COMPENDIO DI STORIA DELL’AFRICA ORIENTALE

(Del prof. Luigi D’ERRICO)

La storia dell'Africa Orientale è in sostanza la storia dell'altopiano, la storia dell'Etiopia; le genti dei bassopiani, delle pianure costiere, delle depressioni, ebbero vicende che furono il riflesso dei maggiori avvenimenti svoltisi nelle regioni più alte, salubri e popolose, o furono la risultante di contatti con popoli navigatori (egiziani, antichi greci, arabi, europei ).

Due grandi plaghe, a rispettosa distanza dall'acrocoro, videro il sorgere e il decadere di splendide civiltà: l'Egitto, ossia la valle del Nilo, e l'Arabia Meridionale. Fra esse, a contatto con esse, talvolta in fiero contrasto con esse, si svolse la storia antica e recente d'Etiopia, della quale ci mancano molte notizie, almeno fino ad una certa data piuttosto prossima a noi.

Per gli egiziani antichi, il nome di Etiopia aveva significato ben diverso da quello attuale; indicava tutte le regioni a monte, a cavallo del Nilo, abitate da genti di razza diversa, generalmente negri nilotici. In questa accezione, la designazione di Etiopia poteva estendersi tanto ad oriente quanto ad occidente della valle del Nilo senza limiti precisi; è solo in tempi assai più recenti che la denominazione fu spostata e ristretta ai paesi dell’acrocoro e dipendenze, e si dissero etiopici od etiopi le genti non negre dell’altopiano.

Dei primi abitatori non si hanno notizie. Fiorì certamente in Africa Orientale una civiltà della pietra; ma chi furono i fabbricanti degli attrezzi che ancòr oggi si trovano tanto abbondanti? La domanda è ancora senza risposta, benché parecchie notizie possano mettersi insieme circa le culture litiche di queste terre.

Manufatti litici appartengono, per comune consenso degli studiosi, alle età mesolitiche. Si tratta però di affermazioni generiche, e non esattamente corrispondenti al progresso delle culture litiche del bacino del Mediterraneo (Egitto compreso). Il paleolitico dunque sembra assai scarso, ma ciò non significa senz’altro che in quei tempi l’Africa Orientale fosse disabitata ; mentre, d’altra parte, il mesolitico appare, nettamente di datazione più recente delle corrispondenti forme mesolitiche dell’Africa Settentrionale. Forse giunse qui più tardi che altrove, così come giunsero le armi da fuoco inventate e perfezionate altrove, importate dai portoghesi di don Cristoforo da Gama. Neolitico invece non fece in tempo ad arrivare, perché Raggiunto e superato in volata nella corsa verso                       il sud dal diffondersi precipitoso delle culture dell’età dei metalli.

 Qualche oggetto neolitico, evidentemente importato, fu trovato a Jubdo, nelle vecchie miniere già sfruttate dai procacciatori egiziani; e qualche altro viene dalle isole Dahlac, non certo di fabbricazione locale, come una piccola ascia esistente presso il Museo dell’Istituto Tecnico « V. Bottego » di Asmara.

Un pò dovunque in Africa Orientale si trovano i manufatti litici; specialmente numerose ne sono le segnalazioni nella Somalia Italiana ed in quella Britannica, forse perché di più facile accesso per gli studiosi (vedi il nostro Graziosi). Ma non mancano le segnalazioni sull'altopiano (Addis Abeba, Moggio, Baici, Lasta, Gondar e lago Tana, Hamasièn, valle dell'Omo Bottego, ecc.), mentre spesseggiano quelle delle pianure sudanesi. Gli studi possono dirsi appena cominciati.

 

E' per le genti dell'altopiano etiopico che Erodoto coniò il' vocabolo «trogloditi »; la conformazione delle pendici di tante valli, dove l'erosione ha messo a nudo le strutture, è favorevole infatti al formarsi di innumerevoli grotte nelle tenere arenarie sormontate dagli enormi lastroni orizzontali delle vulcaniti basaltiche. Le grotte, che oggi sono sepolcreti o santuarii, furono abitate indubbiamente a lungo da genti ancora sconosciute, e celano forse interessanti notizie per gli studiosi futuri.

