COLONIALISMO

(A) Le Premesse

(B) Le Epoche Coloniali

(C) l ’Italia Coloniale

(D) La Decolonizzazione

(E) Il Neo Colonialismo)


Corso di studio per l’UNITRE (Università delle Tre Età) di Orbassano, Politica e Sociologia.
Anno Accademico 2022/2023.

(A) LE PREMESSE

(Dal 900 a.C. al 1492)

(1)L’ Epoca Classica, quella attribuita dalla Storia: all’antica Grecia, a Roma, ad Israele, inizia da nove/otto secoli prima di Cristo ed arriva sino al secondo/terzo secolo dopo Cristo. Questa è l’epoca che va dal racconto dei Poemi Omerici, per la Grecia, alla Fondazione di Roma, alla costruzione del Tempio di Gerusalemme; le grandi civiltà a noi più vicine e che si affacciano sul Mediterraneo.

Queste Civiltà furono precedute e condizionate da altre Civiltà espresse dagli Imperi medio-orientali che le precedettero ed affiancarono nel percorso storico, ma che possiamo considerare collaterali e generatrici di altre Civiltà. Ricordiamo: L’Egitto, l’Assiria e la Persia. Così come si conosce dell’esistenza di una civiltà sub-sahariana minore, ma in contatto con Israele con riscontri biblici ed un mitologico testo (il Kebra Nagast): il Regno della Regina di Saba ed i contatti poi di questo Regno ma solo con la Chiesa di Roma tramite il loro incontrarsi in Terra Santa.

(leggi anche: https://www.maitacli.it/miti-racconti-aneddoti/519-tamrin-il-mercante-etiope )

Altri Imperi erano presenti, ma i contatti erano sporadici e la loro conoscenza limitatissima a causa delle grandi distanze, dall’area mediterranea, appunto, quali: India, Cina e Giappone. Degli Imperi centro americani (li conosceremo in seguito come: Inca, Aztechi, Maya) non se ne conosceva neanche l’esistenza e questo fino alla fine del quattordicesimo secolo dopo Cristo, quando Cristoforo Colombo (1451 ca-1506) scoprì quel continente.

L’area mediterranea, il bacino e l’entro terra per una profondità di circa tremila chilometri, saranno la culla per la nostra ricerca, l’area di prima espansione per la crescita delle sue popolazioni. Ogni Civiltà che si espande va, inoltre, alla ricerca di nuovi territori per affermare la propria influenza. Per gli Imperi poi l’espansionismo è parte della loro essenza.

I primi a fondare colonie furono i Greci, in quasi tutte le sponde del Mediterraneo ed in particolare nell’Italia meridionale. La Grecia, territorio limitato e povero si esprimeva in una federazione di Città-Stato: a volter alleate, a volte in conflitto, ma il legame aveva già la caratteristica di Nazione (razza, lingua, cultura, religione, territorio). Le Città-stato che la componevano costringevano l’eccesso di popolazione (quando raggiungevano le dodici/quindici mila unità) ad 

Fig.01_Atlante_che_regge_il_mondo.jpg

emigrare e fondare nuove colonie. Le popolazioni non greche erano considerate barbare, fuori dalla loro raffinata cultura e quindi prive di alcun diritto. Navigatori e non marciatori (almeno sino ad Alessandro Magno) avevano conoscenza limitata dell’entroterra del bacino del Mediterraneo. In oceano si guardavano bene  dall’avventurarsi.

(2) Sebbene i Greci avessero già le misure reali del Mondo, del globo terraqueo pur avendo una conoscenza limitata delle terre emerse, fu Eratostene (275-195 a.C.? 276 - 194 a. C) Il primo ad aver misurato la circonferenza terrestre, ma la sfericità della Terra era già tra le convinzioni dei matematici greci come pure la grande distanza che la separa dagli altri corpi celesti. (Così come conoscevano la distanza tra Terra e Luna Ipparco (120/190 prima di Cristo) utilizzò il metodo della parallasse, già usato da Aristarco di Samo circa un secolo prima, per determinare la distanza Terra-Luna, che gli consentì, successivamente, di stabilire la distanza tra la Terra e il Sole. Misure molto vicine a quelle reali, calcolate grazie alle loro conoscenze di astronomia e geometria e non all’esplorazione dei luoghi. 

Nonostante queste grandi conoscenze il mondo veniva rappresentato solo dalle terre del bacino del Mediterraneo circondate da un enorme fiume: l’Oceano teoria non completamente infondata perché l’Eurasia è effettivamente circondata da oceani. I Limiti invalicabili del Mondo di allora erano: le Colonne d’Ercole (Ulisse e i suoi uomini perirono per aver oltrepassato le Colonne d’Ercole spinti dalla sete di conoscenze), il deserto del Sahara, le steppe dell’Europa orientale, l’Oceano Atlantico. 

Fig.02 Mappa del Mondo antico Fig.03 Mappa del Mondo secondo Erodoto

Nonostante i limiti i contatti con il resto del Mondo (nuovi continenti esclusi) 

Fig.04 Mappa del Mondo realeera costante ed avveniva tramite popolazioni intermedie come Arabi. Fenici Caucasici. Gemme spezie pellicce manufatti sono sempre giunte in Europa, dall’estremo oriente, attraverso due vie: una di terra (la Via della Seta) attraverso l’Eurasia con Samarcanda tappa intermedia; una di acque (la Via delle Spezie) attraverso l’Oceano Indiano, il Mar Rosso, il Nilo a valle delle cateratte l’isola Elefantina come ultimo avamposto dell’Impero Egizio, con terminale ad Alessandria d’Egitto. Fig.10 La via della seta e delle spezie

Prima dell’Impero Romano, che conquistò gran parte del Mondo allora conosciuto, l’influenza greca venne rafforzata dalle gesta del macedone Alessandro Magno, Iskander per gli Orientali (356-323 a.C.) Fig.05 Alessandro Magno Museo Arch. Naz. Napoliche vinto e sottomesso l’Impero Persiano storicamente avversario ai Greci ed alla loro cultura, e l’Impero Egizio, si spine sino alle rive dell’Indo dando le prime notizie sull’India. Alessandro morto giovanissimo frazionò questi grandi imperi in regni che diede al governo dei suoi generali (Giudea tra questi e nuova stirpe di Faraoni per l’Egitto).Fig.06 L Impero di Alassandro Magno

(3) La storia dell’Impero Romano è troppo nota e vasta per essere trattata in questa sede, ma spostò i confini del Mondo sino all’Inghilterra, diede alle conquiste un carattere unitario con le sue leggi ma nel rispetto di quelle locali quando non fossero in contrasto. Sottomessi i popoli e chiarito l’ammontare dei tributi all’erario garantiva pace, protezione e stabilità. Alcuni di questi princìpi caratterizzeranno poi il colonialismo dell’Italia moderna (Regno d’Italia) ed è anche per questo che preferiamo il termine Colonizzazione a quello di Colonialismo, per quanto ci riguarda. 

Fig.08 Trireme greco romane

Nel Medio Evo, epoca a torto considerata buia e statica, grazie alla famiglia veneta dei Polo vengono rinsaldati i rapporti con l’Estremo Oriente ed ampliate le conoscenze dei percorsi, della flora e della fauna, dei Popoli, delle loro usanze. Grazie a Marco Polo (1254-1324) 

Fig.09 Marco Poloe alla sua opera Il Milione tutto viene documentato. Racconti che parevano fantasiosi, (ad esempio dell’esistenza dell’Unicorno, probabilmente del rinoceronte) di fatti improbabili, trovarono poi riscontro con il progredire della Storia. I rapporti commerciali e gli approvvigionamenti che provenivano solo da Alessandria e da Costantinopoli seguivano anche la via della seta (via terra). 

