"Il travagliato impero di Hailé Selassié"

  1. A) Ribellioni regionali B) Complotti e congiure di Palazzo C) Colpi di Stato.
Premessa

Il ritorno al potere di Hailé Selassiè nel 1941 è caratterizzato da atti di manifesta clemenza non solo verso gli Italiani residenti nell’impero ma anche verso i Ras che con gli Italiani avevano collaborato durante il conflitto, salvando loro la vita e riconoscendo per alcuni le loro cariche e prerogative.

Così che: Ras Hailù Tecla Haimanot che con i propri armati aveva combattuto con gli Italiani, i guerriglieri, veniva posto in residenza coatta nella Capitale; così ai ras: Chebbede Mangascià Atechim,Ghetaccioù Abate oltre al degiac Mangascià Ubié. Ad Afework Gabré Iyasus che aveva addirittura ricoperto cariche a Roma commutò la pena di morte per alto tradimento confinandolo nel Gimma; come confinò a Gore il degiac Hailé Selassiè Gugsa che passò dalla parte degli Italiani, in piena guerra disertando il fronte a Macallé (1935). Ras Sejum Mangascià, collaborazionista, che aveva avuto un ripensamento nell’ultima fase della guerra, rientrando nei ranghi, ebbe salva la vita, i beni e le cariche anche lui dovette solo risiedere nella Capitale.

Addis Abeba riconquistata era in pieno caos: predoni armati, bande di collaborazionisti, ex ascari e gruppi isolati di soldati Italiani, masse enormi di disoccupati a causa della sconfitta degli Italiani e di questi dipendenti problemi enormi che affrontò svincolandosi man mano dal protettorato inglese che lo aveva riportato in Patria ma che prevedeva la piena autonomia solo dopo la firma del trattato di pace con l’Italia (cosa che avvenne ben  quattro anni dopo).

Hailè Selassiè non attese e nominò invece sette ministri e ridava così vita al suo governo nazionale. Diede una nuova Costituzione, istituì un Parlamento anche se di nominati.

Ripreso così il potere sapeva di dover riportare l’ordine anche nell’estrema periferia dell’Impero. Nel marzo 1942 reintrodusse la pena di morte, divise l’Impero in dodici province più l’area metropolitana di Addis Abeba. Con la nomina dei Governatori, l’Imperatore, ridimensionava lo strapotere dei Ras, toglieva loro le varie Milizia stabilendo il principio di un solo esercito ed una sola burocrazia imperiale.

Riforme importanti, ma una la mancò e forse fu il suo più grande errore non provvide ad una riforma agraria. Dall’agricoltura dipendeva, allora, la vita dell’intera popolazione etiopica: una galassia di etnie, che deteneva però una minima parte delle terre mentre quasi tutte erano in possesso degli Amhara: famiglia imperiale, Chiesa copta, vari Ras e Dignitari privilegiati. Fu forse questa insolvenza che rese il suo potere di carattere illiberale, anti democratico, autocratico, mal sopportato dalle avanguardie delle nuove generazioni, non in linea con i tempi che andavano profilandosi.

  1. A) Ribellioni regionali
Sin dal suo rientro e sino al 1944 l’Imperatore dovette impiegare l’esercito appena ricostituito per sedare la rivolta di Teodoro uno figlio di Ligg Jasu che data la linea di discendenza ereditaria poteva anche aspirare al trono.

Le repressioni invece nell’Ogaden furono quasi una costante per tutta la durata del regno ma nel primo citato periodo Mohamed Jahio sultano dell’Aussa aveva mire seccessioniste, così come i Somali del clan Gheri Jarso non riconoscevano le frontiere e la rinnovata imposizione di autorità degli Etiopici.

Ma la più minacciosa delle rivolte fu quella del 1943 scatenata con altro chiaro carattere secessionista della vasta ed importante regione del Tigrè, denominata Woyanè capeggiata da Yekuno Amlak Tesfae alla testa di oltre seimila contadini insorti. A smuovere i contadini non erano tanto le nostalgie del passato ed i fasti del negus neghesti Johannes che da quella zona dominava il resto dell’Abissinia non ancora vasta come l’impero che Hailé Selassie aveva ereditato da Menelik e che costituiva l’intera Etiopia così come noi oggi la conosciamo, ma: le tasse eccessive, la corruzione dei Funzionari, il costo dell’esercito a presidio della provincia.