La denominazione di Cush, da cui abbiamo tratto il nome dei cusciti, è usata sia nella Bibbia che nelle iscrizioni egiziane ; sembra provenire dal nome di una gente stanziata nei pressi di Napata, e oggi indica la grande maggioranza degli abitanti dell’altopiano. Questi, secondo alcuni autori, .sarebbero di netta provenienza sudarabica, e sarebbero giunti a ondate successive per vie marittime diverse: a nord gli agau e a sud i galla, spinti più oltre a loro volta dall’arrivo dei begia e dei saho a nord e dei somali a sud. Ma sono notizie confuse e in parte contraddittorie, che attendono il diffondersi di eventuali nuove conoscenze. Quanto si è potuto ricostruire della storia ,più antica, ci parla di apporti continui di genti nuove (dal mare) lungo tradizionali vie di penetrazione (valle del Barca, strada fra Zula ed Axum), genti apportatrici di civiltà e di prosperi traffici; con alternative di spedizioni di gente d’altra civiltà e d’altra avidità dalla valle del Nilo. Queste spinte dall’est e dall’ovest, che sembrano quasi essersi alternate, si sono poi mutate spesso in spinte verso l’est o verso l’ovest, quando l’est o l’ovest attraversano periodi di decadenza mentre in altopiano le cose prosperavano: erano allora quelli i tempi dell’imperialismo axumita, ch’ebbe prevalenze sia nello Yemen attuale, sia nelle zone meroitiche. La spinta verso il sud, anch’essa legata a circostanze eccezionalmente favorevoli, è di gran lunga più recente, addirittura può dirsi del secolo scorso e dell’attuale.

La graziosa leggenda della regina di Saba, che va in Palestina ad assorbire la sapienza e la saggezza del re Salomone, e ne ritorna con le tavole della Legge e con un figlio Menelik Primo che sarà capostipite della Dinastia regnante, è stata discussa per secoli. Secondo alcuni si tratterebbe di un racconto proprio delle genti sudarabiche, passato poi oltre Mar Rosso per le continue relazioni e per le remote consanguineità delle popolazioni. Salomonidi sono detti ancor oggi gli appartenenti alla Dinastia regnante sull'Etiopia.

Gli albori del regno Axumita non sono molto noti. Alcuni credettero di poter vedere nei famosi obelischi riflessi della civiltà egiziana ; ma pare ormai assodato che le fondamenta della fioritura axumita siano piuttosto di influsso sabeo, con indiscutibili aggiunte di provenienza egiziana, e con completamenti e sovrapposizioni dovuti alla cultura greca, già sensibili in iscrizioni e monete anteriori al terzo secolo a. C. Gli obelischi potrebbero allora imparentarsi con pietrefitte, meiihir, od altre pietre simboliche di natura più prettamente etiopica, presenti in altri luoghi dell’Africa Orientale, e nella stessa zona di Axum.

Un periodo di prosperità dell'Arabia Meridionale, accompagnato dal formarsi di un grande regno (Saba) condussero i sud-arabi ad affermarsi sull'acrocoro etiopico; ma venne presto, con le discordie e con le lotte fratricide, il decadimento di Saba, ed il formarsi di uno stato indipendente sull'acrocoro, il regno Axumita. Fu questo che presto prevalse in Arabia, dominando gli antichi dominatori, e stringendo alleanza con la lontana Paimira: e quando questa effimera potenza fu annientata dai Regionari romani, cominciò la decadenza del predominio axumita in Arabia. I nomi dei re pagani Afilas ed Endybis sono legati, con tanti altri, alle fortune axumite nella penisola arabica.

Più recente di loro, ma importantissimo e famoso, è il re Ezana, del quale ci rimangono parecchie iscrizioni frammentarie su pietre varie, di interesse davvero. eccezionale. Con questo re, vissuto nel quarto secolo d.C., le spedizioni militari e le conquiste si rivolgono piuttosto alla valle del Nilo, all'isola Meroe, Napata, e forse oltre. Ma l'avvenimento che appare più importante è la sua conversione al cristianesimo per opera di San Frumenzio. E' curioso osservare sulle monete di Ezana la evoluzione dei conii che accompagna la sua evoluzione' dal paganesimo al cristianesimo.