Fig.10 La via della seta e delle spezie

A Marco Polo si deve, tra l’altro, una descrizione del mitico Regno d’Abissinia in realtà un Impero, che ne descrive gli ordinamenti, la flora e la fauna, che corrisponde esattamente a ciò che l’Italia coloniale riscoprì nella seconda parte del diciottesimo secolo.

Per tutta la durata del Medio Evo e parte del Rinascimento, in Europa si ipotizzava la presenza di un Regno cristiano retto dal sovrano Johannes Presbiter (il Prete Gianni) Fig.11 Il Prete Gianni

oltre il Sahara, lo si ipotizzava in India ma spesso Etiopia ed India venivano confuse immaginando una contiguità tra i territori (anche Marco Polo lo credeva classificando il Mar Rosso come fiume, che parallelo, scorresse in senso opposto al Nilo). Il mito del Prete Gianni durato per molti secoli non si può riferire ovviamente ad una persona ma al suo Regno.

(leggi anche https://www.maitacli.it/miti-racconti-aneddoti/412-il-prete-gianni )


(B) LE EPOCHE COLONIALI

(Dal 1492 al 1945/1975)

(4) Tra 1415 e 1522 i protagonisti indiscussi dei viaggi di esplorazione e di conquista, che portarono alla scoperta dell'America, furono il Regno di Castiglia e il Portogallo. Questi due Paesi si spinsero oltre le Colonne d'Ercole perché volevano allargare i confini del mondo cristiano e trovare una nuova e più vantaggiosa via attraverso il mare che conducesse all'oro africano e al mercato delle spezie e delle gemme in India.

 I primi ad avventurarsi lungo le rotte dell'Oceano Atlantico furono i Portoghesi. Le spedizioni iniziali, favorite dal principe Enrico il Navigatore (1394-1460), puntarono alle coste occidentali dell'Africa con l'obiettivo: La via per l'Asia venne scoperta nel 1487 quando Bartolomeo Diaz (1450 ca-1500) superò per la prima volta il Capo di Buona Speranza: il continente indiano fu raggiunto via mare pochi anni dopo dal navigatore Vasco da Gama (? m.1524), che nel 1498 arrivò a Calicut, città sulla costa dell'India.. Il suo primo viaggio in India, intrapreso tra il 1497 e il 1499, fu il primo in cui si raggiunse l'Asia dall'Europa attraverso una rotta oceanica, collegando, quindi, via mare l'Occidente e l'Oriente. Le spedizioni portoghesi furono favorite da grandi innovazioni nelle tecniche di navigazione scientifica e nelle costruzioni navali, presto imitati dai grandi Stati Nazionali che si eran formati.

Cristoforo Colombo Fig.12 Cristoforo Colomboscoprì l'America il 12 ottobre 1492. Data fatidica per l'Età Moderna, ma deleteria per i popoli che abitavano quelle terre. Il 12 ottobre 1492 Cristoforo Colombo approdò dall'altra parte dell'Atlantico, dando il via al processo chiamato "scambio colombiano", che segna l'avvio dell'Età moderna. Colombo, cartografo e navigatore, teorizza di poter raggiungere le Indie circumnavigando il Mondo e prospettandone alla Regina Isabella di Castiglia i vantaggi la convince per allestire la spedizione. La Regina rischiando in realtà molto poco gli fornisce: tre caravelle ed i loro equipaggi formati da disperati. Fig.13 Caravelle(Fig.13) Colombo in realtà sbaglia i calcoli e, percorso solo un quarto della lunghezza che sarebbe stata necessaria, si trova ad essere, disperato e con lui gli equipaggi, allo stremo, quando la sorte mise sul suo cammino il continente americano.

Egli sbarcò e chiamò quel primo approdo San Salvador (4 ottobre 1492), riconoscente al Signore per avergli evitato il fallimento. Colombo continuò a sbagliare prendendo le popolazioni locali per Indiani ma visto che non erano neri penò fossero Cinesi e resosi conto che si trattava di un arcipelago di quel immenso continente pensò di essere sbarcato in Giappone (allora Gipango). Quando si rese conto della scoperta di nuove terre tornò trionfalmente in Spagna e da lì ha inizio tutta un’altra storia.

(5) Vasco da GamaFig.14 Vasco da Gama (Fig.14) fu l'esploratore portoghese che nel 1498 raggiunse per primo le coste indiane via mare (e non con le carovane che attraversavano l'Europa e il Medio Oriente), circumnavigando il continente africano e doppiando il capo di Buona Speranza nell'odierno Sudafrica. Nell’ambito di queste esplorazioni viene raggiunta l’Abissinia insieme di regni con a capo un Imperatore nella vasta regione nota da sempre come Etiopia.

(Leggi anche https://www.maitacli.it/storia/411-i-portoghesi-in-abissinia )

L'Australia fu avvistata nel 1606 dal navigatore olandese Willem Janszoon,(1570-1630) che sfiorò l'attuale Capo York; solo 10 anni dopo, nel 1616, Dirk Hartog (1580-1621), a bordo dell'Eendracht, fu il primo Europeo a scendere sul suolo australiano.

La Nuova Zelanda, riscoperta, venne esplorata dall’olandese A, Tasman e dall’inglese J. Cook a partire dal 1642 al 1770.

 

 

A partire quindi dalla scoperta delle Americhe inizia l’epoca del Colonialismo nell’accezione moderna. l’Europa, comprese Russia e Turchia, si muovono alla conquista delle nuove terre. Gli Stati Nazionali che andavano formandosi cercano l’affermazione nelle conquiste, potenziando le loro flotte con vascelli sempre più grandi muniti di batterie di cannoni, dalle alte murate per reggere le onde di una navigazione ormai oceanica, Fig.15 Galeone(Fig.15) arricchendosi dei proventi e delle materie prime consolidando il loro prestigio.

L’Europa questo piccolo promontorio dell’Asia, in forte crescita demografica diventa padrona del Mondo, di tutto il Mondo, che era allora scarsamente abitato, ma ormai conosciuto in tutta la sua reale estensione. L’Italia contemporanea non è presente in questa competizione, non è ancora nata come Stato, lo sarà solo dal 1861 nascendo già con ambizioni coloniali ma entrando nella competizione troppo tardi, non traendone alcun beneficio ed investendo enormi capitali nello sviluppo dei territori occupati, ed anche dopo e sino al 1975, capitali che andarono totalmente persi.

L’apertura del Canale di Suez nel 1869 favorì molto questo predominio, le rotte verso l’oriente mutarono non era più necessario circumnavigare l’Africa i percorsi ed i tempi di navigazione si riducevano a meno della metà. L’opera ingegneristica già progettata dalla Repubblica Veneta venne realizzata da Inglesi e Francesi che se ne accaparrarono la proprietà in convenzione con l’Egitto ma determinante fu l’apporto italiano sia nella progettazione che nell’esecuzione dell’opera. Si iniziava inoltre a navigare a vapore.


(C) L’ITALIA COLONIALE

(Dal 1890 al 1941)

(6) L’Italia ormai unificata ebbe sin dall’inizio ambizioni coloniali, era una questione di prestigio nazionale, non esisteva nazione che non avesse territori coloniali. Era questa l’ambizione di Cavour ma che si scontrava con la Francia, dato che egli volgeva il pensiero al Nord Africa, la Quarta Sonda, ma che rientrava invece nell’area d’influenza francese.