Yekuno Amlak Tesfae mal sopportava, per tradizione familiare, il potere di Hailé Selassie considerato un usurpatore.

Caddero inizialmente sotto il controllo dei ribelli. Macallè, Adigrat, Quihà ed Enda Jesus e questo era intollerabile, l’Imperatore affidava quindi al ministro della guerra, Abebè Aregai la dura repressione supportata anche dall’appoggio aereo fornito dagli Inglesi che partivano dalla base di Aden.

Altra riprova che ormai Hailé Selassie fosse sostenuto dagli Americani in campo economico e diplomatico e dagli Inglesi anche con azioni militari, sempre rimaste segrete, che consistevano nel supporto con caccia bombardieri che si alzavano sempre dalla base di Aden.

Qualche azione di questo tipo si verificò anche nell’Ogaden che per tutto il periodo è stata la zona più instabile e quindi sorvegliata in modo continuo.



  1. B) Complotti e congiure di Palazzo.
(Parte prima di due)

Già durante il primo decennio dal ritorno dell’Imperatore oltre alle rivolte di cui abbiamo parlato, si ha memoria e conoscenza di almeno quattro complotti che hanno in comune una caratteristica: i responsabili erano militari che si erano distinti nella lotta contro l’occupazione italiana. Del primo complotto fu responsabile Belai Zellechè che gli Inglesi consideravano il più abile e risoluto tra i guerriglieri, che non ritenne sufficiente di essere stato nominato Degiac e Governatore di un distretto del Goggiam mostrandosi, da quella sede, ribelle agli ordini che gli venivano dall’alto perché considerava imperdonabile ad Hailé Selassie di aver abbandonato il campo durante la guerra con gli Italiani agevolandone quindi la vittoria. Ma ciò che mosse l’Imperatore ad agire con prontezza ed in modo duro fu la scoperta che Belai Zellechè si fosse alleato con Mammo Hailù per riportare il padre di questi: ras Hailù Tecla Haimanot, alla guida della Regione, fiori dagli schemi imperiali e contando su un vasto consenso popolare locale.

Un forte contingente dell’esercito fu inviato quindi ad invadere il distretto (Bechena) del Goggiam ed ebbe la meglio ma dopo ben tre mesi di combattimento (febbraio-aprile 1943). Arresosi, Belai Zellechè veniva tradotto insieme ai complici maggiori nella Capitale, condannato a morte ed impiccato nell’ippodromo Janhoy Meda dinnanzi ad una grandissima folla.

Già all’inizio del 1942 “blatta” Takele Uolde Hawariat altro eminente personaggio della lotta all’Italia occupante considerato politico di sentimenti repubblicani, contando sull’appoggio di un gruppo di militari, contava di organizzare libere elezioni per l’elezione del Parlamento e che coadiuvasse un Sovrano costituzionale. Venne quindi incarcerato per il tentato sovvertimento del potere imperiale e rimase in carcere fino al 1945: Una volta liberato l’Imperatore per mostrare la sua clemenza gli riaffidò cariche pubbliche ma solo due anni dopo ritornava in prigione per aver ordito altro complotto dove restò per altri sette lunghi anni. Nuovamente liberato fu nominato Vice Ministro degli Interni, tanta era la considerazione per i meriti del passato.

Takele Uolde Hawariat non era tipo da scendere a compromessi o rinnegare la sua natura ribelle, tale da trascorrere ben quindici anni nelle segrete del Palazzo per rinunciare ai suoi piani. Mai e con nessun altro ribelle l’Imperatore era stato così tollerante.

(Seconda ed ultima parte)

Altro complotto, ad opera di Negasc Bezabé, fu sventato nel1951 ed era il terzo. Il responsabile già Vice-ministro e Presidente del Senato aveva acquisito notevole prestigio per avere efficacemente contrastato gli occupanti italiani. Fu il temuto avversario dei generali Graziani e Cavallero, era però anche egli di sentimenti repubblicani ed assieme ad altri programmava, niente che meno, che l’eliminazione di Hailé Selassie. Prevedeva, Negasc, di mettere a capo della repubblica ras Immirù Hailé Selassie, cugino dell’Imperatore che riscuoteva un grande consenso popolare per le sue idee progressiste che per il suo ruolo nel contrasto all’occupazione italiana. Arrestato in un convegno clandestino grazie ad un infiltrato il suo commilitone Gherarsù Duchì, fu processato e condannato a morte.