Con Caleb e con altri successori di Ezana la chiesa etiopica si conserva ortodossa, così come si era originata; è del quinto secolo la sua evoluzione verso le dottrine monofisite, seguendo gli avvenimenti che si manifestavano contemporaneamente in Egitto.

Il sesto secolo vede il principio della decadenza dell’imperialismo axumita.

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Fig. 1-— Sfinge ed ara pagana della Dea Dat Himiym

Questi oggetti di culto precristiani furono rinvenuti presso il villaggio di Addì Cramatèn, presso la nota zona archeologica del Cascasse, in Eritrea. Oggi ambedue trovansi presso il Museo del Lieco « Ferdinando Martini » di Asmara.

L’iscrizione, decifrata dal Conti Rossini, significa: HEDEBIL, FIGLIO DI IL MATA, CONSACRO’ A DAT HIMIYM.

Altra sfinge analoga, meno ben consei'vala, si trova all’Asmara, di proprietà dell’Avv. Ostini. Queste sfingi, assai rare in Etiopia, sono databili fra il settimo ed il quinto secolo avanti Cristo. Sulla copertina di questa pubblicazione appare una impressione della medesima sfinge, eseguita dal Prof. Scabbia del Liceo di Asmara.

I persiani respingono gli axumiti dall’Arabia Meridionale, annientano la prosperità degli emporii commerciali del Mar Rosso dove trionfa la pirateria, e con essi le principali fonti della prosperità axumita. Dall’altro lato, Narsete, il grande generale bizantino, risale il Nilo fino a File, e aiuta i nubiani a distruggere i blemmyi, gente del deserto che assicurava le comunicazioni terrestri fra Axum e l’Egitto. I blemmyi spariscono addirittura dalla storia, distrutti completamente dai bizantini e dai loro alleati nubiani, e con essi viene reciso per sempre il legame tra Axum e il mondo mediterraneo. Così, sulla fine del primo millennio d.C., interrotte le vie tradizionali dei traffici e degli scambi culturali, l’Africa Orientale rimane come chiusa in sé stessa, ed attraversa un periodo molto scuro della sua storia. Comincia quello che fu detto il Medio Evo etiopico con il settimo secolo, e dura fino al tredicesimo secolo. Fatti importanti di questo periodo furono : la invasione del nord dell’altopiano da parte dei popoli begia, che completando l’accerchiamento verso il nord indusse i governanti d’Etiopia a cominciare a guardare verso possibili sviluppi a sud; il diffondersi tutto intorno della religione musulmana e l’inizio di lotte religiose cruentissime; e la fortuna della dinastia Zaguè, oggi considerata usurpatrice, con la quale si compirono gli eccezionali lavori di scavo delle chiese monolitiche di Lalibelà. Gli Zaguè, di razza agau, trasferirono la capitale nel Lasta ; il re Lalibelà è considerato santo dalla chiesa etiopica.

La dinastia Zaguè venne abbattuta da lecunò Amlàc, che divenne re; con lui tornano al trono i Salominidi, e da quell'epoca data l'affermarsi della lingua amarica come lingua ufficiale dello Stato Etiopico. Con l'avvento di lecunò Amlàc ha inizio l'Evo Moderno d'Etiopia; comincia a diffondersi nel mondo occidentale la leggenda del « Prete Gianni », che tanta parte ebbe nello stimolare i cristiani a soccorrere l'Etiopia nelle sue lotte contro i musulmani.