L’Italia pose così gli interessi coloniali principalmente sul Corno d’Africa entrava così tardivamente nella competizione per la conquista del Mondo e doveva accontentarsi delle aree che non avevano suscitato l’interesse delle grandi Potenze Fig.20 Spartizione Coloniale del Mondo1945ed occupò nell’ordine: Eritrea Somalia e Libia, solo più tardi il Regime Fascista al Potere invase l’Impero d’Etiopia e fondò l’Impero d’Itala che durò solo dal maggio 1936 all’aprile 1941 esattamente cinque anni. Per ognuno di questi territori tracceremo una breve storia. Territori di scarsa importanza, salvo l’Etiopia in seguito conquistata, trascurati abbiamo visto, dalle grandi Nazioni coloniali, si ironizzò a lungo dicendo che all’Italia erano stati riservati gli “scatoloni di sabbia” essendo i territori desertici o semi desertici. Il petrolio della Libia non veniva ancora rivelato ed estratto e le vaste e fertili terre d’Etiopia saranno conquistate in seguito e perse già solo dopo un anno di guerra nel Secondo Conflitto Mondiale.

(7) L’ERITREA.

Necessario, nella Storia delle nostre colonie, conoscere prima la geografia dei territori essendo legate a questa: i Popoli, l’antropologia (religione, usanze ecc). L’Eritrea come nuova nazione nasce per decreto del re Umberto nel 1890 ad esempio è costituita da tre macro regioni che erano precedentemente scollegate tra loro anche se anticamente soggette all’impero dell’Abissinia come Regno del Mare. La fascia costiera, desertica in gran parte chiamata Dancalia e tutta: Bassopiano Orientale, gli altipiani, propaggine dell’acrocoro montuoso che costituisce l’Abissinia e che degrada a Nord in penici con lati orientali ed occidentali, ed il Bassopiano occidentale, savana, sino ai confini con il Sudan.Fig.16 Il Canale di Suez

Dopo l'apertura del canale di Suez, nel 1869 l Governo italiano, ormai avviato verso l'espansione coloniale, aveva acquistato attraverso l'opera del missionario-esploratore Giuseppe Sapeto la Baia di Assab in quella parte del Corno d’Africa che diventerà poi l’Eritrea. Tuttavia, i presidenti del consiglio Luigi Federico Menabrea e Giovanni Lanza, timorosi delle reazioni delle altre potenze coloniali, chiesero a Rubattino di intestarsi la baia con il pretesto di farci una base per il rifornimento di carbone. L'armatore genovese, dal canto suo, non poteva sottrarsi alla richiesta, in quanto obbligato verso lo Stato che lo stava salvando dal fallimento. Rubattino che aveva già trasportato i Mille in Sicilia, sosteneva infatti di averlo fatto per patriottismo. E’ però innegabile che avesse bisogno di una base intermedia per la rotta verso l’Estremo Oriente e l’Oceania per i rifornimenti di acqua, carbone e scorte vive.

(Leggi anche https://www.maitacli.it/storia/508-storia-della-presenza-italiana-in-etiopia-ed-eritrea )

Occupazione di Massaua. La spedizione per Massaua parte dall’Italia il 19 gennaio 1885 nel massimo segreto, ben sedici anni dopo l’acquisto della baia di Assab e dell’immediato retro terra, al comando del col. Tancredi Saletta, uno dei “duri” dell’esercito di Umberto I°. quattro compagnie di bersaglieri, una di artiglieria ed i servizi logistici. Un complesso di ottocento sette uomini di cui trentotto Ufficiali li trasportava la nave Gottardo ed altre unità della Marina. Si disse loro di dare una lezione ai Dancali e rafforzare il dominio di Assab. La meta era invece Massaua. Il 14 febbraio la piccola flotta si presenta in quella rada, Fortunatamente la preparazione politica e diplomatica (mediazione inglese principalmente) fa sì che non ci sia reazione da parte egiziana. In breve tempo Saletta riesce ad inalberare il tricolore a Taulud, installarsi con gli Ufficiali nel Palazzo del Governatore egiziano. Molti incarichi passarono ai Funzionari italiani ed a poco a poco il presidio locale viene ritirato. Elementi della Polizia locale i Basci Buluk, arruolati costituiranno le prime formazioni militari indigene (i futuri Ascari). Saletta occupa subito anche i Forti dell’immediato retro terra allargano anche l’occupazione a sud, la Dancalia, verso Assab.

Le spedizioni verso l’entroterra, anche quello sotto controllo turco-egiziano, non erano gradite agli Abissini le osservavano con sospetto sia il negus neghesti Johannes IV che il Ras che governava l’Hamasien, estremo avamposto dell’acrocoro dove si estendevano i Regni d’Abissinia. Gli Abissini diffidarono l’Italia dal tentare infiltrazioni verso l’entroterra ma erano impegnati anche a combattere il fondamentalismo islamico di provenienza dal Sudan il cui condottiero era Mohammed Ahmed a capo di quelli che impropriamente venivano chiamati Dervisci e più appropriatamente Mahadisti.

Ras Alula, non si sa se autorizzato dal Negus o di propria iniziativa, decideva di darci una lezione ed attaccava una colonna italiana in marcia verso il forte di Sahati e l’annientava. Il fatto passerà impropriamente alla Storia come la Battaglia di Dogali: seicento i morti, pochi gli scampati che si finsero morti. Questa aggressione ci mostro che gli scontri con gli Abissini si concludevano nella giornata, che ogni tipo di crudeltà era ammessa e che non facevano prigionieri.

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Il negus Johannes IV cadde combattendo i Dervisci l’11 marzo 1889, aveva nominato due eredi Mangascia suo figlio ed il più autorevole Menelik il cui potere tendeva poi a salire dall’ottobre dello stesso anno.

A differenza del predecessore, il negus Menelik tende ad avere buoni rapporti con gli Italiani ed a trarne grandi benefici per il sogno -che poi realizzerà con il nostro aiuto- di rifondare l’Impero d’Etiopia volgendo le sue mire alle vaste e fertili terre del sud e rinunciando, di fatto, a quel misero e marginale Governatorato dell’Hamasien che abbiamo visto essere assegnato a Ras Alula.

Si deve ad Antonio Baldissera, già Ufficiale asburgico, capitano fin dal 1866, di Udine, poi integrato nel Regio Esercito italiano, l’occupazione di Cheren, a nome dell’Italia, con una Banda di irregolari: ottiene molto e rischia poco, penetrando nel territorio controllato dai  Dervisci (meglio: Mahadisti)

I Mahadisti erano una ossessione sia per gli Inglesi che governavano il Sudan, sia per gli Abissini minacciati dalle loro scorrerie e il loro espansionismo. Anche tra i soldati italiani che si appressavano all’occupazione di Massaua venne fatta circolare la voce che la missione fosse contro i Mahadisti. Questi furono in seguito sconfitti ( cap. Carchidio ad Agordat) e si arrivò ad occupare Cassala, restituita poi agli Inglesi.

Ma Baldissera preparava anche l’occupazione di Asmara, allora solo un villaggio di casupole sparse ma pur sede del Ras, dunque dell’altopiano.

Nel contempo un Trattato con Menelik, concluso dal conte Antonelli per conto del re Umberto I°, datato 2 maggio 1889, riconosceva, di fatto, una sovranità italiana dell’intera zona ed era il riconoscimento della garanzia costituita dalla presenza italiana contro la minaccia islamica.

Il 3 agosto 1889 Baldissera poneva piede in Asmara ed emetteva il famoso bando: “Coltiva, o coltivatore, Commercia o commerciante. Non Temere. Chi governerà è il Governo d’Italia… Io sono venuto per arricchire e proteggere il Paese, non per distruggere…Questo dice il Generale che rappresenta il Governo d’Italia sull’Hamasien”. L’eterogenea popolazione ed il Clero accettava la nuova situazione e molti furono gli atti di sottomissione. Nasceva così una futura nuova nazione alla quale veniva dato il nome di “Eritrea”. Il Regio Decreto n.6592 del 1 gennaio 1890 ne sancisce la nascita e ne formalizza il nome.

