L’Abissinia e la  colonizzazione arabo-islamica

L’articolo già pubblicato sul Mai Taclì a stampa, nel  maggio- giugno 2007 viene ripreso nel Sito in quanto può essere considerato in prosieguo delle indagini storiche condotte da Emilio Belloni circa lo stretto legame tra Arabi ed Etiopici.

L’Autore in un precedente lavoro ci mostra addirittura l’influenza araba, dalle zone meridionali della penisola in “Abissinia, come, quando e dove “dell’epoca preislamica e della fondazione del nuovo Regno (900 a.C. – 652 d.C.). Nel presente testo l’Autore tratta non più delle pressioni arabe, bensì dell’islamizzazione del Territorio quindi dal 615 d.C. al l’aggressione  di una vera e propria jihad condotta dall’imam  dell’Adal,  Ahmed ibn Ibrahim (1490 -1543) Vedi “I PORTOGHESI IN ABISSINIA” di C. Barberi del dicembre 2016.

Nei primi anni, poi, del XVI secolo, nei cieli tersi dell’Abissinia si addensano nuovamente altre nuvole cariche di minacce. Ma questa volta provengono dai turchi. Il Mar Rosso è solo un braccio di mare che separa le due terre, agevolmente attraversabile anche da sambuchi e troppo vaste e fertili sono le terre dell’Etiopia per non suscitare, da sempre, negli Arabi brama di conquista.

La Redazione Dicembre 2020.

 

L’Abissinia e la  colonizzazione arabo-islamica

Da sempre tra le popolazioni della penisola arabica si piange l’avvenuto distacco del continente africano da quello asiatico. La mano che a suo tempo lasciò la presa e permise alle genti del corno d’Africa di avere una loro libera esistenza e che, ancor oggi, si può vedere ben delineata sullo sfondo del Mar Rosso, è delimitata dalla costa abissina (l’indice) e dalla parte somala (il pollice).

Il comportamento di detta mano è tuttora biasimato dalle genti arabe che si sono sentite tradite per l’abbandono subito. Lo stretto che congiunge il  mar Rosso con l’oceano Indiano e separa lo Yaman dall’Africa, venne chiamato Bab al Mandab, Porta delle lacrime, appunto, a testimoniare quanto fu dolorosa detta separazione, in particolare per le genti dell’ Hadhramut. 

Ancora oggi,  quando i baharin (marinai) passano vicino all’isola di Barim  attraversando o il canale più piccolo, quello orientale, Bāb Iskandar (Porta di Alessandro) o il canale occidentale, Daqqat al qulub  (Battiti dei cuori) intonano un  canto che inizia così:

ABISS
"ahin eyetuha al yadu  limadha taraktina …” (Oh  mano che ci hai lasciati ….)  

L’Arabia è una grande penisola di oltre due milioni di chilometri quadrati. La maggior parte è desertica con distese di sabbia che si susseguono ad immense pietraie. Non piove quasi mai. Solo qualche rivo sotterraneo fornisce acqua ai pochi pozzi sparsi nell’arida distesa e sostiene la vita delle tribù beduine. 

Altrove, la natura è più benigna e in primavera cade un po’ di pioggia permettendo la crescita di scarsa vegetazione e mutando per un breve periodo il deserto in pascolo fornendo così  del cibo a dromedari, capre e pecore.

La parte nord della penisola è abitata esclusivamente da nomadi e da pastori, mentre quella centrale è la meno ospitale ed è costituita dal grande deserto evitato anche dai beduini. Questa vasta zona è  il deserto di Rub'al-Khali  (Quarto o Quadrato Vuoto).

A sud la regione è montuosa, i terreni sono più fertili ed è abitata da popolazioni seminomadi che provvedono al loro sostentamento in parte con i prodotti dell’ agricoltura e in parte con la pastorizia. Questa è la zona ove nasce la  storia e la cultura araba e da dove inizia la civiltà islamica.