Dal tredicesimo al sedicesimo secolo si sviluppa la lotta fra il cristianesimo e la trionfante religione musulmana, che mirava ormai a sopraffare ogni residua resistenza. Vi furono varie vicende, e anzi in certi momenti l'Impero -Etiopico, conquistando a sud quello che perdeva a nord, poteva dirsi nuovamente in piedi e in fase di consolidamento'; ma nel 1508 saliva al trono Lebnè Denghèl, sotto il regno del quale fu quasi completamente distrutto il cristianesimo per opera di un terribile e fortunato guerriero originario dell'AdàI: Ahmèd ben Ibrahìm, detto dagli abissini Gragn, perchè mancino. Il Gragn mise a ferro, e fuoco tutto il Paese, distrusse chiese e conventi con tutte le raccolte di antichi testi e di ricordi storici e culturali, massacrò ogni gruppo di ostinati che non si assoggettavano, e ridusse le estreme resistenze cristiane alle cime di alcune ambe nel Tigrai e ad alcune plaghe dell'Eritrea. Ma il trionfo dell'IsIàm arrivava troppo tardi, perchè frattanto un fatto nuovo preparava un totale cambiamento politico e sociale del mondo: la scoperta della via delle Indie, fatta da don Vasco da Gama che oltrepassò il Capo di Buona Speranza il 22 novembre 1497 e sbarcò a Calicut il 18 maggio 1498, sei anni dopo che Cristoforo Colombo aveva messo piede in America.

L’apertura della via delle Indie, che segnò la decadenza della poteza veneziana, aprì al Portogallo un periodo di trionfi durante il quale pochi guerrieri riuscirono ad imporsi a genti numerosissime su territori immensi, spinti dall’avidità del guadagno, ancor più dalla sete di splendide avventure, ma più che tutto dalla speranza fondata di affermare la religione cristiana tra i popoli pagani.

Don Stefano da Gama, figlio secondogenito di Vasco, dopo molte avventure nell’Oceano Indiano durante le quali gli avvenne di sbarcare fortunosamente a Mogadiscio (primo europeo) e di iniziarvi il dominio portoghese, divenne governatore “delle Indie Orientali portoghesi; nel 1541 era in Mar Rosso, a capo di una piccola squadra navale portoghese, a combattere e vincere i Turchi, ossia i principali alleati di Mohammed Gragn. E nel luglio 1541, incurante della stagione torrida, il fratello di Stefano e quartogenito di Vasco, don Cristoforo da Gama, sbarcava a Massaua e saliva in altopiano a rinfocolare la lotta dei cristiani contro i musulmani. Aveva con se trecento portoghesi armati di moschetti ed archibugi e vestiti di acciaio ; trecento uomini che mutarono la storia d’Etiopia: senza di essi questo Paese sarebbe oggi indubbiamente musulmano.

Prima tappa dei portoghesi fu Debaroa; poi essi mossero contro al Gragn, che frattanto aveva avuto ulteriori rinforzi dai Turchj dello Yemen, lo incontrarono presso Uofìà, e ne furono vinti; don Cristoforo, ferito, fu catturato dalle soldatesche del Gragn, e decapitato. Così l'azio­ne portoghese incominciava con uno scacco. -

Questo fatto fu ben lontano dallo scoraggiare i Portoghesi. Riunitisi in gruppo sul campo della battaglia, come una roccia battuta dai marosi, si ritirarono lentamente, e si diedero poi a raccogliere nuovamente le sparute' schiere dei cristiani, per riprendere con nuovo vigore la lotta. Altre vicende seguirono,- liete o tristi; finché in un combattimento sui confini del Dembeà cadde ucciso da una archibugiata Ahmed ben Ibrahim, il suo esercito venne travolto e distrutto per sempre. Fu così che il cristianesimo tornò in prevalenza sull'altopiano etiopico, e con esso l'autorità del Negus.

Per quasi un secolo durò l’autorità dei Portoghesi in Etiopia ; ma ai guerrieri erano succeduti i missionari gesuiti, che tentarono aspramente di ottenere il congiungimento della Chiesa Etiopica a quella Cattolica Romana, e fallirono nel loro tentativo. Vi erano stati momenti in cui pareva' che i missionari dovessero riuscire nei loro intenti, come quando l’imperatore Susenios dichiarò solenne obbedienza alla S. Sede dinanzi al Patriarca cattolico per l’Etiopia, Alfonso Mendes nella chiesa di Mariam Ghemb sul Lago Tana, architettura mirabile compiuta dal padre Pietro Pais e da alcuni scalpellini ch’egli aveva istruito. Ma ben presto lo stesso Susenios dovette retrocedere dai suoi proponimenti per i contrasti violenti e le uccisioni ch’erano seguite alla sua conversione, e alla sua morte i Portoghesi furono tutti cacciati dall’Etiopia; non rimasero di essi che i castelli, e le chiese ed alcuni ponti, oggi ridotti a ruderi suggestivi : i castelli nella città di Gondar furono restaurati in parte fra il 1935 ed il 1940.