(8) LA SOMALIA.

La storia della Somàlia Italiana ha inizio dal trattato commerciale concluso dal Cap. Ant. Cecchi col Sultano di Zanzibar il 28 maggio 1885. Nel 1889 l’Italia accordava il suo protettorato al Sultano di Obbia e nello stesso anno i Sultani di Óbbia e dei Migiurtini riconoscevano il protettorato italiano sui territori di Garàd e del Nogàl e mettevano la costa migiurtina nella sfera d’influenza dell’Italia.

 In base alla convenzione, il governo italiano otteneva il diritto di amministrare politicamente e giuridicamente, in nome del Sultano, le città del Benadir, di riscuotere le tasse, le imposte, i dazi doganali, in cambio di un canone di 160.000 rupie all’anno. Il Sultano autorizzava, inoltre, il governo italiano a cedere le proprie funzioni «ad una società italiana incaricata di amministrare queste città, porti e territori» e ai commissari di detta Società venivano in effetti ceduti tutti i poteri.

Pure nel 1889, l’Italia occupava Atalèh, poi detta Itala, e dichiarava il protettorato sui tratti della costa del Benàdir tra Uarscèc, Mogadiscio, Mérca e Bràva. Più tardi, nel 1892 e successivamente, attraverso alcuni passaggi intermedi, si giunse a una formale convenzione fra l’Italia e Zanzibar (in data 12 agosto 1892) , che prevedeva i su citati accordi; La Convenzione fu ratificata dal parlamento italiano solamente nel luglio del 1896 tali quattro scali coi loro territori venivano quindi ceduti, in affitto all’Italia, dal Sultano di Zanzibar.

 Ma fu solo nel 1905 che, col riscatto dei quattro scali (144 000 sterline), il Benàdir passò tutto e definitivamente all'Italia e che fu impiantata la vita amministrativa della Colonia. Nel 1912-14 l’occupazione si estese all'interno; nel 1916 fu sventata la minaccia del Mullah (Mad Mullah: Enrico Cerulli nomignolo col quale gli Inglesi designarono il Mahdi somalo: Muḥammed ibn ‛Abd Allāh ibn Ḥasan nativo dell’Ogadēn), poi definitivamente sconfitto, dopo una lunga campagna, dagli Inglesi nel 1920. Nasceva così dall’unione di territori diversi, allora semi desertici scarsamente abitati da Popolazioni nomadi, una nuova Nazione, così come era già stato fatto per l’Eritrea.

Nel 1925, la Gran Bretagna cedette all’Italia l’Oltregiuba; nello stesso anno e nei seguenti '26 e '27, il co. De Vecchi svolse una rapida e decisa azione politico-militare che portò all’occupazione e alla pacificazione dei territori di Óbbia, del Nogàl e della Migiurtlnia.(Dal Cenno Storico della Guida dell’A.O.I. del Touring Club 1938)

A differenza dell’amministrazione eritrea, il governo italiano decise quindi di non esercitare un dominio diretto sui territori somali appena acquisiti, bensì di affidarli a una società privata, la Compagnia Filonardi: questa modalità di controllo e di potere rappresentava il modello della concessione commerciale creato da altre potenze coloniali europee come per esempio quella inglese. Le motivazioni di questa scelta furono subito ben chiare, soprattutto dopo la gravissima sconfitta di Adua del 1896 a opera dell’esercito etiopico.

 (9) La LIBIA

Già colonia romana, per quasi tutta la sua estensione, si presentava –ai tempi del nostri intervento per conquistarla- l’insieme di tre macro-regioni (come era per l’Eritrea): La Tripolitania, la Cirenaica, sotto dominio dell’Impero Turco, il Fezzan con ordinamento tribale arabo-berbero sotto controllo sempre dell’Impero Turco. Le prime due regioni costituivano la fascia costiera mediterranea, il Fezzan costituiva l’entroterra meridionale e già parte del Sahara.

Il 3 ottobre 1911 l’Italia faceva rituonare in Africa i suoi cannoni; spinta da interessi economici (Banco di Roma già operativo sulla costa da sei anni)) ed un forte spirito nazionalistico (che non aveva ancora nulla a che fare con il Fascismo) alimentato da uomini come: Corradini, Federzoni, Papini, Oriani, Prezzolini,  Marinetti e persino parte dei socialisti come: De Felice, Bissolati, Pascoli e sostenuti da economisti come Maffeo Pantaleoni che auspicavano da tempo la guerra contro la Turchia. Ovviamente contrari all’impresa i Socialisti massimalisti internazionalisti tra cui Nenni e Mussolini finiti addirittura in prigione per aver intralciato i trasporti ferroviari di materiali bellici.

L’opinione pubblica favorevole, la canzone: “Tripoli bel suol d’amore” fu la più cantata e sentimentalmente sentita in Italia. Giolitti comprese, di fronte all’unanime pressione: del Popolo della Borghesia, della Corte e con la sola eccezione di parte dei Socialisti, che la guerra fosse inevitabile ed iniziò a prepararla. Questa preparazione durò circa dieci anni tenendo presente ogni dettaglio e assicurandosi mano libera da parte di Francia e Inghilterra, I Turchi poi aumentarono la loro rigidità nel corso del 1910 e del 1911 pregiudicando contrastandoli gli interessi del Banco di Roma.

Tutti erano convinti che una guerra vittoriosa sarebbe stata una potente medicina per gli Italiani giunti al cinquantesimo anniversario della loro unità, ma ancora avviliti dal nefasto ricordo della sconfitta subita in Africa ad Adua ad opera dell’esercito di Menelik. Giolitti capì, all’inizio del 1911, che una impresa militare oculatamente condotta gli avrebbe assicurato il consenso di fresche ed entusiaste energie e su questa strada si mosse. I primi venti giorni di guerra confermarono a tutta Italia, con la migliore precisione dei movimenti militari, che l’epoca degli errori era ormai definitivamente tramontata.

Un immane corteo navale imponentissimo per quei tempi aveva già sbarcato a Tripoli entro il 20 ottobre: ventitremila uomini, duemilacinquecento quadrupedi, centinaia di cannoni e ben sei aeroplani, i primi che volassero, in tutto il Mondo, per operazioni di guerra. Ogni balcone d’Italia espose, in permanenza il Tricolore.

Quindici giorni prima che scoppiassero le ostilità sbarcarono a Tripoli, pur potendo impedire, al piroscafo Derna che li trasportava, in soccorso ai Turchi, dopo un lungo e avventuroso viaggio, ben ventimila fucili Mauser e due milioni di cartucce che poi ci vollero più di venti anni e molti sacrifici per poterli rastrellare. L’Impero della “Sublime Porta” comprese che sul piano militare le rimanevano aperte poche strade, la sua flotta poi incapace di  affrontare il combattimento con la poderosa flotta italiana. L’unica possibilità che intravvide fu quella di armare gli Arabi del vasto territorio perché dessero, agli Italiani, del filo da torcere. L’ Impero Turco era già morto, quando noi ci accorgemmo, per questa mossa, che una “riconquista” sarebbe stata necessaria  ben venti anni dopo.

Tra il 26 e il 27 ottobre il ministro  di San Giuliano presentava un ultimatum alla Turchia, il 28 si posizionavano al tiro contri le fortificazioni turche le migliori unità della Marina erano: La Napoli, la Roma, la Amalfi, la Varese e la Ferruccio, mentre la flotta turca si ritirava in Egeo e poi a Costantinopoli. E l’ammiraglio Faravelli alla fine decise che non rimaneva aperta altra via che quella del bombardamento. Le navi poi entrate in porto mettevano a terra le Compagnie da sbarco, issavano sul Castello il Tricolore e si mettevano alla caccia dei detenuti comini liberati dai Turchi, facevano riaprire i negozi e dopo occupati riattivavano uffici e caserme, la Popolazione così come era successo ad Asmara si sentiva rassicurata. La nascente aviazione svolgeva, tra lo stupore degli Arabi, il controllo dell’entroterra.