Nel concetto arabo l’intera umanità è divisa in tre caste:

- Quella del fallah, contadino sedentario legato al suo pezzetto di terra. Egli è però servo del padrone ed  è anche vigliacco. Appartiene alla classe più infima.

- Quella dei pastori proprietari di mandrie e di greggi. Vagano per i territori della steppa, sono dei liberi figli del deserto.

- Infine vi è la casta superiore, la più libera, la più nobile.  Gli allevatori di dromedari: la classe degli arab che discendono da Ismaele, figlio di Abramo. Essi si sentono: ummatu ibrahim, la gente di Abramo. I loro animali li rendono liberi di spaziare nelle immense distese desertiche della loro terra. Il beduino ha tutto possedendo il dromedario che gli fornisce: un valido mezzo di locomozione, il latte, il sangue, la carne, la lana, e lo sterco da ardere. 

Il beduino, quando è in groppa al suo quadrupede  ed  è armato di  lancia  e di scimitarra ricurva a mezzaluna, si sente invincibile, perché non deve rispettare alcuna legge se non quella datagli da Muhammad. 

Bismillah (nel nome di Allah): il cavaliere del deserto, abbassando la lancia, partì al galoppo verso il paese dai numerosi corsi che forniscono acqua ristoratrice, dalle fertili e verdi valli ricche di pascoli ove vi sono alberi ombrosi e donne abissine eternamente giovani. Questo è quanto bramò il guerriero del deserto andando alla conquista di al-habashah (l’Abissinia).

Verso il 615 d.C. i primi Musulmani giunsero in Abissinia per sfuggire alla caccia aperta in terra araba, dalle varie tribù beduine: al Profeta ed ai suoi seguaci. Le popolazioni locali li accolsero amichevolmente anche in considerazione del grande equivoco che seppero subdolamente generare tra i Cristiani. Sapendo che gli Abissini credono in Gesù e Maria, i Musulmani, scientemente, li vollero confondere recitando i versetti coranici: 

Ricorda ancora quando gli angeli dissero: ”O Maria, in verità Dio ti ha prescelta, ti ha resa pura e ti ha eletta su tutte le donne del creato.” [3 Imran]

Ma quando Gesù si accorse che gli ebrei non credevano, disse: ”chi saranno i miei aiutanti nella causa di Dio?”. “Noi, risposero gli apostoli, saremo gli aiutanti di Dio.” [3 Imran]

“Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità di cui alcuni dubitano.” [19 Maryam ]

Gli Abuna abissini, per innata umile semplicità e per ignoranza, diedero loro una sorta di riconoscimento e li considerarono dei cristiani, senza sospettare che quei fi-sabil Allah, proselitisti del profeta, stavano versando le prime gocce con il quale avrebbero riempito, nel tempo, quel immenso mare, poi,  musulmano con il quale avrebbero circondato e serrato in una morsa  l’isola africana del cristianesimo: l’Abissinia. Questo primo viaggio, diciamo ufficiale, di una delegazione musulmana si identifica come la prima Egira (hijra) detta anche al- hijra saghira , o, la  Piccola Egira.

Inoltre, questi fuggitivi si guardarono bene dal recitare i versetti contenuti nella sura 29 [al ‘ankabut], conosciuti anche come quelli della scimitarra che, come si vedrà in futuro,  regoleranno, a fil di lama, i rapporti tra i muslimun (musulmani), i kafirun (miscredenti: Ebrei e Cristiani)  ed i mushrikun  (associazionisti) .

Ma cavaliere del deserto è l’islam, la sua scimitarra ricurva a mezzaluna, che rappresenta la legge di Allah e non meno di quanto la rappresenti il sacro Corano, che proseguirà la colonizzazione iniziata in epoca preislamica e che in qualche modo aveva posto le basi per la nuova occupazione. Precedentemente, infatti, le genti sud-arabiche avevano già assoggettato intere popolazioni abissine e, incrociandosi con donne del luogo, avevano dato vita anche a nuove tribù, quali: gli Hadendoa-ad Sharaf, Bet Asghedè-ad Sharaf. 

