HAILÈ SELLASIÈ

IL GRANDE SCIFTA

 PREMESSA. Questa ricerca che l’Autrice, redattrice da sempre del Mai Taclì, ci autorizza a pubblicare sul nostro Sito è già stata recentemente pubblicata dall’Organo dell’A.N.R.R.A. “Il Reduce d’Africa”. Si riferisce però alle scelte ed all’operato dell’Imperatore in un determinato periodo storico, quello che va dal 1941 al 1951, eventi che anche Eros Chiasserini ha catalogato e descritto, come cronaca, nella sua opera “Gli anni difficili” (scarica pdf):

Il periodo è rivisto da Rita Di Meglio in chiave politica e in un quadro internazionale.

La lunga vita dell’Imperatore ed il suo regno hanno visto alterne vicende e cambiamenti epocali; egli nasce ad Harrar il 23 luglio 1892 ed è morto, per mano di Rivoltosi comunisti il 26/27 (?) agosto del 1975. Il suo Impero è durato dal 7 ottobre 1928 al 9/12 (?) 1974.

Il rapporto tra l’Etiopia e l’Italia è stato per tutto il periodo costante e privilegiato, salvo i periodi delle due guerre tra le due Nazioni (1894-1896 e 1935-1936 ma di questi non trattiamo), altrimenti segnato da pace e costante collaborazione, non scevri da reciproche diffidenze, ed in con i suoi predecessori.

A partire dalla disfatta di Adua(1° marzo 1896) e sino agli Anni Trenta, seguì quasi un quarantennio di pace dove il massimo interlocutore fu proprio Hailé Selassie. Nel 1923 l’Italia ne riconosce la dignità di nazione moderna, appoggiando la richiesta etiopica di adesione alla Società delle Nazioni anche contro il parere negativo dell’Inghilterra.

Sin dalla cerimonia di incoronazione del 1928, viene concessa ad Hailé Selassie la massima onorificenza del Regno d’Italia: Il Collare dell’Annunziata.

Nell’immediato dopoguerra (secondo Conflitto Mondiale)nonostante accadde che gli Inglesi provvedessero, ma a nostro rischio e spese, all’evacuazione di decine di migliaia di Italiani dall’Eritrea e dall’Etiopia e sino al periodo preso in esame e documentato dai due Autori citati, L’Imperatore agì anche in modo diverso volle che alcuni Italiani fossero trattenuti e protetti dalle deportazioni, ma lo fece nell’interesse economico e funzionale del suo Paese. Fece in grande (in ordine numerico) ciò che fece in piccolo ManeliK II, dopo la sua vittoria ad Adua, ordinò che si salvassero dall’eccidio i Sanitari, i Muratori, gli Orologiai (aveva a Ghebì tutti gli orologi rotti…)Hailè Selassie doveva far continuare a funzionare: centrali elettriche, acquedotti ,sanità e trasporti e salvò e privilegiò la decima parte degli Italiani presenti. Noi, rientrati nel 1975, anno in cui l’esodo si completò, siamo tra quelli ed è per questo che in molti lo abbiamo amato e ne serbiamo anche buona memoriahttp:<//www.maitacli.it/attualita/312-40-anniversario-dall-espulione-dall-eritrea-etiopia>.M.T. La Redazione, agosto 2021.

 (TESTO).Difficilmente negli organi di stampa dell’Eritrea e nei documenti del C.R.I.E.[1] a me pervenuti, si fa chiaro riferimento al diretto coinvolgimento del Negus nelle criminose azioni terroristiche, anti italiane ed anti eritree, effettuate dai cosiddetti “Scifta”, che avevano dilaniato l’Eritrea dal 1948 al 1951 circa.

 

[1]C.R.I.E. (Comitato Rappresentativo degli Italiani dell’Eritrea) di cui mio padre fu Presidente dal suo nascere al suo scioglimento. Esso, riconosciuto ufficialmente sia dagli occupanti inglesi che dal Governo italiano, si componeva di un organo centrale ubicato ad Asmara e dei comitati periferici di Massaua, Adi Ugri, Cheren, Decameré-Saganeiti, Senafé-Adi Caié, Agordat, Assab.


HaileÈ invece nel memoriale per la Commissione d’Inchiesta dell’O.N.U. (presente in Eritrea per verificare la volontà politica della popolazione, divisa tra unionisti e indipendentisti), che il Comitato periferico del C.R.I.E. del Seraé (Adi Ugri), redatto il 9 febbraio del 1950, asserisce quanto segue:

Gli Scifta altro non sono che volgari delinquenti e briganti assoldati dal governo di Addis Abeba”.