Lo stato di estrema debolezza in cui si trovò l'Etiopia dopo la sanguinosa sconfitta dei musulmani e la vittoria del Cristianesimo Monofisita, favorì l'invasione dei popoli Galla dal sud. Contro di essi lunghe e dure furono le lotte, ma i Galla riuscirono ad insediarsi definitivamente su grandissime estensioni, dominando o sostituendo i primitivi abitatori. Capitale dell’impero era Gondar, dove per parecchio .tempo si susseguirono monarchi poco fortunati, che spesso caddero vittime di congiure di palazzo ; era invalso l’uso di servirsi di soldati Galla, e i loro capi ebbero parte nella storia confusa che rischiò di suddividere l’Etiopia in alcuni stati nemici fra loro. Ma ecco sorgere, verso la metà del secolo XIX0, l’Imperatore Teodoro, valentissimo uomo di guerra, che malgrado la sua fine stabilì per primo energicamente l’autorità imperiale su tutte le genti etiopiche.

Il nome originario di Teodoro era Cahsà. Egli nacque verso il 1820 nel Quarà, paese famoso di fieri ribelli e di belle principesse, ad occidente di Gondar, e fu avviato alla vita mistica in un convento ; ma, rimasti uccisi gran parte dei suoi confratelli durante una locale guerriglia, il giovane monaco cambiò esistenza, si diede alla vita del soldato, riunì ben presto molti seguaci ammirati del suo straordinario valore e del suo genio militare, e finì con l’entrare in Gondar e rendersi padrone dell’Impero. Era imperatore Sahlà Denghèl, marito di una energica donna di nome Menèn, che esercitava il potere mediante il figlio Ras Alì, Galla e proclive all’islamismo. Ma Cahsà spazzò via tutti, vinse e uccise il terribile Ras Gosciù del Goggiàm, vinse sulle più

alte rupi d’Etiopia il Deggiacc Ubiè che dominava il Semièn, il Tigrai e l’Eritrea, e si fece nominare imperatore assumendo il nome di Teodoro Secondo. Con lui non vi erano possibilità di autonomie locali, nè tanto meno di dissidenze dal Governo Centrale ; l’autorità imperiale fu ristabilita spietatamente, e la conquista del potere da parte di Teodoro fu ben lungi dal far cessare i massacri e le repressioni. Ciò non poteva non suscitare una crescente reazione; e fu così che, quando Teodoro venne a conflitto con i rappresentanti della Gran Bretagna che furono imprigionati, e quando un esercito di truppe indiane al comando di Lord Napier giunse in vista dell’amba di Magdala dove Teodoro si era asserragliato, nessuno si unì a lui per combattere lo straniero, e l’Imperatore si uccise all’estremità dell’unico sentiero che sale a Magdala il 25 aprile 1868.

Mirabile dal punto di vista tecnico fu la spedizione inglese; Lord Napier sbarcò le sue truppe a Zula, costruì una strada di cui rimane ancora qualche traccia per far salire cavalleria ed elefanti sull’altopiano, e potè presentarsi da­vanti a Magdala senza colpo ferire per le intese che erano intercorse con tutti i principali capi etiopici, stanchi dell’inflessibilità di Teodoro e sempre timorosi per la loro stessa vita.

sembrutes

Fig. 2 — La Pietra di Sembrutes.

(Venne ritrovata non molto lontano *da Teclesàn, a Decamerè (Dembesàn). L’iscrizione, in bei caratteri greci, significa : RE DEI RE AXUMITI, IL GRAN­DE SEMBRUTES, DOPO CHE E’ ARRIVATO SI E’ FERMATO QUI. Segue una data non chiara, e poi, quasi ima firma: SEMBRUTES IL GRANDE RE.La pietra di Sembrutes è visibile nell’atrio del Liceo « Ferdinando Martini » di Asmara).