Le prime terre occupate furono le isole Dahlak che, unitamente a tutta la fascia costiera, erano originariamente rette da un Bahar-negassì ed abitate esclusivamente da popolazioni locali, dancale e sudanesi dedite alla pesca e alla pastorizia. I nuovi arrivati, provenienti persino dalle terre dello stretto di Hurmuz, sottomisero i nativi schiavizzandoli. Tra le loro principali attività vi fu lo sfruttamento dei banchi di ostriche perlifere; sfruttamento che  portò sino alla totale  distruzione dei banchi stessi.

Nelle principali isole dell’arcipelago ed in particolar modo su Dahlak Kabir, Dhuladhiya,  e Dahul ancora oggi è possibile trovare tombe con caratteri chufici (al kufa-Iraq) del settimo secolo che testimoniano la costituzione del primo stato islamico dell’arcipelago,  successivamente passato allo Yaman.

Gli stati musulmani della costa orientale del mar Rosso, forti della conversione all’islam  di tutti i tradizionali nemici dell’Abissinia, riuscirono ad annientare il regno di Axum. Le isole Dahlak e Adulis passarono sotto il diretto controllo della mezzaluna e dal porto di Zeila fecero ingresso gli arabi da dove giunsero ad occupare parte delle terre dell’altopiano etiopico.

Nel 638 d.C. tutta l’Africa  nord orientale venne presa d’assalto da orde islamiche che, occupata  la Palestina prima, si diressero  poi sull’Egitto. Nel 641 Amru ibn al-As entrò in Nubia sino ad Assuan. Dal delta del Nilo alla Dancalia vennero issati i drappi verdi e si udì un solo grido di guerra :

La sola  vera religione agli occhi di Dio è l’Islam [3 Imran] 

O voi che credete lanciatevi all’attacco per la causa di Dio [9 al-tawabah]

Quando dunque incontrate in battaglia quelli che non credono, colpiteli al collo e dopo averli massacrati di colpi, stringete bene i ceppi [47 Muhammad]

Quante volte coloro che non credono vorranno essere stati musulmani [15 al-hijr]

Fu l’inizio della totale conquista islamica delle terre cristiane del nord che dal delta del Nilo arrivavano sino a Dongola e giù sino alle terre dei Begia, dove Ubaydallah ibn Habhab impose loro un baqt simile a quello dettato ai Nubiani, obbligandoli a consegnare, ogni anno, tra gli altri obblighi, 500 schiavi. Anche in questi territori iniziò una vera colonizzazione, dove gli arabi della tribù Rabi’a guidati da al-Qummi imposero le loro leggi coraniche, la sharia, sottomisero le popolazioni locali e si impossessarono delle miniere d’oro dei Begia. I Rabi’a si mescolarono con i Begia islamizzandoli, imponendo loro la as-sirat al-mustaqim (la giusta via all’islam),  e costituendo così una sola e forte tribù.

Il conquistatore si sente superiore agli occupati e un prescelto su tutti gli altri uomini. Ha ricevuto la grazia di Allah che lo ha eletto e fatto musulmano. Dice l’hadith “ La terra appartiene a Dio e ai musulmani” e questo spirito di superiorità lo porta a voler impadronirsi del mondo. E’ consapevole che la penisola arabica conta un esiguo numero di abitanti che non bastano ai piani di conquista e quindi spinge sull’eguaglianza di tutti i credenti, senza differenza di razza, e colore purché, appunto, abbraccino la fede islamica.

E’ meglio che tua figlia  sposi uno schiavo credente piuttosto che un miscredente di qualità.[hadith]

In questo modo l’islam creò la premessa del suo successo in Africa e nel mondo: il concetto dell’unità dei credenti e della fratellanza universale. Dal Magreb  alle isole indonesiane tutti appartengono di diritto a  dar al-islam. Erano le prime fondamenta di quel concetto che poi Gamal ad-Din al-Afgani, professore dell’università teologica al-Azhar di al-Kahira (Cairo) dicendo : “Musulmani di tutto il mondo unitevi”, avrebbe posto la base del al-rabitah al-islamiyah, il  panislamismo.

