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I Portoghesi in Abissinia (1490-1633)


portoghesi1A) - INTERVENTI MILITARI IN SOSTEGNO DEI NEGUS, DAL 1490 AL 1543.

All’inizio dell'epoca delle scoperte e delle esplorazioni, di conquiste ed occupazioni: quindi del Colonialismo, vi fu la partecipazione attiva del Portogallo. Prima ancora che il Capo di Buona Speranza fosse superato, il re Giovanni II aveva mandato nel 1490 un suo scudiero: Pedro da Covilhào, per l’Egitto alla ricerca del Prete Gianni, (il sovrano di un leggendario regno cristiano dell'oriente ancora ignoto; un mito molto diffuso nell'Europa medioevale). nonché di alleati contro i Musulmani
Covilhão fu accolto alla corte del Negus e ritenne di aver raggiunto il proprio obiettivo Il Negus ricevette quindi la lettera che era indirizzata al Prete Giovanni e a sua volta inviò una missiva al re del Portogallo, chiedendogli sostegno nello scontro contro i Musulmani. Il da Covilhào aveva potuto così raggiungere la terra dei Negus, ma per non più uscirne.
Nel 1520 una flotta portoghese entrò, da sud, nel Mar Rosso, rimanendovi per circa sei anni. Uno dei membri di questa ambasciata era Francisco Álvares, che scrisse un importante resoconto sull'Etiopia dell'epoca.
Una seconda spedizione giunse poi nel 1525 che era composta da Don Rodriguez, dal sacerdote Francesco Alvarez e dal medico Giovanni Bermudez., approdò a Massaua, risalendo la costa africana dell’Oceano Indiano. (L’approdo fu poi riscoperto in epoca moderna perché non discosto dalla via delle Indie, di fatto dopo l'apertura del canale di Suez ed ancor più strategia a seguito della scoperta dell'Australia). Questo Condottiero restò in Etiopia per ben trentatré anni e per la prima volta nella storia di quel Paese, le vicende umane conobbero il rombo del cannone ed il crepitio dei moschetti; restandone quelle genti -purtroppo- affascinate.
Questo intervento dei Portoghesi era connesso con la loro comparsa nel Mar Rosso contro i Turchi, dopo la fortunata spedizione di Vasco da Gama al Capo di Buona Speranza e alle Indie. Era stata preceduta da una missione della reggente: regina Elleni, durante la minorità di re Lebnà Denghèl, al re del Portogallo, e, in risposta, da una legazione Portoghese, che rimase in Abissinia dal 1520 al 1526, e il cui cappellano, Francisco Alvarez, ci lasciò la citata assai importante relazione. E dal costante interesse verso questi regni cristiani, a sud del Sahara, prima sconosciuti. Solo durante il sec. xv Abissini erano giunti in Europa, Europei in Abissinia, diffondendosi così le prime notizie sul paese.
Si riaffaccia quindi,con i Portoghesi, il Cattolicesimo in quelle Terre rimaste Copto-ortodosse, dopo quasi mille anni, questa volta con il supporto di una grande potenza..Ma la tragedia fra musulmani e cristiani, sempre latente, scoppiò nuovamente. con la massima violenza, sotto il regno di Lebnà Denghèl (1508-40).
Un cavaliere dell’Adàl, Ahmed ben Ibrahìm, soprannominato dagli Abissini el Gragn’ ( il Mancino), il quale contrapponeva la sua autorità a quella del Sultano, passato in Haràr, con una serie di sanguinose vittorie sembrò portare l’Abissinia all’ultimo tracollo. Nelle loro mire erano i più ospitali altipiani; percorsero quindi: l’Harrar, lo Scioa, il Begameder, il Goggiam entrando anche nella città santa di Axum. Guidava le spedizioni il Visir, lo stesso sultano di Zeila:. Tutto il paese fu invaso, messo a fuoco e sangue, coperto di rovine; ancor oggi la tradizione ne ricorda le distruzioni, nelle quali buona parte dell’antico patrimonio artistico e letterario d’Etiopia sparì per sempre.
Soltanto nel Tigrài, e soprattutto nel Tigrai, il, Gragn’ non pervenne a fiaccarne le resistenze. Ma la lotta pareva ormai definitivamente. decisa a favore dell’Islàm.portoghesi2
L’improvviso apparire quindi d’un piccolo esercito Portoghese (sbarcati a Massaua nel 1541. Quattrocento uomini, otto pezzi di artiglieria, agli ordini di don Christovào da Gama, avevano al seguito anche alcuni portoghesi3Gesuiti; con una marcia fantastica riuscirono a raggiungere il capo musulmano presso il L. Asciànghi), la situazione mutò di colpo; e, se in una battaglia presso Uoflà il capitano portoghese fu sbaragliato e ucciso, nell'agosto del 1542, poco appresso: il 21 febbraio1543, i Musulmani furono a loro volta fortemente sconfitti nella battaglia di Wayna Daga, in cui perse la vita lo stesso Ahmed ben Ibrahim colpito da un’archibugiata a Zantarà, sul confine sud orientale del Dembeà.
Senza più il suo Capo, disperso a tanta lontananza dalle sue basi, l’esercito musulmano subì perdite crudelissime.
Il Cristianesimo fu salvo. Una volta sconfitti i Musulmani, i Portoghesi chiesero che il Negus di Etiopia si sottomettesse ufficialmente alla Chiesa di Roma, ma il sovrano etiope si rifiutò.