Alla morte di Teodoro seguì un breve periodo di anarchia, nel quale riuscì ad affermarsi il capo del Tembièn, che divenne imperatore col nome di Johannes Quarto. L’Imperatore Giovanni vinse Gobasiè ed altri capi minori, tenne in soggezione Menelik re dello Scioa, e si cattivò l’animo del Ras Adàl del Goggiàm nominandolo Re Teclè Haimanòt. Anche il Re Giovarini ebbe chiare virtù militari.

Come la scoperta della via delle Indie aveva mutato le sorti del mondo e portato i Portoghesi in Etiopia in difesa della fede cristiana, così un altro avvenimento venne a mutare le condizioni periferiche dell'Africa : l'apertura del canale dì Suez, che entrò in attività nell'anno 1869. Il Mar Rosso, non più remotissimo, richiamò l'attenzione di tutte le Nazioni europee, e la rivolta del Mahdi in Sudàn diede' incentivo a iniziativa e mutamenti. Già l'Egitto aveva ambiziosamente desiderato di impadronirsi di tutta la valle del Nilo, fino alle sorgenti del NiloAzzurro e del Lago Tana; ma l'impresa, condotta con forze inadeguate, fallì: l'Im­peratore Giovanni sterminò due volte gli eserciti egiziaci, a Gudà Guddì il 17 novembre 1875 (sotto Addi Quala, vèrso il Mareb) e a Gura il 7 marzo 1876 (presso Decamerè). Sotto il peso di quella duplice sconfitta, che assestò un colpo mortale alle finanze kediviali, i piccoli presidi egiziani di Massaua, Cheren e Cassala rimasero come tagliati fuori, e sarebbero divenuti facile preda dei dervisci quando divampò la rivolta mahdista, e Gordon Pascià, governatore del Sudàn per conto del Kedivè d'Egitto, fu ucciso il 26 gennaio 1885 a Khartoum. L'Inghilterra decise di intervenire in Egitto ed in Sudan, chiese ed ottenne che l'Italia favorisse i suoi intendimenti sostituendo i presidi egiziani di Massaua, Cheren e Cassala, e l'Imperatore Giovanni, dopo il breve periodo di tranquillità seguito alle sconfitte egiziane, si trovò di fronte due avversari più pericolosi, i Mahdisti e gli Italiani.

Dopo qualche scaramuccia con gli Italiani; di cui ci rimane il doloroso ricordo di Dogali, l'Imperatore Giovanni, da quel terribile soldato che era, comprese di non poter attaccare con fortuna i forti di Sahati, e si ritirò; decise di affrontare, prima degli Italiani, i Mahdisti, ed infatti lì incontrò in gran numero a Metemma, li attaccò decisamente, e si può dire che li vinse t' 11 marzo 1889. Ma il combattimento era ancora in corso quando il Negus venne-colpito a morte ; condotto a braccia dai suoi fidi fino alle colline che portano ancora il suo nome, il suo esercito si ritirò con lui.

Fu durante il regno dell'Imperatore Giovanni che gli Italiani salirono sull'altopiano etiopico. Sbarcati a Massaua il 5 febbraio 1885, dopo che già Assab era stata dichiarata Colonia Italiana nel 1882, in pieno accordo con gli Inglesi che si preparavano a risalire il Nilo dall'Egitto, gli Italiani penetrarono lentamente fino a Cheren, già capoluogo della regione al tempo degli Egiziani, e si spinsero fino a Cassala (17 luglio 1894).

Massaua rimase capitale della Colonia Eritrea fino al 1900, fino a quando cioè non furono trasportati tutti gli uffici di Governo aH'Asmara, capoluogo dello Hamasièn.

Gli Italiani si spinsero verso il sud con azioni progressive; il Maggiore Toselli col 4° Battaglione Eritreo giunse oltre l'Amba Alagi in direzione del Lago Ascianghi, il Tenente Mulazzani con una Banda giunse nel Semièn oltre l'Amba Abièr. Ma frattanto, giunto sul trono dei Salomonidi Menelik Secondo, gli Italiani incontrarono una decisa e forte reazione, che condusse alla battaglia di Adua, e che li fermò sugli attuali confini dell'Eritrea.