Hailé Selassie gli commutò però la pena capitale nel confino a vita nel Gimma. L’atto di clemenza fu forse dettato dalla reazione popolare all’esecuzione invece di Belai Zellechè responsabile del primo complotto descritto. All’arresto di Negasc Bezabé e dei suoi complici, procedette un allora giovane ufficiale: Manghistu Neway, lo stesso che nel dicembre del 1960, effettuerà il primo, fallito colpo di Stato di cui si parlerà in seguito.

Nel giugno 1959 durante una visita dell’Imperatore in Unione Sovietica un quarto complotto fu sventato da Maconnen Hapte Uold, capo di uno dei tre Servizi di Sicurezza di cui si avvaleva Hailé Selassie, che prevedeva l’eliminazione del Sovrano con un ordigno che avrebbe dovuto essere lanciato, ancora una volta da un Capo che si era distinto contrastando l’occupazione italiana, certo Hailù Kibret. La congiura fallita quindi sin dalla fase della sua realizzazione non impedì che il Sovrano portasse a termine il suo viaggio in altri Paesi dell’Est, d’Europa ed Egitto come da programma.

Hailù Kibret che aveva rimproverato l’Imperatore di essersi circondato di collaborazionisti, l’aveva fatto in modo astioso e dinnanzi alla Corte era per questo caduto in disgrazia.

Alla sicurezza dell’Imperatore provvedevano tre sezioni indipendenti ed in competizione tra loro: oltre a quella del fedelissimo Maconnen Hapte Uold, citato, che ricopriva anche la carica di Ministro per il Commercio, operava il Capo del Servizio di Sicurezza, il colonnello Workeneh Gebeyehu, membro del Gabinetto Privato del Sovrano ed una terza che dipendeva dal Ministero degli Interni affidata al ras Andergacciù Massai genero dell’Imperatore.

Il sistema informativo ed i suoi apparati repressivi costituirono una certa garanzia di stabilità che consentì all’Imperatore di svolgere anche una certa attività internazionale con molti viaggi all’Estero: Sino a che le minacce non si verificarono in modo più serio: cioè all’interno delle Forze Armate.

  1. C) Colpi di Stato
(Prima parte di due)

I colpi di Stato per abbattere Hailé Selassie furono due, le vicende le conosciamo meglio, a differenza delle ribellioni e dei complotti che passavano quasi sotto silenzio, i colpi di Stato ebbero maggiore risonanza perché maturati nell’ambito dei militari della Guardia Imperiale, perché i golpisti usarono i mezzi di comunicazione per informare la Popolazione.

Furono vere e proprie rivoluzioni di ispirazione comunista, la prima fallì la seconda costò la vita all’ormai anziano Imperatore e scardinò un Impero che sebbene conservasse caratteri feudali vantava una tradizione millenaria.

Hailé Selassie però aveva mostrato di non essere poi così dispotico e chiuso ad aperture, sebbene garantito nel potere da Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele ed amico dell’Occidente, portava avanti anche una politica di non allineamento, a favore del Terzomondismo; egli si dichiarava tra i Capi dei “non allineati” e non nemico dell’Unione Sovietica teneva buoni rapporti con Tito portò in Etiopia molti professionisti e funzionari jugoslavi. Concesse anche l’apertura di un Centro Culturale dell’Unione Sovietica che molto frequentato che in realtà provvedeva a propagandare l’ideologia e faceva proselitismo tra gli operai più qualificati e gli studenti.

L’ideologia comunista penetrò anche gli ambienti militari e vedremo fin la Guardia Imperiale, Hailé Selassie che paradossalmente disse a Menghistù Newai ,il generale comandante della Guardia Imperiale ed al tenente colonnello Workeneh Gebeyehu Capo dei Servizi di Sicurezza, di affidare loro il Paese, quando si accinse a partire per una visita negli Stati Uniti ed in Brasile. I due, più il fratello di Menghistù, furono proprio gli artefici del Colpo, durante l’assenza per il viaggio.

