunicolo sia dal lato genetico che da quello ‘industriale’ per la produzione della lana. Ci mostra numerosi diagrammi e in un libro che toglie da uno scaffale ci fa vedere a maggior chiarimento delle sue spiegazioni, molte sezioni al microscopio di lane e di peli diversi. Vengo così a sapere certe cose che non avrei mai immaginato. Ad esempio che la lana del coniglio angora per la sua speciale struttura e per altri motivi è ‘elettrogenetica’ e comportandosi come un vero condensatore elettrico, conferisce agli indumenti intimi fatti con essa, la proprietà di mantenere il Ph del sangue in limiti normali ogni volta che le variazioni esterne tendono ad alterarlo. Di qui comprendo il valore antireumatico ed antiradioattivo di tale lana.

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 Mai Habar – Papà Oxialia e la figlia Celina sotto un favoloso

albero di cedro.

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 Mai Habar – L’allevamento Mantillà dei conigli d’angora cresce.

 

Siamo adesso fuori all’ombra di un boschetto di fichi neri, seduti ad una tavola rustica. Una giovane nativa viene a portarci un poco di ‘lubrificante’ come dice il padrone di casa. Si tratta di un ottimo vinetto bianco che va giù come l’acqua e lascia la bocca fresca. A noi pare un eccellente vino italiano. “Mi dispiace di dar loro una disillusione”, dice il nostro ospite, “è soltanto vino del vigneto che loro hanno visto poco fa”. Noi restiamo di gesso. A quanto pare le sorprese non sono finite. “lo sono il primo che ha piantato il vigneto nella valle di Mai-Habar, prosegue il nostro ospite – e sono anche il primo che ha ottenuto un vino che non ha niente da invidiare ai migliori vini italiani. Ma, dice il mio amico, credevo che in Eritrea non si potesse far vino con l’uva locale, così si sente dire. Già - risponde il padrone di casa, piantate vite da vino nella località adatta, datele la cura che richiede, ed il Buon Dio vi aiuterà assai più presto che da noi in Italia.

Un ragazzino abissino viene a portare via i bicchieri. Mosè salvato dalle acque, dice il nostro ospite. Io lo guardo interrogativamente. Questo - continua - è il ragazzino che un anno fa durante l’ultima incursione di scifta, erano ventisei, che ebbi a patire,doveva essere scannato come un capretto. I gentiluomini di cui sopra volevano portarsi via la madre per i loro minuti piaceri, ed il bimbo avrebbe costituito un impaccio nella marcia su per i monti... lo e l’amico ci guardiamo in faccia.

Ci alziamo da tavola. Le gabbie dei conigli si allineano in fila e non si può fare a meno di notare la pulizia e l’ordine che vi regna. Non è merito mio dice l’ospite, è la risultante di un sistema. Come lei vede, in ogni gabbia vi è un solo esemplare. Questo mantiene l’animale sempre lindo. Il fondo della gabbia, il pavimento per dir meglio, è una specie di rete di acciaio zincato, che pur permettendo alle deiezioni di cascare immediatamente di sotto, impedisce l’ingresso ai piccoli animaletti, ed è tanto solida da non poter essere stracciata da eventuali animali da preda. E’ per evitare gli animali notturni che tengo i cani e tutti i ‘fanus’ accesi che la hanno incuriosita. Le gabbie delle fattrici sono più spaziose per via della prole, e sono completamente smontabili per una accurata pulizia e disinfezione di ogni figliata. Il sistema della gabbia unica individuale, permette un perfetto isolamento sanitario, ed una rapida pulizia mattiniera. Infatti una donna e un ragazzo puliscono e danno da mangiare, in due ore a duecento bestie, compreso il tempo dell’asportazione della lettiera in concimaia.

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 Mai Habar – È il piccolo Tesai che vandemmia

 

 Entriamo nella casa di abitazione. In una stanza una donna abissina pettina su un tavolo un coniglio. Con uno speciale pettine metallico, passa sui fianchi, sul dorso, sul ventre dell’animale, ed ad ogni passata rimane nei denti del pettine della lana. E quella al giusto punto di maturazione e di lunghezza. Palpo la lana accumulata ai piedi della donna in una scatola di cartone e ne riporto una straordinaria sensazione che non so definire. E’ morbida, pastosa, elastica; ha qualcosa in sé che non ha l’eguale in nessun’altra materia tessile, qualcosa di indeterminabile....