Succedette dunque a Giovanni l'imperatore Menelik Secondo, molto onorato per le sue qualità politiche e per le sue fortune guerresche, ma specialmente per la possibilità ch'egli ebbe di imprimere al suo popolo una potente spinta verso l'unificazione in senso nazionale. Capo di un Paese dove le virtù del soldato furono sempre e sono apprezzatissime, egli ebbe costantemente il dono di una sagace bonarietà che gli accattivava le simpatie delle persone più disparate, e che. lo condusse fino a conferire talvolta alte cariche a chi gli si era ribellato, e che poi, sottomesso, gli rimase sempre fedele.

Nacque Menelik nel 1844 dal Re Hailemelecot, Negus dello Scioa, e figlio a sua volta del Negus Sahlè Sellassiè ; è dal medesimo Negus Sahlè che discende in linea diretta la casata dell’attuale Negus Hailè Sellassiè, denominato prima dell’incorohazione Ras Tafari Maconnèn : il Ras Macohnòn, padre del Ras Tafari, era figlio di una figlia del Negus Sahlè Sellassiè.

La giovinezza dell'Imperatore Menelik fu difficile. Appena dodicenne salì al trono, in seguito alla morte del padre, e poco vi rimase, poiché erano i tempi del Negus Teodoro, che si affacciò allo Scioa e si fece consegnare il ragazzo Menelik; questi crebbe alla corte di Teodoro, e fu lì che cominciò per tempo ad esercitare le sue straordinarie doti di finezza politica. Riuscito a tornare nello Scioa, ricco di una esperienza non comune, cominciò un lento ed accortissimo lavoro di preparazione, che doveva dare i suoi frutti ben venticinque anni dopo, permettendogli di cingere la corona d'Etiopia alla morte del Negus Giovarmi. In questo suo lento cammino, egli ebbe costantemente amici gli Italiani, ai quali pur seppe mostrare amicizia, considerando al giusto suo valore la guerra del 1895-96 e la sua conclusione nella battaglia di Adua (1-3-1896); infatti, dopo Adua accettava in un primo tempo di fatto il confine dell'Eritrea alla linea Setit - Mareb - Belesa Muna, e in un secondo tempo, ricevuto in Addis Abeba il Governatore dell'Eritrea Ferdinando Martini, (1906), stipulava un certo numero di trattati mediante i quali, definiti i confini dell'Eritrea in maniera ufficiale e definitiva, si istituiva la linea telegrafica dall'Eritrea alla Capitale Etiopica, ci concretava un trattato di commercio e di scambio, si autorizzavano le agenzie commerciali italiane di Adua, Gondar e Dessiè, si abbozzava la delimitazione fra l'Etiopia e la colonia italiana del Benadir, ecc.

Durante la vita di Menelik, consolidati i confini a settentrione dell'Impero l'attenzione si svolse alle ricche regioni meridionali ; in quindici anni di guerre, guerriglie e campagne varie, i luogotenenti di questo Imperatore conquistarono tutti i territori compresi fra l'Auasc e l'Abbai a nord e gli attuali confini d'Etiopia a sud, e fra il Somaliland e le malsane regioni paludose dell'occidente.

Morì l'Imperatore Menelik, il 12 dicembre 1913, dopo aver designato per la successione al trono Ligg lasu; ma, dopo un breve periodo di tranquillità si ebbe una fase di incertezze, cui si aggiunsero i contraccolpi della Prima Guerra Mondiale che era iniziata. Ligg lasu, che aveva mostrato una certa simpatia verso le tesi degli Imperi Centrali (Germania ed Austria) rimase con scarso seguito nel Paese, e fu sostituito dal Ras Tafari Maconnen che prese il nome di Haile SeiIassiè, e che era sostenuto da tutto il clero copto ed era favorito dalle potenze in guerra con gli Imperi Centrali (Inghilterra, Francia, Italia). L'incoronazione del nuovo Imperatore avvenne il 7 ottobre 1928.

(regolamenti delle Scuole Italiane ordinano lo insegnamento della Storia fino all’anno 1918, ossia fino alla fine della Prima Guerra Mondiale).