Ideatore del piano fu inizialmente Germamè Neway fratello minore appunto di Menghistù, che ricopriva all’epoca la carica di Governatore di Giggiga, dopo aver precedentemente ricoperto la carica nel Uollamo, dove appariva come un progressista, promuoveva l’istruzione, si serviva di Comitati di Sorveglianza, distribuiva terre ai contadini fuori dagli schemi tradizionali e latifondisti degli Abissini. Con l’Imperatore che chiedeva conto del suo operato si giustificava che agiva per alleviare fame e sofferenze di contadini senza terre. Il trasferimento a Giggiga era per tranquillizzare il ministro della Difesa Abebè Aregai ed altri autorevoli cariche che, non a torto, accusavano Germame di essere un pericoloso agitatore comunista e facevano di tutto per isolarlo.

Germamè Neway fin dall’inizio dell’anno 1960 aveva convinto il fratello Menghistù, da quattro anni Generale Comandante della Guardia Imperiale, di affiancarlo, con il suo contingente, nella cospirazione. Aderiva, come abbiamo visto anche  l’insospettabile Workeneh Gebeyehu (ricordiamolo: niente meno che il Capo dei Servizi di Sicurezza).

Insieme ad altri complottisti formarono un Consiglio della Rivoluzione composto da venticinque membri che decisero per l’eliminazione dell’intera Corte ma di risparmiare l’Imperatore per i suoi meriti pregressi, optando per il confino.

L’occasione del viaggio in America dell’Imperatore parve propizia e nella notte tra il 13 e il 14 dicembre (1960) Menghistù convocò telefonicamente la Corte e i personaggi più influenti con la falsa comunicazione che l’Imperatrice Menem stesse morendo. Ci caddero in molti, ma non Asserate Kassa vice presidente del Senato, che nel cuore della notte, ricevette una telefonata dalla moglie del Principe ereditario preoccupata per non avere notizie del marito recatosi a cena dalla madre e che sino alle ore due non era rientrato e del sentore che qualcosa di anormale stesse succedendo.

Asrate Kassa  scoperto l’inganno ed intuito il pericolo si rifugiò quindi all’Ambasciata Britannica e da lì avvisarono l’Imperatore che era a San Paolo in Brasile.

(Seconda ed ultima parte)

Al colpo erano estranei però: Esercito, Aviazione, Reparti Speciali e Polizia. Il 14 dicembre gli Insorti prendevano il controllo di parte della Capitale e contarono quindi sulla riuscita del piano ma Merid Mangascià ed Asrate Kassa iniziarono un piano di contrattacco coinvolgendo la Chiesa e l’Aviazione mediante un volantinaggio chiedevano alla Popolazione di restare fedele al proprio Sovrano. Già la Popolazione di per sé non dava prova di volersi ribellare, eccetto alcune migliaia di giovani studenti. Nel pomeriggio gli insorti non più convinti del successo fecero leggere al Principe ereditario Asfa Wossen, loro prigioniero già presente a Palazzo, un proclama alla radio dove dichiarava la fine della tirannide, l’inizio di un nuovo regime di libertà e benessere.

Sul tardi della giornata, la radio annunciava che una nuova Costituzione sarebbe stata varata e che ras Immirù, allora senza cariche a causa dei sui principi liberali sarebbe stato nominato Primo Ministro. Queste comunicazioni però accrebbero la diffidenza della popolazione, solo gli studenti appoggiarono la ribellione e il mattino del 15, per la prima volta nella Storia sfilarono in corteo. Soldati lealisti però li fermarono e li dispersero all’altezza della Stazione Ferroviaria.

Il giorno successivo il generale Merid Mangascià faceva affluire reparti delle varie Forze Armate da molte provincie verso Addis Ababa così che i rapporto di forze si invertì. Merid Mangascià, rassicurato anche dalla Missione Militare Americana, attuava la controffensiva con i Reparti Corazzati arrivati da Nazaret. Si scatenava quindi la lotta nella strade della Capitale, tra l’Esercito e la Guardia Imperiale senza la benché minima partecipazione popolare, cadevano però alcuni civili innocenti.

Le Forze Armate rioccupavano l’aeroporto, la Radio, i Ministeri mentre l’Aviazione bombardava il quartiere generale della Guardia Imperiale.

