1962: Ghinda, Buon Respiro, mattina

 

Abbiamo deciso di passare la domenica a Ghinda, al Buon Respiro dove si “respira” (semmai ce ne fosse bisogno venendo da Asmara! n.d.oggi) aria sana, balsamica, trasparente, aria profumata di ginepri,, di oleandri fioriti in ogni tempo, di aranceti dalle concessioni, che in questa conca bagnata due volte all’anno dalle piogge – quelle invernali del bassopiano e quelle estive dell’alto  -  non smettono mai di odorare.

E al “Buon Respiro” c’è anche la signora Maria: è di una simpatia impareggiabile, accoglie ogni cliente – che sosti per uno spuntino ( pane e frittata!) mentre transita verso Massaia o si fermi per un pranzo – con calore, lo fa sentire a casa, lo “coccola” ecco. E poi – o è una suggestione, il desiderio di essere lì? - ,a tratti anche l’odore del mare. Massaua è però ancora lontana anche se alle Porte del Diavolo, poco dopo bet Gherghis, c’è una “finestra” che, nelle giornate senza nebbia, mostra fino laggiù laggiù, ad una distanza incalcolabile, sterminata, il verdazzurro del Mar Rosso!

 

 ghinda

 Ghinda 1962 - Buon Respiro. Da sinistra: Silvana Pari, Marisa

Baratti, il signor Gallo e Mary Romano.

 

Ci siamo fermati a Nefasit, tappa obbligatoria per il caffè e per sgranchire le gambe: anche se abbiamo fatto appena 25 chilometri e siamo scesi solo di 600 metri è un tratto pesante per le curve mozzafiato che pare ti facciano tornare indietro e gira e rigira sei sempre lì e la strada anche se è larga otto metri sembra sia appena il vialetto di un giardino e quando un tornante non lascia vedere bene tutta la carreggiata a venire, la mano sul clacson perché chi t’incrocia sappia che dietro l’angolo… ma per chi non guida e mette da parte vertigini e brutti pensieri, è una visione unica anche se i piloni della funivia che a tratti fiancheggiano la carrozzabile, mettono addosso una tristezza incredibile: imponenti ( alcuni alti fino a trenta metri), solenni, maestosi, ma feriti nella loro grandiosità perché orbati delle funi che facevano navigare centinaia di carrelli carichi di merci in su e in giù, in su e in giù….. Ecco, proprio a Nefasti c’era la stazione di smistamento per le merci dirette ad Asmara o a Decameré: merci caricate a Massaua a Campo di Marte o a Moncullo per arrivare a Godaif dove venivano scaricate in grandi appositi magazzini. E via di nuovo i carrelli pieni in discesa verso il porto di Massaua a riempire navi rimaste vuote. E a Nefasti presiedeva la direzione di esercizio con un’ officina per le riparazioni e magazzini.

In questo piccolo paese, agli inizi del secolo, quando ancora non esisteva neanche la ferrovia, quando si viaggiava a quattro zampe, c’era la tappa per il cambio dei muli e dei cavalli….. Io non c’ero quella volta, quando i muli si arrampicavano per le mulattiere come fossero scimmie e a volte precipitavano giù per i burroni, ma c’ero quando, nel 1937, finita e appena inaugurata la teleferica, scendendo a Massaua per imbarcarmi sulla Cristoforo Colombo verso l’Italia con lo scopo di una vacanza, avevo seguito nel cielo e giù giù sbucare dai baratri tutti quei carrelli che pareva andassero lentissimi. Con le mie sorelle facevamo a gara quel giorno, con il naso schiacciato contro i finestrini della macchina che papà attentamente guidava, per scoprire chi per prima ne avvistava uno: le postazioni erano: la più piccola in braccio a mamma sul sedile anteriore ( ma lei imbrogliava perché glielo suggeriva proprio mamma) guardava davanti, una di dietro, e due a destra e sinistra. E la strada girava e la teleferica spariva e riappariva, ma quando riappariva c’era sempre un carrello o dieci carrelli – a seconda del tempo in cui rimaneva in vista – che salivano e che scendevano, a distanze ravvicinate, sempre uguali, senza sosta.

Oggi mi ritorna in mente tutto questo ed è una tristezza immensa, quella disperazione che coglie davanti allo spettacolo di cose finite. Ma sono più di dieci anni che queste funi mancano, che le stazioni motrici sono ferme, che i carrelli ( 1620 carrelli!) sono scesi dal cielo e… peccato; era la teleferica più lunga e potente del mondo ma… non è proprio più concesso rovinarsi una domenica.

Ghinda è arrivata, sembra tanto lontana ma abbiamo fatto appena 47 chilometri: scorre ai fianchi della strada e quando le case sono finite, una curva lascia apparire il Buon Respiro. E l’insegna che dice “Tabacchi e Telefono”. E poi un’altra più piccola:” Camere con acqua e ventilatore. Chiosco e parco. Tutti i conforti”. Già, perché in questo posto incantato si può anche soggiornare. E lasciarsi coccolare dalla signora Maria, dalle sue tagliatelle impareggiabili che oggi ci serve personalmente con il solito sorriso: il solito dolcissimo sorriso tanto gradito……

Marisa Baratti

 (Mai Taclì N. 5-2003)