CONCLUSIONE

L’Africa Orientale è una unità geografica, cui corrisponde anche una notevole unità storica. Multiforme nei suoi vari aspetti, nei suoi climi, nelle sue genti, In configurazione dei luoghi, specie la frammentarietà dell’altopiano etiopico, spinse spesso ad autonomie locali, che fiorirono soprattutto nei periodi di decadenza economica e politica. Mai però le autonomie ressero molto a lungo; ogni volta che si ricostituì uno stato forte, la sua forza si basò sulla evidente complementarietà delle grame economie locali, ed altri fattori geografici spinsero con forza crescente alla unificazione, a sfondo a volta a volta dinastico o religioso.

Paese continentale, non marinaro, ebbe tuttavia dal mare i primi colonizzatori e gli ultimi; sempre reagì richiudendosi in sè stesso, ritrovando la sua solitudinaria individualità nella cerchia granitica delle sue montagne, sulle quali gli uomini vivono sani, poveri, liberi.

Cosa abbiano lasciato in Africa Orientale gli antichi Egiziani che frequentarono questi luoghi, non è ben chiaro. Greci e Sabei vi lasciarono un certo numero di scritture su pietra, mentre i Turchi diedero man forte alla diffusione dell’Islamismo. I Portoghesi lasciarono i loro castelli, un piccolo numero di meticci, e la religione cristiana rafforzata nella sua forma attuale; gli Italiani che vi costruirono strade e città, e v’introdussero la loro lingua che oggi viene variata mente intesa da Mogadiscio all’Asmara, da Gibuti a Khartoum.

Il contributo di pensiero degli Italiani alla conoscenza dell’Africa Orientale, in ogni campo dello scibile, è assai rilevante; non si può oggi pensare di acquisir conoscenze su qualsiasi argomento riguardante questo Paese, senza consultare quanto già fu scritto dagli Italiani a conclusione dei più diversi lavori e delle più svariate ricerche.

L’Accademia dei Lincei, col bollo della Reale Accademia d’Italia, ha pubblicato una trentina di grossi volumi di argomento scientifico, esclusivi per questo Paese; fra essi figura l’opera monumentale del Dainelli sulla geologia dell’Africa Orientale, che chiude il periodo delle ricognizioni d’indole generale, ed apre quello delle specifiche ricerche su ciascùn particolare argomento. Il già nominato volume dell’Usoni sulle risorse minerarie è già un primo passo verso un nuovo orientamento specializzato. Per la linguistica e per la storia rimangono i lavori del Guidi e del Conti Rossini, e dei loro seguaci ; per la conoscenza del territorio gli scritti dei nostri esploratori antichi e recenti. Romanzi e libri aneddotici non si potrebbero contare, e rilevante è anche il contributo italiano alla letteratura sull’Arte Militare Coloniale. I medici ed i naturalisti che visitarono il Paese la­sciarono tutti una traccia piccola o grande delle loro osservazioni, dal marchese Orazio Antinori allo Zavattari, dal dott. Castellani alla Scuola di Medicina ancora fiorente in Asmara. Se si potessero raccogliere i libri scritti dagli Italiani sull’Africa Orientale, si costruirebbe una biblioteca di alcune migliaia di volumi.

L’autore di queste pagine trovò una volta a Dabàt, nel Semièn, una lama arrugginita di vecchio spadone senza impugnatura, su cui, tolta la ruggine, comparve una scritta ,portoghese, incisa a martellale a punta di bulino metà su una faccia e metà sull’altra, che suonava così: NON MI SNUDARE SENZA RAGIONE, NON MI IMPUGNARE SENZA ONORE. Quella vecchia lama poteva probabilmente essere stata l’arma di uno dei soldati di don Cristoforo Da Gama ; e l’autore ricordò che la stessa frase, in italiano, poteva leggersi sulla spada di Giovanni de’ Medici, detto delle Bande Nere; era una delle frasi che un tempo venivano usate per istoriare le armi bianche dei soldati.

Con quella frase vogliamo concludere la stesura di queste poche pagine: non senza ragione Portoghesi ed Italiani sbarcarono in Africa Orientale, non senza onore passarono.

Prof. Luigi D’Errico (Il Testo ci è stato gentilmente concesso da Guido Vecchia).