Ma il resto delle forze turche e soprattutto gli Arabi costituirono per lungo tempo un problema Tripoli stessa venne attaccata ma la disperata difesa dei colonnelli Fara e Henni ebbe ragione con gravi perdite per gli attaccanti ed i giorni seguenti ben mille Arabi vennero fucilati, dando così inizio ad una lunga serie di azioni sanguinose prime che tutto il territorio fosse pacificato.

Assieme a Tripoli altri centri costieri vennero conquistati tra la fine del 1911 e l’inizio del 1912: Bengasi, Tobruch, Homs ed altri centri minori. Le azioni, comprese le operazioni di sbarco  vennero sempre programmate dalla nostra Marina e condotte con la massima competenza le osservazioni aeree effettuate con palloni aerostatici e l’impiego della nascente aviazione dimostrarono un grado di utilità che nessuno avrebbe mai prima immaginato. Partirono quindi alla volta della Libia cento cinquantanove piroscafi e cento sei mila uomini.

La Libia, un territorio enorme era abitato da popolazioni musulmane guidate e tenute insieme non tanto dai Turchi quanto da piccoli o grandi Capi che esercitavano poteri dispotici anche se territorialmente limitati. Per questo difficilmente dominabili e portate a rimpiangere la più tollerante dominazione Turca. Intanto proseguiva quindi con fatica la dominazione dell’interno fino alle difficoltà che si aggiungevano nel 1915 a causa del Primo Conflitto Mondiale.

Turati aveva quindi definito la Libia “l’inutile oceano di mortifere arene” e Nitti la storica definizione di “scatolone di sabbia”. Ma esponenti della Destra dopo le prime esplorazioni dissero che , quella terra, sarebbe stata la soluzione al problema dell’emigrazione e del Meridione, una terra quindi da conquistare e Corradini asserì che Erodoto descriveva la Libia come terra fertilissima e ricca, si rimeditò la conquista, a suo tempo, dei Romani ,del loro sistema idrico per risolvere le difficoltà della carenza d’acqua, si ricercarono e si iniziò a riportare alla luce le vestige del loro Impero, non si sospettò allora della presenza di immensi giacimenti petroliferi o perlomeno la possibilità venne tenuta segreta da chi quel campo esplorava fin dall’ora (Shell, Monarchi ?).

Ma già nel corso del 1912, viste le difficoltà per concludere l’intera occupazione si capì e si decise che la guerra dovesse essere estesa contro la nazione turca e nelle sue stesse acque colpendo così in modo diretto, i suoi interessi vitali ed il suo prestigio. Si dislocarono così unità della Marina nel Levante e nel mare Egeo e si trovò il coraggio per una azione contro i Dardanelli. Una formazione navale già posizionata prese a pretesto un supposto colpo di cannone sparato da una fortificazione rispondendo con un poderoso bombardamento di colpi di grosso e medio calibro parteciparono all’impresa cinque piccole torpediniere condotte dal capitano Enrico Millo che vi guadagnò la medaglia d’oro e i galloni da contrammiraglio..

Il 28 aprile venne occupata Stampalia, poi Rodi e senza combattere caddero in mano nostra le isole del Dodecanneso (che cedemmo poi alla Grecia alla fine del Secondo Conflitto Mondiale). Molte delle città e dei centri conquistati, ben felici di sottrarsi al dominio turco. La Turchia, per ritorsione, espulse dal suo territorio ben cinquantamila Italiani che vi risiedevano e noi oltre a dover soccorrere questi che furono i primi profughi del regno, perdemmo i proficui legami con quella parte dell’Oriente che risalivano all’opera sagace dei Veneziani.

Ma chi indusse la Turchia alla pace fu lo scoppio della Prima Guerra Balcanica che vide riunirsi: Montenegro, Grecia, Bulgaria e Serbia contro l’Impero Ottomano ormai in grave difficoltà.

La pace tra Italia e Turchia fu concordata il 14 ottobre ad Ouchy con un protocollo segreto e formalizzata il 18 a Losanna con il trattato ufficiale.

La Turchia non ammise di aver perso la Libia ma si limitò a concederle l’autonomia.

Si concludeva così parte di questa avventura dove sono stai impiegati oltre duecentomila uomini e ne avevamo persi mille quattrocento trentadue con oltre quattromila feriti e circa duemila deceduti per disagi o malattie. Ma le lunghe e dure operazioni continuavano in Libia, quasi senza interruzione, dal 1911 al 1932.Nascevano lì e si formavano Ufficiali che poi le conducevano come se nulla fosse possibile, in guerra, senza l’uso della forza: Nasi, Graziani, Pirzio Biroli,Bastico, in centinaia di implacabili scontri tra la Ghibla ed il Gebel, contro un fantomatico avversario sempre battuto e mai sconfitto.

Nasceva così dopo Eritrea e Somalia la Libia avviata al destino di nazione moderna a causa dell’occupazione e dell’unificazione dei territori praticata, a suo tempo, dal Regno d’Italia.

 (10) L’ETIOPIA

(10/1) La Prima Guerra D’Abissinia (1894/1896).

Veniva identificata come Abissinia la regione dell’acrocoro centrale dell’Etiopia, dove si era sviluppata ed era sopravvissuta, per secoli, seppur isolata dal resto del Mondo, la civiltà cristiano-copta che per tradizione faceva ascendere la sua origine al re Salomone d’Israele. La Popolazione era stabile, coltivava ed allevava tradizionalmente ed era amministrata con un sistema feudale. L’Italia ha sempre saputo che per il controllo dell’intera area: l’Etiopia, era necessario conquistare e sottomettere questa regione centrale, come il nocciolo duro del frutto tanto desiderato.

 Mentre l’Italia occupava Chéren e Asmara Menelìk ne approfittò subito per farsi riconoscere re dei re, e, in breve, dalla forza delle cose, dalla cessione del territorio di Ras Alula, il confine tra la neonata Eritrea e l’Etiopia era portato alla storica delimitazione del fiume Marèb. Inoltre un accordo firmato a Ucciàlli (2 maggio 1889) avrebbe dovuto regolare i rapporti fra i due Stati, riconoscendo all’Italia una posizione privilegiata a compenso dei larghissimi aiuti dati al re dello Scióa. L’Italia si era considerata allora come avente il protettorato sull'Etiòpia, e ne aveva informato gli Stati Europei.

Ma prestissimo sorsero gravi dissensi: anzitutto fu questione dei confini; prima che su questi si addivenisse a un principio d’intesa, fu questione dell'art. 17 del trattato d’Ucciàlli, cioè dell’articolo fondamentale per il protettorato: nel testo italiano rendeva obbligatorio, nel testo amarico lasciava facoltativo per ii re d’Etiòpia il servirsi dell'Italia nei suoi rapporti inter nazionali. Lasciate a se stesse, forse le due parti avrebbero finito con l’ìntendersi, ma in Addis Abéba ebbero il sopravvento le correnti europee avverse all’Italia quale partecipe della Triplice Alleanza.

I veramente non credibili ondeggiamenti della politica italiana fra Menelìc e ras Mangascià, capo del Tigrai, in quanto figlio ed erede del re Johànnes, sognava di abbattere il primo, fece sì che tutti i Notabili prendessero posizione contro l’Italia.

