Innamorarsi  ad Asmara

 

Innamorarsi ad Asmara era abbastanza facile perché c’era l’ambiente adatto: un cielo invitante, un clima favorevole, poche distrazioni e, infine ma non ultimo, le ragazze erano indubbiamente carine ed attraenti almeno secondo i canoni vigenti durante i nostri anni giovanili.

Forse contribuiva anche l’assenza di smog e di locali tipo McDonald che, con i loropanini giganti e l’inevitabile coca cola sono il tipico esempio della prosaicità. Come si fa a scambiarsi sguardi romantici e mielosi in un ambiente tutto igiene ed efficienza?

Il difficile veniva quando si intendeva passare al corteggiamento essendo in vigore nelle famiglie titolari di fanciulle in età perigliosa, il “codice siculo” ottocentesco.

Le ragazze erano sempre sottoposte a stretta sorveglianza e fratelli, sorelle, madri,  zii, cugini, cognate e nonni paterni e materni si avvicendavano nel compito di salvaguardare l’onore delle fanciulle in fiore dalle mire non sempre limpide di spasimanti più o meno assidui e pertinaci. Inoltre le madri asmarine avevano fatto loro lo storico detto :”gli uomini vogliono tutti la stessa cosa”.

Ai tè danzanti si ballava sempre sotto lo sguardo vigile di un parente che smontava in partenza ogni tentativo di seduzione; durante eventuali veglioni la situazione era ancora più complicata perché, di solito, interveniva tutta la famiglia della ragazza. Appena si accostava la guancia a quella della ragazza, ci si sentiva trafitti da sguardi acuminati come kriss malesi che penetravano nella schiena come spilli voodoo.

C’erano, per scambiare qualche parola e una timida carezza,  le ricreazioni scolastiche, qualche minuto tra l’uscita di un professore e l’arrivo dell’altro, sporadiche possibilità di accompagnamento per un tratto di strada, rari momenti durante competizioni sportive alle quali le mamme non presenziavano per non cadere nel ridicolo.

Inoltre, esisteva anche l’azione investigativa esplicata con una sagacia degna del tenente Colombo: i parenti della ragazza prendevano informazioni sulla famiglia dello spasimante, sulla sua situazione economica, sul titolo di studio, sul tipo di lavoro, sulle prospettive di carriera e sulle amicizie che dovevano essere, possibilmente, influenti. Infatti, le solite mamme asmarine, ripetevano alle figlie che :”l’importante è un buon partito”.

Insomma, gli innamorati asmarini erano più controllati dell’Iraq di Saddam e si sentivano perennemente osservati dal “grande fratello”, una specie di “echelon” che invece di servirsi di satelliti e computer, usava un sistema altrettanto potente a base di orecchie, occhi e bocche che formavano un network totale.

Così il corteggiamento asmarino era tutto un susseguirsi di schermaglie e le cose andavano solitamente per le lunghe prima che per l’innamorato, avendo superato tutte le prove, giungesse  il fatidico momento dell’accoglienza in casa della ragazza ed ottenesse l’autorizzazione a frequentarla alla luce del sole. Lo spasimante aveva ottenuto una sorta di patente di “bravo ragazzo” di cui si poteva fidare.

Malgrado tutto, capitava, ogni tanto, una sorveglianza che perdeva colpi, un po’ come la CIA, e allora poteva verificarsi il “fattaccio” al quale si poneva rimedio, come da codice siculo, con un rapido matrimonio in modo da troncare sul nascere il torrente di pettegolezzi che sgorgava irruente dalle gole profonde che non mancavano mai.

Tutti questi problemi avevano acuito in modo machiavellico la mente di ragazze e ragazzi che sfornavano espedienti sempre nuovi per incontrarsi, tanto da godersi immensamente quel tempo rubato. Ci si sentiva un po’ come il detenuto agli arresti domiciliari il quale, in barba ai controlli, si va vedere la partita allo stadio.

In verità, c’era anche qualche mamma un poco più permissiva, forse memore della sua gioventù, e qualche fratello che, magnanimo, allentava un poco le briglie un po’ per amicizia verso il corteggiatore o, più spesso, perché anche lui voleva farsi gli affari suoi e instaurava con la sorella una forma di “do ut des”.

La prova regina contro la maldicenza la forniva, però,  la sarta: quando la ragazza andava a farsi prendere le misure per l’abito da sposa, si scopriva quasi sempre se gatta ci covava. Se il responso della sarta era negativo, nessuno poteva spettegolare.

Poi, lentamente, il codice siculo venne spontaneamente abolito e tutto si fece più semplice pur come può esserlo in una comunità ristretta. Che bello non doversi più guardare alle spalle e comportarsi alla “pantera rosa”! C’era un’aria euforica tanto da sembrare tutti fumatori di marijuana, un’ebbrezza da piloti di bob, un desiderio di volare nel blu dipinto di blu! L’amore asmarino era frutto di conquiste sudate, era una prova olimpica, una Parigi-Dakar, uno slalom gigante sotto la neve.

Oggi, le ragazze di quindici anni vanno a fare i viaggi all’estero da sole, passano il sabato sera in discoteca, fanno le occupazioni scolastiche e vanno in televisione a ballare e cantare insieme ai loro coetanei….

Fosse stato così in Asmara sai quanti matrimoni non si sarebbero conclusi!!!

I giovanotti odierni hanno solo da allungare le mani e cogliere i frutti abbondanti e succosi come fanno i vendemmiatori, i miei coetanei se allungavano le mani anzitempo rischiavano di ritrovarsi monchi e marchiati a fuoco come inaffidabili cercatori di facili avventure.

Com’era bello innamorarsi in Eritrea, quando per conquistare una ragazza bisognava essere ardito, paziente, astuto, suadente, fantasioso, romantico come un cavaliere della Tavola Rotonda. Il primo bacio non era un apostrofo rosa, era il raggiungimento dell’Empireo tra un volo di bianche colombe e un tripudio di celesti armonie!

Angra

(Mai Taclì N. 2-2006)