Il compimento dell’opera del Profeta è : Estendete la casa dell’islam su tutte le terre conquistate e la dar al-harb su tutte le terre degli infedeli. Combattete gli infedeli finché non ne rimanga alcuno.

Il geografo arabo Yaqubi dice che i Rabi’a-Begia verso il decimo secolo  occuparono  tutta la fascia  tra il Nilo ed il mar Rosso giungendo sino alla valle del Barca, spingendosi  a ridosso dell’altopiano abissino. I Rabi’a-Begia diedero vita anche  alle tribù Bisharin del Sudan e degli Hadariba del mar Rosso. Un ramo del clan Hadariba si fermò anche a Sauakin, dove formò uno dei nuclei più  potenti e numerosi. 

Gli ad Sharaf  originari della Mecca si mescolarono agli Hadendoa-ad Aiesh formando anch’essi un nuovo ceppo islamico.

L’ondata araba che si riversò nel tempo dall’Egitto sino alle coste abissine del mar Rosso, ed in particolar modo la campagna condotta da Shams al-Dawla, fratello di Salah ed-din bin Yusuf ibn Ayyub (conosciuto in occidente con il nome di Saladino), demolì tutte le chiese della Nubia e del Darfur, distrusse l’organizzazione politico-sociale delle genti locali e forzatamente sostituì il cristianesimo con la religione del “Molto–lodato”. Gli shuiuh (sceicchi) mandati dall’Arabia nei secoli 16° e 17°  completarono la conversione religiosa.

In Abissinia si giunse così a passare dalle solite guerre d’usura sostenute sui confini tra truppe cristiane e musulmane, allo scontro frontale tra le due diversità religiose della zona, e le popolazioni cristiane subirono l’aggressione  di una vera e propria jihad condotta dall’imam  dell’Adal,  Ahmed ibn Ibrahim.

Nei piani dell’imam dello Stato hararino vi era la totale conquista dell’Etiopia. Per l’occasione organizzò un’armata composta da elementi arabi, dancali, somali e begia convinti di portare sulle terre dei miscredenti la vera fede. L’esercito del Ghazi, cosi era chiamato il condottiero dai suoi seguaci, forte di trentamila uomini equipaggiati anche con armi da fuoco fornite dagli ottomani, partì da Harar, occupò l’Amhara, il Lasta giungendo sino al lago Tana. Sul loro cammino lasciarono morte e distruzione. Le chiese, i monasteri e i templi vennero rasi al suolo e con il terrore convertirono alla religione islamica altre popolazioni. Mille e duecento anni di cultura cristiana venivano cancellati dall’imam denominato  il Gragn (il sinistro). Per bloccare la furia distruttrice musulmana,  l’imperatore Galaudeuos chiamò in aiuto dell’Etiopia il Portogallo. 

Nei primi anni del XVI secolo, nei cieli tersi dell’Abissinia si addensano nuovamente altre nuvole cariche di minacce. Questa volta provengono dai turchi che soppiantano gli arabi nel dominio e che, occupato l’Egitto, portano il loro giogo anche sullo Yaman, sulle Dahlak e Massaua. Nuovamente le genti abissine vengono travolte dalla furia degli occupanti islamici.

La colonizzazione islamica dell’Abissinia, partita nel 615 d. C., non è mai terminata, anzi, ai tempi nostri la realizzazione della grande umma si fa sempre  più reale e la pressione esercitata nella zona rimpicciolisce di giorno in giorno l’isola cristiana degli altopiani. 

Tutto questo nella indifferenza più assoluta dei pacifisti nostrani che condannano, come tremendo e solo male, il colonialismo italiano, peraltro durato solo alcune decine d’anni, a differenza dell’altro ancora in atto.  

Gian Emilio Belloni

Nota: fu pubblicato sul Mai Tacli cartaceo nel  maggio- giugno 2007