Da questa coraggiosa affermazione, sono da trarre le seguenti considerazioni.

Le bande di assassini che portavano morte e rovina nella povera Eritrea erano per la maggior parte composte da Etiopici provenienti dal Tigrai, regione limitrofa all’Eritrea. La loro origine era da ricercarsi e ricollegarsi ai predoni che nel corso dei tempi, prima che l’Italia portasse ordine e pace, si erano resi tristemente famosi per le loro razzie, effettuate in Eritrea, di enormi quantità di bestiame e spesso anche di esseri umani da vendere negli appositi mercati esistenti nella loro patria d’origine.

Tali predoni, ancora esistenti nel Tigrai, che per la loro stessa natura erano idonei più di altri ad essere trasformati in veri e propri terroristi, venivano organizzati in bande armate ed addestrati verosimilmente da elementi militari negussiti, per essere lanciati poi nelle terre eritree allo scopo di uccidere, depredare e distruggere, il tutto a spese del “Gran Papà”.

Ciò spiega perché le loro armi erano spesso le stesse in dotazione all’esercito etiopico e perché talvolta quei rinnegati vestivano baldanzosamente le stesse uniformi dell’esercito negussita.

Da evidenziare inoltre che il loro trasferimento in Eritrea avveniva senza alcun ostacolo essendo le frontiere praticamente aperte per volontà delle autorità britanniche.

Gli occupanti infatti avevano tutto l’interesse a che si creassero in Eritrea condizioni di instabilità e degrado per meglio dimostrare in sede internazionale che l’Eritrea non aveva i requisiti adatti ad autogovernarsi. Ciò al fine di sottometterla ad uno smembramento o ad una divisione tra il Regno Unito e l’Etiopia o cederla per intero a quest’ultima.

E sempre a proposito di Scifta, bisogna aggiungere che, oltre agli Etiopici, v’erano gli Eritrei veri e propri, organizzati in bande armate, come quelle dei famigerati fratelli Mosasghì, addestrati anch’essi nel Tigrai.

In questo contesto il partito unionista, favorevole all’unione con l’Etiopia e legato alle forze di occupazione e con queste operante, faceva da tramite tra i terroristi e le loro azioni criminose. A tal fine i suoi rappresentanti si recavano spesso ad Addis Abeba per ricevere dal loro sovrano finanziamenti e direttive.

Lo stesso dicasi per il clero copto eritreo, che in genere sosteneva l’unionismo ed era praticamente subordinato al suo capo, l’Abuna Marcos, “longa manus” di Hailé Sallassié e da questo sovvenzionato.

Spesso infatti armi ed equipaggiamenti destinati agli Scifta erano nascosti in chiese copte ed altrettanto spesso gruppi di cascì (preti) se ne rendevano i finanziatori.

Ma, a parte unionisti e cascì, le impareggiabili e insostituibili vere alleate del Negus erano le stesse forze d’occupazione che ovviamente nulla facevano per debellare gli esecutori del terrorismo.


 

Al contrario era con questi che gli occupanti avevano relazioni dirette attuate in varie maniere, la più chiara e documentata delle quali era quella tramite il maggiore di polizia Martin Brans, perfetto conoscitore delle lingue tigrina ed amarica, il quale, molto verosimilmente, faceva parte dell’“intelligence” britannica. Egli operava in unisono, o alle dipendenze, del colonnello G. G. Crawford, capo dell’ufficio politico britannico di Asmara[1].

Secondo una importantissima testimonianza raccolta dall’impareggiabile giornalista e storico Giuseppe Puglisi, si debbono ricollegare a Crawford alcune delle più gravi azioni terroristiche effettuate sia in collaborazione con il Brans sia in altra maniera e in altre circostanze.

Tra gli altri attentati da attribuire a quei due alti esponenti dell’amministrazione britannica, il testimone di Puglisi afferma che avvenne sicuramente ad opera del Crawford e del Brans l’assassinio politico del sayyed[2] Abdel Qader Kebiré, presidente della Lega Islamica del Hamasien ed insigne personalità del mondo religioso, culturale politico e sociale dell’Eritrea.

Egli si apprestava a recarsi all’O.N.U. per partecipare ai dibattiti in corso sul destino dell’Eritrea e a tal uopo aveva preparato un importante e dettagliato intervento sulle realtà del suo paese. Su di lui erano riposte da tutti grandi speranze di riuscita, allorché fu colpito a morte il 28 marzo 1949, tre giorni prima della sua partenza. L’impressione suscitata in tutta l’Eritrea fu enorme; grandiosi i suoi funerali.