Venerdì 16 rientrava ad Asmara Hailé Selassie accolto alla Base americana Kagnew Station e la notizia provocò lo sbandamento dei Ribelli: in parte disertarono in parte si arroccarono sulla montagna di Entotto. Il nucleo dei Capi si ritraeva a Palazzo dove sotto stretta osservanza erano stati trasferiti i membri della Corte presi prigionieri la notte del 13 dicembre.

 Falliti i tentativi di mediazione, per una loro resa, con Merid Mangascià; i fratelli Neway aprivano il fuoco, con i mitra, sui venti ostaggi raggruppati nella Sala Verde del Palazzo, quindici rimasero uccisi, tre restarono feriti in due sopravvissero illesi al massacro. Caddero: ras Sejum Mangascià, Abebè Aregai, Mulughetta Bulli, furono risparmiati ras Immirù ed il Principe ereditario Asfa Wossen.

Caddero inoltre: Tadesse Negash, Latibelù Gabré, l’Elemosiniere Abba Hanna Jimma, Maconnen Hapte Uold, quasi tutti uomini che si erano distinti nella lotta contro l’Italia ma spesso invisi al Popolo e di intralcio allo stesso Imperatore tanto che poi si sentì dire, a livello popolare, che Menghistù con l’eccidio avesse fatto l’interesse dell’Imperatore.

Datisi poi alla fuga, i Capi della rivolta vennero braccati dall’Esercito e dalla Polizia, senza l’aiuto della Popolazione sempre verso la montagna di Entotto. Workeneh Gebeyehu finì suicida dopo essersi difeso mentre i fratelli Neway ripararono, a sud forse per ritrarsi nelle Terre dei Galla, alle falde del monte Zuquala. I due opposero una breve resistenza Germamè cadde mentre Menghistù fu catturato ferito. Terminava così l’azione del golpe con un bilancio di circa cinquecento tra morti e feriti e settecento tradotti in carcere.

Il cadavere di Germamè fu appeso ad una forca nella piazza antistante la cattedrale di San Giorgio.

Hailé Selassie, scortato da centinaia di soldati di stanza ad Asmara rientrava in Addis Abeba il 18, ad accoglierlo all’aeroporto accanto al vincitore sul golpe, il generale Merid Mangascià c’era il principe ereditario Asfa Wossen gravato, in segno di sottomissione, di una pietra che portava sulle spalle (come ricordiamo fece Menelik battuto dall’imperatore Johannes, secondo una antica tradizione abissina) ma ciò non fu sufficiente perché non riconquistò più la stima del Padre.

Seguì un processo pubblico che si tenne all’inizio dell’anno dopo: il 10 febbraio 1961, coinvolto anche un Giudice straniero (il norvegese Edward Hambro). Menghistù Neway unico sopravvissuto tra i responsabili si assunse piena responsabilità del colpo di stato, dichiarava di non richiedere la grazia e di averlo fatto nell’interesse del Popolo d’Etiopia sempre fermo ai sistemi arcaici, mentre gli altri Popoli africani progredivano, a suo dire, a passi spediti.

Condannato, venne impiccato il 30 marzo 1961, alle sette del mattino nella Piazza del Mercato, si dice si sia messo egli stesso il cappio al collo.

Ma le cose erano ormai cambiate in modo irreversibile, il Comunismo riprese a circolare nella coscienze se non del Popolo ma tra i giovani (gli studenti) ed i Militari.

Questo accadimento assunse molta importanza, non era mai stata pensabile una rivolta al prestigio di Hailé Selassie, l’evento fu fonte di nuova apprensione per la nostra Comunità che ancora una volta temeva per la propria incolumità ed il proprio futuro. Giorni di incertezza che vennero descritti da: Piero Carossino, Antonio Nofroni e Guido Giacovazzi, nelle loro memorie e che separatamente riporteremo, come testimonianze dirette, per ricordare il clima di quei giorni.

Il Secondo Colpo di Stato

(Parte prima di due, le premesse)

“Il crollo dell’Impero dei Negus”, quello definitivo ed irreversibile (non quello descritto con questo titolo in un saggio apologetico di Mario Appelius a conclusione della Seconda Guerra d’Etiopia 1935/36), passerà alla Storia come provocato da una Rivoluzione di ideologia comunista, ma ancora una volta gli attori principali agirono all’interno del Palazzo e delle Forze Armate con l’ingerenza anche di Potenze straniere a Regime comunista. Vasti strati della popolazione rimpiansero l’ultimo Imperatore nonostante la martellane propaganda contro il suo operato degli ultimi anni.