Si profilò tuttavia una nuova minaccia: l’invasione dei Galla, un popolo nomade camitico di religione pagana precedentemente stanziato nella regione del Lago Rodolfo, che dal XVI secolo si insediò nella zona meridionale dell’Etiopia convertendosi all’Islam.
Dopo il fallimento del tentativo dei Gesuiti di introdurre il cattolicesimo in Etiopia e la morte dell’abile negus Fasilidas (1632-67) seguirono due secoli di decadenza e circa due secoli dopo la minaccia islamica e la guerra santa si ripresenteranno, questa volta dal Sudan, con il movimento Mahadista detto impropriamente dei Dervisci, verso la fine del l800 come già descritto, a suo tempo, su questa Pagina.

B) - PRESENZA MISSIONARIA (GESUITI), DAL 1541 AL 1633.
Ma le missioni militari portoghesi lasciarono all’Abissinia riappacificata una eredità: i Gesuiti (1541-1633) Al primo patriarca Oviedo succedette Antonio Fernandez (1626) che perì prima di raggiungere l'Etiopia, seguì Mendez da Lisbona coadiuvato da Apollinare Almeida. Ma la figura di spicco fu Padre Pietro Paez, giovanissimo eclettico (esperto di: matematica, geometria, meccanica, medicina, storia e molto portato ad apprendere le lingue) virtuoso ed affabile seppe accattivarsi il popolo e l'Imperatore (Susenios) fu rispettato anche dal Clero Copto morì e fu sepolto nella sua chiesa in Gorgorà, sulle rive del lago Tana, nel 1622.
Allora vi erano già settanta chiese, alcuni monasteri, settanta residenze e si contavano già quaranta mila cattolici convertiti, vedremo destinati però a diminuire. La Chiesa di Roma si radicava dopo l’intervento dei Portoghesi e la sua presenza seppure con il rito orientale, o più particolarmente etiopico, resterà per sempre.
Forse per l'importanza che assunsero o perché tradizionalmente si ingerivano in politica, in varie epoche storiche e in molti Stati, i Gesuiti vennero espulsi; subirono, come vedremo in seguito, colà la stessa sorte. L'imperatore Susenios esiliò Patriarca e Sacerdoti nel I633 ed i loro fedeli vennero perseguitati.
La presenza dei Gesuiti durò quindi per circa ottanta anni; stabilitisi inizialmente a Fremona, nel primo periodo della loro permanenza non erano visti di buon occhio dalle Autorità etiopi, ma il gesuita Pedro Páez riuscì ad entrare nelle grazie dell’Imperatore. In questo periodo i Gesuiti fecero costruire chiese ma anche ponti ed altre opere di pubblica utilità.
Il successore di Páez: Alfonso Mendez, fu invece meno diplomatico e contribuì a un nuovo calo di popolarità dei Gesuiti sia a corte che presso la popolazione., il loro numero fu, all’epoca, di cinquantasei missionari, seguirono anche alcuni italiani; diciotto morirono in Etiopia, alcuni caddero martiri. Altra causa di disordini e di decadenza, le controversie religiose.
Il soc¬corso dei Portoghesi nella lotta contro Gragn’ non dette quindi loro , in campo religioso, i risultati sperati: re Galaudeuòs finì col rifiutare nettamente. la sottomissione alla Chiesa Romana, e il vescovo Andrea de Oviedo, inviato in Etiòpia, vi morì presso che isolato.