Tale delitto gli inglesi si affrettarono ad attribuirlo ad un emissario del cosiddetto Andinnet, ramo giovanile ed estremista del partito unionista, che pertanto venne dichiarato fuorilegge e sciolto, lasciando tuttavia intatto e libero di agire il partito “padre”.

E dunque, grazie all’impareggiabile Puglisi, fu probabilmente scoperta l’organizzazione criminosa simile a un grosso polipo la cui testa era costituita dalla direzione politica inglese ed i cui tentacoli si diramavano in tutta l’Eritrea stritolando Eritrei ed Italiani, questi ultimi malgrado le loro coraggiose manifestazioni di protesta e di cordoglio.

Il complotto Negus-Inglesi-Unionisti-Scifta era talmente ben congegnato che non poteva non portare al risultato previsto ossia alla vittoria del Negus e alla sua appropriazione dell’Eritrea.

Nel frattempo Hailé Sellassié se ne stava sul suo trono ad Addis Abeba sicuro che, prima o poi, avrebbe inghiottito il succulento boccone eritreo.

Finché ciò non fosse avvenuto, morte e distruzione avrebbero continuato a mietere la loro messe malefica.

In sede internazionale di fronte ad un’Eritrea tormentata e sanguinante non si vide miglior soluzione che affidarla alla “grande madre” etiopica e fu decisa la Federazione (2.12.1950). Con essa il terrorismo finì poiché gli Inglesi, che non ne avevano più bisogno, concessero agli scifta una amnistia (16 giugno 1951) in base alla quale la maggior parte di quei terroristi si consegnarono alle autorità britanniche, mentre altri, i capi, furono lasciati allontanarsi, tornando impunemente nel Tigrai.

Gli Inglesi evacuarono l’Eritrea il 15 settembre del 1952.

Ad ottobre dello stesso anno Hailé Sellassié entrò con grande messinscena in Eritrea, prendendone possesso. Vi rimase fino al 1975, anno della rivoluzione rossa di Menghistu.

 

[1] Fu con lui che mio padre ebbe una fitta corrispondenza, sia per protestare contro l’assoluta mancanza di sicurezza nel paese sia per gli abusi subiti dagli italiani ad opera degli inglesi, sia per chiedere l’attuazione di questa o quella procedura a favore di singoli cittadini italiani o di intere loro categorie, e tant’altro ancora….

[2]Sayyed è il titolo onorifico che l’Islam attribuisce ai discendenti della famiglia del Profeta Mohammed. I Kebiré in Eritrea si dicevano e si dicono tali e riscuotono stima e rispetto soprattutto per la loro irreprensibile condotta.


 

Nel paese di sua nuova conquista fu magnanimo con gli italiani e gli stranieri in genere, anzi li favorì soprattutto nelle loro imprese di vario genere.

Gli conveniva! Aveva dimenticato quanti di loro aveva fatto uccidere!

Con gli Eritrei invece continuò ad essere il Grande Scifta. Li osteggiò infatti in ogni maniera, sostituendo elementi etiopici a tutti coloro che lavoravano nella pubblica amministrazione.

Nel settore privato invece non gli fu facile intervenire poiché gli eritrei lavoravano soprattutto con gli italiani.

Cercò invece di annullare la loro identità culturale sostituendo nelle scuole l’amarico al tigrino e all’arabo che gli italiani avevano introdotto ed alimentato in tutte le maniere.

Fu spietato e crudelissimo allorché nel 1961 cominciò e si diffuse la guerriglia anti-etiopica.

Oltre agli arresti, alle esecuzioni capitali, agli incendi di interi villaggi e a tante altre nefandezze si ricordano con raccapriccio gli eccidi di massa di Ona, Besik Dira, Aillet, Omhager, Agordat e tante altre località.

Erano soprattutto i musulmani ad essere presi di mira. Il nostro cristianissimo Grande Scifta era islamofobo, degno figlio di Ras Maconnen, il conquistatore di Harar e profanatore della sua grande moschea[1].

Si continuò così, come ho già ricordato, fino al 1975 allorché per ordine di Menghistu, Hailé Sellassié fu imprigionato ad Addis Abeba ove fu ucciso in maniera e in data imprecisate.

Si dice invece che ebbe “degna sepoltura” in un cunicolo scavato sotto un urinatoio, ove lo stesso Menghistu, al bisogno, andava a vuotarsi la vescica.

Si consumava così nell’ignominia, la fine di colui che si era creduto più forte del destino.

Rita Di Meglio.


[1] Ved. Rita Di Meglio, L’Islam in Etiopia, breve studio, in pubblicazione.