Da anni ormai si trascinava la guerra in Eritrea, condotta sempre con maggior determinazione dagli Indipendentisti; a seguito di una loro imboscata cadeva, nel novembre del 1970, il generale Teshomé Erghetu comandante in capo delle truppe di stanza in Eritrea. Per il grave fatto, circa un mese dopo il primo ministro Aklilù Apté Uold proclamava lo stato d’assedio della Regione e il Governatore veniva sostituito dal generale Kebbede Gabre, con pieni poteri, già Ministro della Difesa. Non era mai successo che fossero adottati provvedimenti così drastici nonostante, come abbiamo visto, insurrezioni o rivolte regionali si fossero già verificate nel corso della Storia. La guerra larvata, che ormai si protraeva da tempo, diventava così guerra aperta e risolutiva.

Inoltre nella primavera del 1973 dopo tre anni di siccità morivano letteralmente di fame centinaia di migliaia di persone nel Uollo e nel Tigré, ma seppur in misura minore nello Scioa, Harar, Ghemu Gofa e Sidamo, praticamente nella maggior parte dell’Impero. Presero così corpo accuse esplicite contro l’Imperatore da parte di oppositori ma che comunque gli erano vicini. Antichi problemi rimasti insoluti come l’enorme ineguaglianza tra l’élite ed il Popolo, il latifondismo ancora di carattere feudale, l’incapacità di affrontare le calamità naturali, la corruzione, l’impegno dell’Imperatore a volerle nascondere. Anche il suo declino fisico veniva denunciato tra le cause dei mali.

Nel 1974, fin dall’inizio dell’anno il malcontento di Militari, Studenti, Sindacati, veniva manifestato ormai apertamente, la guerra andava ormai male anche in Eritrea, aumentava il prezzo della benzina scioperavano anche i tassisti. I militari della base aerea di Debra Zeit, considerati il meglio delle Forze Armate e che durante il primo colpo di Stato del 1960 furono determinanti per l’appoggio dato ad Hailé Selassie, si ammutinavano imprigionando i loro Superiori. A fine febbraio si ammutinavano le truppe di stanza ad Asmara ed i Marinai della base navale di Massaua.

Hailé Selassiè pareva non rendersi conto della gravità della situazione o pensava, con la sua fibra d’acciaio, di poterla ancora dominare. Infatti dimissionava il primo ministro Aklilù Hapte Uold sostituendolo con il principe Endelcacciù Maconnen di idee più liberali. L’operato però del nuovo Primo Ministro non bloccava però le manifestazioni popolari che coinvolgevano ormai anche parte della Chiesa e si aveva il sospetto che lo stesso Endelcacciù Maconnen dipendesse ormai dall’ affermarsi dell’ auto nominato “Comitato di Coordinamento delle Forze Armate”. Ormai veniva proposto all’Imperatore, dagli ormai pochi fedeli collaboratori, di lasciare la Capitale. Proposta rifiutata, con sdegno dall’Imperatore.

(segue)

(Seconda parte di due, le conclusioni)

A fine giugno del 1974,Militari della IV Divisione occuparono la Stazione Radio ed i principali centri nevralgici della Capitale, qualche giorno prima i piloti della Base aerea di Debra Zeit erano disposti a bombardare il Palazzo imperiale se non trattenuti dal “Derg” appunto come veniva chiamato il Comitato di Coordinamento delle Forze Armate” che assumeva sempre più la responsabilità del coordinamento delle operazioni a carattere sovversivo. Venivano arrestati duecento Dignitari tra i quali: Asserate Kassa ex presidente del Consiglio della Corona, Zeudé Ghebre Hyiot, ministro della Difesa, il generale Abiye Abebé, Ras Mesfin Scilesci governatore dello Scioa, il ministro degli Esteri Menasse Hailè, l’ex ministro Ilma Deressa. Tra gli arrestati anche il vice ammiraglio Iskander Destà, nipote prediletto dell’Imperatore, uomo che avrebbe potuto anche aspirare al Trono, persona liberale, di buon carattere che non serbava rancore neanche verso gli Italiani che gli avevano ucciso il padre. Veniva arrestato anche il fedele generale Tafasse Lemma, comandante della Guardia Imperiale che a capo dei suoi ottomila uomini poteva contrastare il corso degli eventi; al contrario del primo Colpo di Stato (1960) che provocato proprio dalla Guardia Imperiale, veniva invece rintuzzato da Esercito ed Aviazione..