 Le ostilità colsero di sorpresa le autorità Eritree, assorbite da preoccupazioni circa i Dervisci; tuttavia la rivolta di Uahfcà Hagòs neU’Acehelè-Guzài fu domata, ras Mangascià fu battuto a Senafè ed il Tigrài occupato facilmente. L’Italia non seppe allora considerare adeguatamente il futuro: L’opinione pubblica, in un periodo di profonda crisi economica, finanziaria, morale, era nettamente, contraria a costose Imprese d’oltre mare; i ministri discordi; il Governo Eritreo, mal valutando Ie possibilità belliche di Menelìc, pensava poterlo vincere con poco più delle truppe indigene che già aveva sotto le armi. La comparsa delle avanguardie scioane al L. Asciànghi fu quasi improvvisa, e colse gli Italiani quasi alla sprovvista; la battaglia d’Amba Alàgi e l’assedio di Macallè dimostrarono la necessità di sensibili rinforzi bianchi, i quali capovolgevano il piano della campagna e imponevano ben altra preparazione logistica, che non poteva improvvisarsi. Appunto necessità logistiche suggerirono al gcn. Barattieri una grande ricognizione dimostrativa verso il campo del negus in Adua; e un complesso di fatali circostanze la mutarono in una battaglia (1 mar. 1896), in cui il corpo di spedizione fu disfatto. L’Italia non volle continuare nella lotta, e col trattato di Addis Abéba (26 ott. 1896) riconobbe la piena indipendenza dell’Abissinia, lasciando sospesa la questione dei confini: fu merito di Ferdinando. Martini se, poi, il confine Marèb- Bélesa restò quello prima stabilito.

La vittoria dette a Menelìc e al suo Stato una nuova importanza rispetto ai vari Stati d’Europa, che gareggiarono nel contendersene il favore. Già prima d'essere nominato re dei re, Menelìc, proseguendo nella politica espansionista che aveva portato i suoi avi da capi del Menz a re dello Scióa, aveva conquistato i Guraghè, numerose tribù Galla, l’emirato di Haràr. Nel 1895 aveva egli stesso condotto una grande spedizione nell’Uolàmo. I suoi generali, ras Gobanà, ras Darghè, ras Tesammà ecc. gareggiavano nello spingersi sempre oltre, a SE, a S, furono raggiunti il Giuba, i L. Stefania e Rodolfo, il Nilo Bianco; e, se gli accordi con l’Inghilterra non consentirono agli Abissini di restare su quest’ultimo, lor venne pur sempre riconosciuto un impero quale l’Etiòpia non aveva forse mai avuto. Fatto importantissimo: tutte le nuove annessioni, vere colonie, erano dipendenza diretta del re dello Scióa, che le governava con uomini di sua scelta; esse, in ogni evenienza, lo rendevano di gran lunga il maggiore fra i grandi capi abissini. (tratto dal Cenno Storico della Guide dell’A.O.I, del Touring club Italiano del 1938.

La conclusione della guerra con la sconfitta ad Adua segnò grave sgomento in Patria e non solo: una Grande Potenza veniva sconfitta ed umiliata in Africa, un suo Generale preso prigioniero, i superstiti passai, quasi tutti, per le armi, le nostre Truppe di Colore brutalmente amputate del braccio e della gamba destra. Tuttavia seguirono a questi eventi quaranta anni di pace e di buon vicinato. Ma covò per tutto questo periodo, un senso di rabbia e una voglia di rivalsa nel sentire collettivo degli Italiani. Rimase inatteso un desiderio di conquista di quella ricca Terra che portò poi ad un secondo conflitto, quello noto come “Campagna d’Etiopia” scatenato da Mussolini in spregio ad ogni convenzione internazionale e che iniziò proprio con la sua emblematica frase: “Con l'Etiopia abbiamo pazientato quaranta anni! Ora basta!” 

Fig.21

 

(10/2).La Seconda Guerra d’Abissinia (Campagna d’Etiopia 1935/1936)

Il mai sopito desiderio dell’Italia di conquistare l’Etiopia, come la più ambita delle Colonie, fu tenuto a freno dai vari trattati di pace tra i due Paesi: dal Trattato di Uccialli, formalizzato con R.D. del 10 Aprile 1890, a firma del Re Umberto I°, dal Trattato di Pace del 26 ottobre 1896 seguito alla sconfitta di Adua e ultimo il Trattato d’Amicizia italo-etiopico del 2 agosto 1928.

Il Regime Fascista, al potere da oltre un decennio, godeva del consenso, quasi unanime, della Nazione. La Giornata della Fede, della donazione:, dell’oro e dei metalli in data 18 Dicembre 1935, a sostegno dell’impresa, ne erano una tangibile conferma, decise di agire.

Ma ormai l’Italia che si appressava ad invadere quella Nazione adducendo a pretesto le razzie, i soprusi contro le Agenzie Consolari, le aggressioni contro i posti di frontiera. E proprio il caso dell’ attacco, da parte di armati abissini (appartenenti alla scorta della Commissione anglo-etiopica per la delimitazione del confine fra Somàliland ed Etiòpia), contro il nostro presidio di Uàl Uàl, del 6 dic. 1934 diede il via ai preparativi di guerra che si prevedeva ormai inevitabile.

Non vi fu una dichiarazione ufficiale di guerra che nel linguaggio corrente fu definita: “Campagna d’Etiopia”. Furono mobilitate cinque Divisioni ed inviate in Somalia, quattro in Eritrea, oltre cinque di Camicie Nere volontarie.

All’Italia furono applicate le sanzioni economiche da parte della Società delle Nazioni ma non sufficienti a fare desistere dall’idea dell’invasione. Non mancarono però le forniture di metalli e combustibili, non fu chiuso il Canale di Suez. Le imprese italiane ne trassero invece grande stimolo, si applicò l’autarchia. Pareva che al Mondo interessasse poco la sorte di quell’antico Impero o che fosse stata meglio l’occupazione italiana. Si ottennero, così con le sanzioni, grandi risultati: nel campo della chimica (materie sintetiche e plastica) dei materiali sostitutivi (compensati e laminati) nel campo dei surrogati (bevande e cioccolata) oltre un notevole sviluppo dell’industria nazionale.

Inoltre, sin dal febbraio del 1935 furono inviate, specialmente. in Eritrèa, migliaia di lavoratori civili volontari, per organizzare basi d’operazione, partecipazione che caratterizzò così questa guerra.  Mentre la R. Marina accrebbe la potenzialità dei porti e in particolare a Massàua, Assab e Mogadiscio. Il Gen. d’Armata De Bono assunse le funzioni di Alto Commissario e poi di Comandante Superiore in A. O., e il Gen. di Corpo d’Armata Graziani fu nominato Governatore della Somàlia. Contemporaneamente. vennero mobilitati i due RR. Corpi di truppe coloniali, decuplicandone la forza mediante chiamata alle armi della forza in congedo e nuovi arruolamenti volontari e costituendo bande regolari e irregolari.

Appare chiaro che si volesse attaccare da due direzioni: una da sud che partiva da Mogadiscio ed una da nord che partiva da Massaua. Una terza armata ma di minori dimensioni marciava anch’essa verso Addis Abeba ma da nord-ovest via Gondar ed il comando era dei vertici del Partito (Starace, Farinacci) ed anche se non fu determinante nella conduzione della guerra ebbe il merito di raggiungere, occupare ed esplorare la vasta regine di Gondar, la zona del lago Tana e dell’emissario Nilo azzurro.