Il nostro ospite trae da un cassetto una manciata di bobine. Sono piene di lana filata. A un capo a due capi a tre capi. Filatura a mano, spiega l’ospite, con speciali teste elettriche di mio disegno, che se lei verrà da me in Asmara le farò vedere. Dallo stesso cassetto trae dei campioni di stoffa. Tessuto a telaio, di lana d’angora, con lana dei conigli che loro hanno visto. Dice con semplicità! A giorni produrrò la prima stoffa alta 140 su telaio a mano disegnato da me e appositamente costruito. Sarà la prima stoffa angora prodotta in Eritrea! E dal mio allevamento.

Vedono quello spazio la in fondo? ed indica dalla finestra aperta. Là avrebbe dovuto sorgere un vero e proprio stabilimento industriale con apposito macchinario venuto dall’Italia, quando ci fu fatto balenare il raggio del finanziamento I.C.L.E. E tutta la valle di Mai-Habar avrebbe avuto un onesto lavoro. Ma già - aggiunse con ironia - siamo in Africa e la Fata Morgana è di prammatica! Noi dobbiamo soltanto tener duro! Cornuti e bastonati.

La difficoltà più grande, continua tornando alla lana, è stata quella della tintura. I normali coloranti da lana non sono adatti, sia per le temperature di tinta, sia per il fissaggio. La lana usciva dal bagno rovinata e la tinta non presentava le caratteristiche necessarie di solidità e di brillantezza. Con la comprensiva volenterosa collaborazione della più perfetta industria germanica anche questo scoglio è stato brillantemente superato, con nuovi coloranti creati appositamente.

Usciamo fuori. Ad una estremità dello spazio prospiciente, un gruppetto di umanità sofferente, attende con pazienza avvolta nei suoi stracci. “La solita razione giornaliera di malati - dice il padrone di casa -. Per un raggio di dieci chilometri, qui attorno, gli indigeni, cristani o musulmani, vengono da me a farsi curare. Chi ha il dente da farsi togliere, e chi ha la piaga purulenta, e chi si è rotto la testa, e là vi è la donna che non ha le regole, e quella che mi porta il figlio piccolo che da tre giorni non fa la cacca... E come sorbetto finale di tanto in tanto vengono a prendermi con il muletto o il cammello per portarmi alle loro capanne su per i monti, perché la loro donna stenta a partorire... Per fortuna ho amici medici che di tanto in tanto mi istruiscono, ma ho dovuto comprarmi strumenti e libri di anatomia e medicina e mettermi a studiare per essere “all’altezza”... E non posso rifiutarmi. Se lo facessi crederebbero che non vogliamo aiutarli. Per loro io sono l’uomo bianco. L’uomo bianco sa tutto. E spesso io non so che pesci prendere e resto tormentato per lungo tempo. Fin’ora - continua a dire - il

Signore mi ha aiutato, i “miei malati” guariscono ed io non voglio crearmi dei nemici e li curo. Tutto questo - mi dice con un pallido sorriso - mi costa denaro per le medicine, preoccupazioni, tempo, ed una grande forza d’animo. L’unico vantaggio che ne traggo è che i paesani mi rispettano grandemente, e spesso sento dire “soltanto gli italiani sono così buoni”, e questa è la mia unica soddisfazione”.

Imbrunisce. Il tempo è volato e non ce ne vorremmo andare mai, e per il nostro ospite e per il posto che è veramente bello.

Quando ci salutiamo, il nostro ospite ci dice: «Oh scusino, non mi sono neanche presentato. Mi chiamo Oxilia». E ci lascia per recarsi dai “suoi malati”. Comprendiamo adesso qual è lo spirito dei pionieri e dei missionari.

Oscar Rampone

(Mai Taclì N. 3-1983)