Dopo questi eventi il potere imperiale cessava di fatto, i destini del Paese erano ormai sempre più nelle mani del Derg che il ventidue luglio ebbe il coraggio di formare una delegazione per porgere ad Hailé Selassie gli auguri per il suo ottantaduesimo compleanno, pretendendo che l’Imperatore sostituisse il Primo Ministro: il Sovrano ubbidì! Nominando lijg Mikael Immirù. Ormai il Derg formato dai cervelli della IV Divisine delle Forze Armate deteneva il Potere assoluto.

A metà agosto(1974), i  Miltari smantellarono le Istituzioni di Corte: il ministero della Penna, il Consiglio della Corona, i Consiglieri militari, il supremo Tribunale d’appello all’Imperatore. Non osarono ancora a deporlo ma ne offuscarono l’immagine riportandolo prima alla dimensione umana e poi accusarlo d’ogni male e nefandezza.

Il 26  agosto il Derg abolisce di fatto la proprietà dei beni: pubblici e privati. La situazione veniva compresa nella sua gravità dalla Diplomazia internazionale e ben venti Paesi africani si offrirono per ospitare l’Imperatore. Non avrebbe accettato di lasciare il Paese, perché si portava dietro il “senso di colpa” di averlo fatto nel 1936, persa la guerra con l’Italia e che gli veniva rinfacciato, spesso dai suoi nemici, tra le altre sue colpe.

I primi di settembre il Derg decise di deporre l’Imperatore arrestando addirittura membri della famiglia imperiale tra i quali la figlia prediletta Tenagnè Uorch madre di Iskander Destà. Persino la Chiesa caposaldo da secoli del sistema imperiale, abbandonava Hailé Selassie al suo destino e il patriarca Theofilos benediceva in un radio discorso le Forze Armate ed il movimento rivoluzionario da esse diretto.

Il 12 settembre 1974 tre membri del Derg in delegazione, annunciavano al Sovrano la sua deposizione facendosi accompagnare da ras Immirù con il compito di tranquillizzare l’anziano Sovrano. La deposizione veniva divulgata per radio, l’Imperatore veniva accompagnato presso il vecchio Ghebì che fu la dimora di Menelik dopo una breve sosta presso la caserma della IV Divisione.

 Da quel momento Hailé Selassie pare non essere più in grado di capire la situazione, pretendeva dare ordini ed essere ubbidito, pretendeva di voler svolgere le sue funzioni di Sovrano e supremo Giudice, alcune (poche) persone rimaste al suo fianco continuavano nel mostrare rispetto e deferenza e questo aumentava le sue pretese. L’Imperatore non c’era più ma la figura del vecchio leone restava sempre ingombrante. Nell’agosto del 1975, nella notte tra il 26 ed il 27 veniva eliminato anche fisicamente per soffocamento, non si sa da chi ma si sospetta dietro consiglio di qualche Potenza amica dei rivoltosi. Il giorno 27, con un laconico annuncio radio, poi ripreso dai giornali, il Derg comunicava che il Sovrano era stato trovato morto nel suo letto.

Poco si sa delle stragi di una intera classe sociale, di fosse comuni, di repressioni verso chi Hailé Selassie non lo avrebbe mai tradito, delle interferenze straniere ecc. la Storia, ormai pilotata, nasconderà per sempre la verità e tenderà a nascondere o minimizzare la matrice comunista del complotto, passando a descrivere i progressi e la modernità della nuova Repubblica Federale d’Etiopia.

Noi abbiamo trattato dell’uccisione del Sovrano in altra sede, a suo tempo, al quale si rimanda la lettura, dando per titolo al racconto: “Parricidio”. Finiva, in conseguenza di questi eventi anche il periodo della nostra presenza in quelle Terre, presenza che iniziava nel 1869 e che durava in spirito di rispetto e collaborazione (fatti salvi i brevi periodi di due guerre) con quelle Genti, da oltre un secolo.

  (Fine). Giugno 2020, M.T. La Redazione.