La ripresa di attività missionaria quindi si ebbe mezzo secolo dopo; e il padre Pero Pàez finissimo conoscitore degli abitanti, esperto nelle lingue locali, intelligente, duttile, a suo tempo, vi conseguì risultati assai notevoli, accat-tivandosi, come abbiamo già visto, l’animo di re Suseniòs (1607-1632) e di parecchi dei maggiori personaggi dello Stato. Il re s’indusse perfino a far atto di obbedienza al Pontefice. Il successo, però, non si otteneva se non attraverso fieri contrasti e resi¬stenze.
La situazione si andò capovolgendo quindi, con l'affluire dei nuovi missiona¬ri senza locale esperienza. Una completa disconoscenza della psicologia abissina e delle situazioni del paese, l’eccessivo rigore nel reprimere e nell’’opprimere quanto non fosse strettamente. conforme al cattolicismo, una violenza che si può spiegare con l’essersi allora nel pieno fiorire dell’Inquisizione, provocarono ribellioni di Religiosi e di Capi, fino all’uccisione, in battaglia o sul patibolo, di membri della famiglia reale e di alti dignitari, che, per convinzione o per coprire bramosie di potere, levavansi in arme a prò del monofìsitismo una vera e propria guerra civile scoppiata con pretesti religiosi.
Per oltre un decennio l’Etiòpia fu dilaniata da così fatte contese. Alla fine, dopo una troppo sanguinosa vittoria sui monofisiti ribelli del Làsta, re Suseniòs s’indusse a ristabilire la libertà dei culti secondo le antiche usanze, e a ritirare tutti i provvedimenti a prò dei cattolici. Pochi mesi dipoi egli morì; il cattolicismo fu proscritto e i missionari, abbiamo visto, espulsi: in fondo, data la situazione, reca stupore che all’ordine di espulsione non ne seguisse un generale massacro.
Dall’episodio cattolico si ebbero due conseguenze durature: l’Abissinia si richiuse agli stranieri, i pochi che osarono varcarne la frontiera pagarono assai cara l’audacia, e soltanto un secolo e mezzo più tardi lo scozzese James Bruce poté penetrarvi senza danno.
Il vivace fermento delle discussioni teologiche fra cattolici e monofisiti fu origine di altre non meno vivaci, non meno ostinate, fra il clero monofisita, discussioni che guadagnarono la Corte e i grandi. Per oltre un secolo la Corte reale abissina parve una riduzione africana della Corte Bizantina: ma già i Galla premevano da ogni parte, mentre il potere reale sprofondava, la Corte era assorbita dalle più sottili disquisizioni stilla natura di Cristo.
Ma i Portoghesi lasciarono solidi edifici in pietra finemente lavorata: chiese e due ponti che attraversano il Nilo Azzurro. Come Missionari, ai figli di Sant'Ignazio seguiranno poi quelli di San Francesco.
L’estrema debolezza in cui il lungo conflitto lasciava Abissini e Musulmani, lo stato d’interna disgregazione, frutto delle invasioni, nelle regioni cristiane (l’altopiano), il grande immiserimento generale facilitarono un altro cataclisma: un popolo pastore ai primi gradini della civiltà, ignaro ancora dei metalli e del cavallo, contenuto fino allora al di là delle frontiere del SE, si rovesciò per le non più difese frontiere dell’Uébi e quasi sommerse buona parte dello Hararino e dell’Abissinia meridionale: I Galla appunto.

Rivalta di Torino lì dicembre 2016.
Cristoforo Barberi.