All’alba del 3 ottobre. Tre Corpi d’Armata composto da truppe nazionali ed ascari, varcarono la linea di confine, il fiume Marèb conquistando il Tigrai, zona nord dell’Etiopia la città santa di Axùm e spinse reparti verso il Tacazzè, mentre il Corpo eritreo estendeva l’occupazione alla conca del Farà Mài, Intanto, insieme con altri capi, si sottomise quello di Macallè, il degiac Hailè Sellasiè Gugsà. Alla fine d’ottobre. il I Corpo occupò Mài Uèce e 18 novembre. Macallè, col fortino di Endà Jesùs, glorificato - a suo tempo- dall’eroica difesa del Magg. Galliano, estendendo la conquista fino a Dolo. Con la conquista di Adua pareva poi di aver vendicato le sconfitte della guerra precedente e si rafforzava il senso di rivalsa.

La guerra veniva però condotta con metodi coloniali di vecchio stile, si cercava quando possibile la sottomissione della Popolazione e del Clero, ma l’Italia voleva una guerra magari feroce ma breve e risolutiva e per accentuare i propri intendimenti, a fine novembre. sostituì il Gen. de Bono, nelle funzioni di Comandante Superiore in A. 0., col Mar. d’Italia Badoglio, Capo di Stato Maggiore Generale.

 Anche sul fronte somalo, le operazioni si iniziarono il 3 ottobre, il 4 venne occupata Dòlo abissina; il 5 Gherlogubi e incominciarono i bombardamenti aerei contro il campo trincerato di Gorrahèi; il 18, dopo tenace combattimento, si conquistò la forte posizione di Dagnerèi. Avvenivano subito sottomissioni, tra cui quella del sultano degli Sciavéli Olol Dinle, che già il 20 e 21 concorreva allo nostre operazioni occupando Callafò Ghelédi. Il 26, dopo combattimenti, si occupò Scillàve e il 26 avvenne un altro combattimento vittorioso a Malca Rie.

Sul fronte sud: L’avanzata del gen. Graziani, che disponeva di mezzi più moderni e composta quasi esclusivamente da Volontari (CC.NN.) e truppe coloniali (Libici in prevalenza) dopo vari combattimenti e la sottomissione delle zone musulmane del sud, con il favore del terreno ,il 20 gennaio 1936; truppe autocarrate entrarono a Neghélli (380 km. da Dòlo): il 23 truppe celeri si spingevano fino a Uadarà. La colonna secondaria frattanto, dopo vivacissimi combattimenti, giunse il 25 a Màlca Murri (210 km. da Dòlo).La massa meridionale nemica sul fronte somalo era stata posta così completamente fuori causa si dice che Graziani potesse arrivare per primo in Addis Abeba ma l’avanzata rallentata perché l’Italia voleva che, ad entrare nella Capitale fosse Badoglio alla testa delle migliori truppe dell’Esercito Italiano.

Ormai era consentita una decisa avanzata su tutto il fronte Nord, eccetto che sulla direttrice dell’Asciànghi, ove era segnalata l’avanzata da Dessiè della Guardia del Negus, da lui personalmente. comandata. Pertanto, mentre verso tale direzione si prendevano provvedimenti per rintuzzare il probabile attacco, il III Corpo per Fenaroà giunse il 28 mar. a Socotà; il II, passato il Tacazzè, spinse colonne per Addì Arcai a Debarèc e a Dacuà; altre colonne occupavano l’Amba Bircutàn, Caftà e Addì Remòz; sull’estrema ala Ovest, una colonna procedeva per Noggàra e Abdelràfl lungo il confine etiopico-sudanese.

Il 31 marzo 1936, l’attacco delle truppe del Negus diede luogo alla violentissima battaglia del Mecàn o di Mài Cèu, che terminò il 2 aprile con la rotta delle truppe etiopiche, le quali, inseguite dai nostri e martellate dall’aviazione e dai violenti attacchi dei nostri ausiliari Azebò Galla, subirono la più disastrosa ritirata, e il Negus, con pochi uomini, raggiunse Addis Abeba per strade di montagna. Al Negus fu consentita così la via di fuga e dalla Capitale, via Gibuti raggiunse l’Inghilterra,(ove restò in esilio per oltre quattro anni, per poi rientrare in Addis Abeba, da alleato degli Inglesi, il 5 maggio 1941, lo stesso giorno in cui cinque anni prima vi entrò Badoglio alla testa delle sue truppe vittoriose),previa una sosta in Terra Santa per suo espresso desiderio.

La Guerra si vinse perché condotta con metodi industriali, grande impiego di mezzi, superiorità dell’aviazione ed in casi estremi con l’uso di gas tossici. Per questo ultimo aspetto i partecipanti alle azioni hanno sempre negato e confermato di non avere notizie. In realtà usarono i gas l’aviazione e unità specializzate di artiglieria, prima degli attacchi ravvicinati su contingenti nemici che si appressavano a compierli. Quantità, località, date e metodi, relativi all’uso dei gas sono stati desegretati a partire dagli anni Settanta.

La vittoria permise al Duce, che allo scatenare della Guerra aveva detto di aver pazientato quaranta anni riferendosi alla sconfitta di Adua la proclamazione dell’Impero ed il conferimento al Re del titolo di Imperatore. Per Lui nessun riconoscimento era già stato insignito fin dal 1924 della più alta onorificenza: Il Collare dell’Annunziata, mentre Badoglio fu proclamato Duca di Addis Abeba e Graziani Marchese di Neghelli.

Ma l’occupazione completa del territorio, in Etiopia, non avvenne completamente e segnò anni di guerriglia e ritorsioni dolorosissime, a partire dall’attentato a Graziani nominato Vice Re al rientro in Patria di Badoglio, con l’eccidio dei Civili in Addis Abeba, l’eccidio dei Seminaristi di Debra Libanos, di Ras e dignitari (Vescovo di Axum) che non intendevano arrendersi e le operazioni di così detta “Polizia Coloniale”.

La resa agli Inglesi, del Duca D’Aosta, nominato Vice Re dopo gli eccessi di Graziani, sull’amba Alagi durante la Seconda Guerra Mondiale, segnò la fine dell’avventura.

 (D) LA DECOLONIZZAZIONE

(Dal 1941/’45 al 1975)

(11) A partire dalla conclusione del Secondo Conflitto Mondiale e dai suoi effetti immediati, l’Italia perde il suo Impero già nel 1941 le sue colonie, completamente circondate da quelle degli Inglesi, cadono sotto il loro dominio (le ultime battaglie perse: Cheren in Eritrea ed Amba Alagi in Etiopia) inizia un esodo di profughi volontari e coatti a ritornare in Patria, circa centomila persone, circa l’ottanta per cento dei residenti abbandona, alcuni si disperdono nel Mondo, i Militari tradotti in prigionia, il trasporto avviene  a carico della Croce Rossa Italiana a mezzo di transatlantici trasformati in navi ospedale (Le Navi Bianche), chi resta lo fa per attaccamento a quella terra e per continuare le attività e non abbandonare i beni. Tutti verranno poi rimpatriati quando l’Etiopia, eliminato Hailé Selassie, diventa una Repubblica Popolare a regime comunista.

A partire dal 1945, a cascata; le forme di colonialismo assumono altre caratteristiche rispetto alla precedente epoca coloniale. Il coinvolgimento delle Popolazioni prima assoggettate, alla guerra, avveniva con la promessa implicita del loro riscatto e della liberazione dei loro territori.

Già durante il Primo Conflitto Mondiale seppure in misura minore, questa prospettiva era già stata proposta ed attuata, ma poi tradita dalle Grandi Potenze coloniali. Sin d’allora comparvero per la prima volta in Europa truppe di colore al fianco degli Alleati. Persino l’Italia arruolò truppe libiche che vennero trasferite in Sicilia ma poi non inviate al fronte, costituendo una riserva.

Con la Seconda Grande Guerra la partecipazione attiva sui vari fronti di Senegalesi, Nigeriani, Sudanesi, Indiani, Nord Africani, Etiopici, affiancò gli Alleati, mentre Libici ed Eritrei furono impiegati dall’Italia. La promessa però di libertà ed autonomia questa volta non fu tradita. Si erano formati ormai grandi Capi del calibro di Ghandi, Hailè Selassié, Yomo Kenyatta ed altri che con vari metodi ottennero che le promesse venissero rispettate ed i loro Paesi ottennero, seppur in periodi diversi la completa indipendenza.

Si aprì così una fase storica conosciuta come Decolonizzazione che a partire dal 1945 al 1975 porto gli Stati liberi del Mondo a duecento ottobre mentre tra il 1920 ed il 1939, un totale di solle 63 nazioni erano Stati membri della Società delle Nazioni. Alla Decolonizzazione che di per sé era motivo di orgoglio e prestigio seguì, accentuandosi, la crisi dell’Europa, il tramonto dell’Occidente preconizzato dai filosofi della metà dell’ottocento (Spengler) e mentre le Popolazioni di quello che per decenni è stato definito Terzo Mondo (cioè l’insieme delle nuove nazioni che acquisita l’indipendenza si avviavano con difficoltà ad un futuro autonomo con la Jugoslavia formalmente al loro capo e l’intenzione di non allinearsi ai due blocchi principali) diminuivano, quelle di queste ultime segnavano una vertiginosa crescita.

(12) Al termine della guerra, l'Europa, ridotta a un cumulo di macerie, completò il processo di involuzione iniziato con la prima guerra mondiale e perse definitivamente il primato politico-economico mondiale, che fu assunto in buona parte dagli Stati Uniti d'America. A essi si contrappose l'Unione Sovietica, l'altra grande superpotenza forgiata dal conflitto, in un teso equilibrio geopolitico internazionale che fu definito poi guerra fredda. Le immani distruzioni della guerra portarono alla nascita dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), avvenuta al termine della Conferenza di San Francisco il 26 giugno 1945.

Infatti con la Conferenza di Yalta (4/11 Febbraio 1945)Fig.22 La Conferenza di Yalta (Fig21)i Vincitori decisero un nuovo assetto del Mondo designandone le aree e ponendole sotto il loro controllo. Molte Nazioni si sono riscattate, ma l’Europa Occidentale, ben circa ottanta anni dopo l’evento, è ancora soggetta agli Anglo-Americani

E’ lungo questo nuovo corso che avviene la guerra d’Algeria contro una Francia riluttante, La nazionalizzazione dell'industria petrolifera iraniana nel 1951/1954 fu disposta dal primo ministro nazionalista Mohammad Mossadeq che intendeva recuperare la sovranità sulla più importante risorsa naturale del Paese. delle risorse petrolifere in Persia la nazionalizzazione del Canale di Suez nel 1956 per iniziativa dell'allora presidente egiziano Gamal Abdel Nasser; la decisione, celebrata dagli egiziani come una sfida all'imperialismo europeo, spinse Gran Bretagna, Francia e Israele a intervenire militarmente e a occupare la zona del canale, ma su pressione degli Stati Uniti d’America, che avevano favorito il nuovo corso, desistettero.

Tra il 1974 e il 1975, dopo più di un decennio di guerra, il Mozambico e l’Angola acquisiscono l’indipendenza, così come la Guinea Bissau, l’arcipelago di Capo Verde e le isole di Sao Tomé e Principe. Il Portogallo, nazione all’origine della conquista dell’Africa dal XV secolo, è l’ultima potenza europea ad accettare l’emancipazione delle sue colonie.

(13) La data del 1975 segna quindi la fine dell’Era Coloniale ed è importante anche per l’Italia che a seguito di un colpo di stato che instaurava il Regime comunista e poneva fine alla vita dello stesso imperatore Hailé Selassiè ad opera del militare Manghistù Hailé Mariam era costretta ad evacuare le Comunità italiane d’Eritrea ed Etiopia che lì risiedevano ormai solo per questioni di lavoro.

(Leggi anche https://www.maitacli.it/attualita/312-40-anniversario-dall-espulione-dall-eritrea-etiopia)

Alla progressiva lenta, ma costante crescita delle nuove Nazioni, il Mondo si avviò alla Globalizzazione, già ipotizzata agli inizi del 900 con strutture che assumevano un valore sovra nazionale quali le Poste e Telegrafo, la Croce Rossa, la reciprocità dei rapporti tra Stati ecc. Il termine in uso, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo. Il rapido ed enorme sviluppo nei campi del trasporto e delle comunicazioni, il diffondersi di internet, non hanno che consolidato questa tendenza che caratterizza ormai il modo di vivere di quasi tutta l’Umanità.

Vedi anche < https://www.youtube.com/watch?v=FeQ3kYrX3M0 > 

(E) IL NEO COLONIALISMO

(Dal 1945 ad oggi)

(14).Nonostante il processo di Decolonizzazione dovuto alla promessa di libertà ed autonomia, per il tributo pagato dalle Genti, con la partecipazione alla Seconda Grande Guerra al fianco degli Alleati e nonostante il processo fosse favorito dal Liberalismo statunitense e dal Socialismo reale dell’Unione Sovietica, alcune Nazioni non solo si imponevano sulle altre per gestirne i mercati e continuare ad approvvigionarsi di materie prime e del prodotto delle terre. Nasceva cosi, contemporaneamente al periodo di Decolonizzazione il nuovo fenomeno definito da subito “Neo Colonialismo”.

In questo processo una novità: interferivano e condizionavano le nuove giovani nazioni, grandi imprese commerciali che si erano date una struttura internazionale, le Multinazionali appunto, a partire dalle aziende petrolifere (che furono le prime e che operavano sin dai primi decenni del ‘900) Ad altre tipo: imprese estrattive, dell’agricoltura intensiva, del disboscamento, della finanza e del marketing, solo per citare le principali. Data la loro articolazione e gli ingenti capitali di cui dispongono sono in grado di condizionare qualsiasi Governo.

Popoli e Nazioni più progredite ed in rapida espansione hanno continuato a sfruttare i Paesi ex-coloniali, in genere quelli che furono della propria area d’influenza o ai quali avevano lasciato ad esempio la lingua. Non più con l’impiego di cannoniere o di armati ma approfittando, per la loro ricchezza, di Paese poveri governati spesso da dittatori ispirati al nazional-socialismo spesso corrotti o corruttibili a causa delle loro scarse risorse e manie di grandezza.

(15).L’Inghilterra ha mantenuto il controllo sul Commonwealth (alcune ex Colonie rimaste anglofone e seppur formalmente libere associate al Regno Unito). La Francia controlla la moneta e gli eserciti di molti Stati del Centro Africa e dell’Africa occidentale, gli Stati Uniti favoriscono i Regimi pseudo democratici mentre la Russia e la Cina tutelano le Autocrazie.

A partire dagli anni settanta, si aggiunge, al nuovo corso, la Cina che a causa delle sue grandi ricchezze ed in forte crescita demografica era stata solidale con gli ultimi Paesi che si avviano alla liberazione, ma nello stesso tempo affermava la sua ingerenza solo con l’investimento finanziario in opere pubbliche (Autostrade, metropolitane, ponti, ferrovie, edilizia abitativa) ed accaparrandosi terre per la produzione agro alimentare con lavori di bonifiche, costruzione di dighe, irrigazione, principalmente in Africa. Tutti contratti a carattere commerciale e riscattabili dai Governi dei Paesi ormai sotto la propria influenza; riscatti improbabili e ad ogni buon conto tutelati da basi militari potenti ed in piena efficienza. 

Fig.23 Soldati cinesi sbarcano a Gibuti 12 aprile 2016