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1941: Fuga da Gondar
di Francesco Consolo 

 Premessa: (n.d.r.) L’autore, nostro amico e sostenitore da sempre, ricorda la sua prima infanzia e gli eventi importanti e tragici che in quel periodo travolsero la sua famiglia e molte altre, alla caduta dell’Impero. Appassionato e preciso come è, rapporta i fatti privati ad un più ampio contesto . Ne fa un quadro di interessante, quanto piacevole, lettura e ci regala anche una pagina di Storia e di Geografia.

 Nato a Gondar nel 1940 la lascia a solo un anno per trasferirsi ad Asmara dove visse e frequentò le scuole elementari. Francesco, l’autore, si porterà dietro per il resto della vita il cruccio di non aver vissuto a pieno e per un più lungo periodo, a causa della giovane età e perché impedito dagli eventi, quell’epopea in quella Terra e studiandola, la ricostruisce ricordandoci: nomi, date, eventi, intrecciandoli in modo pertinente ai suoi ricordi ed all’avventura di famiglia.

Dopo la dipartita di mia madre, che Dio l'abbia in gloria, avvenuta l' 8 maggio del 2012, come unico erede superstite della mia famiglia, ebbi la triste incombenza di esaminare tutte le sue carte ed alcuni oggetti, che mamma custodiva gelosamente in un cassetto. Fra le carte c'erano: corrispondenza varia, dall'Italia, in Sicilia, in Etiopia e viceversa, testi di canzonette dell'epoca (fine anni '20/- '30 ed inizio anni '40), qualche modello per capi femminili disegnati su apposita carta modello bianca e qualche foglio (del medesimo tipo) vuoto e non utilizzato, immaginette sacre, qualche foto sbiadita ed ingiallita dal tempo, alcune che la ritraevano vestita con la divisa da Piccola e Giovane Italiana ed altre foto, insieme ad alcune colleghe, in una scuola di taglio di Siculiana (Agrigento), vi erano anche alcune foto di gruppo della Scuola di Ostetricia presso l'Ospedale civile "Regina Elena" di Asmara, che mamma frequentò, con profitto, dal 1947 al 1949.

Inoltre, alcune carte ed oggetti di papà: un tesserino di riconoscimento scaduto, un lasciapassare britannico, medaglie commemorative militari  e croci di guerra di mio padre , una medaglietta sacra, un vecchio accendino "Vulcano" (si proprio quello prodotto all'Asmara) ecc.

Ma quello che più mi colpi, del quale, ignoravo assolutamente l'esistenza, erano alcuni foglietti, rigati e non, ove erano annotati, cronologicamente, un susseguirsi di fatti personali, vergati di proprio pugno da mia madre, relativi agli anni: dal 1939 al 1951. Una sorta di diario, risultante più volte interrotto e, successivamente, ripreso sino al settembre 1951, periodo in cui io, lei e mio fratello minore ci stabilimmo in Agrigento, una cittadina capoluogo di provincia, anch'essa offesa dalle distruzioni della guerra.

Papà ci raggiunse poi, l'anno successivo, nel dicembre 1952, da Ras Tanura (Arabia Saudita).

Egli si trovava in Etiopia sin dal 5 ottobre 1935,perchè richiamato , quale sottufficiale  della Milizia  destinato alla 128^ Legione Camicie Nere, della 5^ Divisone: 1° Febbraio." La predetta unità , assieme alla Divisione di Fanteria "Cosseria" ed ad un Battaglione di Ascari Eritrei, costituì il IV Corpo d'Armata, che nel settore di Dechì Tesfà, partecipò alla battaglia dello Scirè ed a successive operazioni di polizia per il rastrellamento di ribelli riuniti in bande.

Papà, dopo il congedo, si stabilì a Gondar, ove iniziò, assieme ad un fratello, l'attività d'imprenditore edile, contribuendo così alla ristrutturazione, mediante moderni criteri razionali, di quella che fu l'antica capitale imperiale dell'Etiopia e capoluogo della storica regione dell'Amhara.

Sebbene fosse già un civile, ma aveva il compito, ogni sabato pomeriggio  di addestrare, con esercizi premilitari, i giovani della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio).

Mio padre, già fidanzato con mia mia madre, per mancanza di tempo, dedicato in gran parte agli innumerevoli impegni di lavoro, non ebbe la possibilità di tornare nella Madrepatria per sposarsi. Prevedendo molto prossimo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, atteso che l'Italia era legata

alla Germania e al Giappone (il Patto d'Acciaio), decise, su consiglio del Parroco e del Federale di Gondar, di accelerare i tempi, per sposarsi, ma per procura.

La cerimonia avvenne, simultaneamente, a Gondar ed a Siculiana (Agrigento), il 9 luglio 1939.

Nello stesso mese, mamma si imbarcò a Messina, sulla motonave "Colombo" del Lloyd Triestino, che faceva la seguente rotta: Genova, Napoli, Messina, Port Said, Massaua, Assab, Gibuti e Mogadiscio. Mamma, accolta da mio padre, sbarcò a Massaua, in Eritrea, in un caldo giorno del mese di agosto dello stesso anno. [1]

RELITTO

Il relitto del "Colombo"al largo di Taulud

 Il tempo di trascorrere qualche giorno, per  una breve luna di miele fra la torrida Massaua e la fresca Asmara dai tersi cieli azzurri, e subito il viaggio in aereo tra Asmara (aeroporto "U.Maddalena") e Gondar (aeroporto di "Azozò"). Asmara che, per un gioco del destino, dopo un annetto circa sarebbe dovuto essere la " dopo le drammatiche vicissitudini della guerra mi venne descritta, come la vissi nel dopoguerra.

La città , che tanto ho amato ed amo ancora, in quell'anno si presentava, dal punto di vista dell'impianto topografico ed architettonico, in continua espansione. I toponimi, rigorosamente in italiano, erano descritti, con relativa mappa topografica, nella  Guida dell'Africa Orientale Italiana, edito nel 1938 dalla Consociazione turistica italiana, che ancora conservo gelosamente ed è unodei pochi oggetti che sopravvissero al saccheggio e distruzione della villetta (che papà volle costruire con tanto amore) ad opera di ribelli abissini al seguito delle truppe britanniche, dopo la capitolazione della città.

I miei, spedirono con un mezzo della Gondrand , da Massaua a Gondar, due capienti bauli in legno ed alcune valige, mentre per la tratta Asmara (aeroporto Umberto Maddalena) - Gondar (aeroporto di Azozò) viaggiarono su un trimotore "Savoia Marchetti S. 73"della compagnia aerea "Ala Littoria",detta anche "Ala dell'Impero", che avrebbe dovuto coprire, in linea d'aria, circa 380 km. in due ore ed un quarto, in condizioni meteo ottimali. Certamente ai miei, durante il volo, ebbero senz'altro modo di ammirare importanti siti, quali Addi Ugri, Addi Quala, Axum e Dabat, nonchè il corso del fiume Tacazzè e non sarebbe sfuggito loro, in un panorama mozzafiato, il Ras Dascian il più alto della catena dei Monti del Semien.

Papà accolse mamma in un piccolo villino in muratura, nei pressi della Banca d'Italia e dell' Ufficio Postale di Gondar, dotandolo delle migliori comodità del tempo. C'era pure un grammofono a valigetta  ed un apparecchio ricevente radio, allora non comune presso le famiglie italiane.

Il periodo che va, dall'arrivo di mamma in Africa ed il giugno 1940, fu felice, ma spesso turbato dal pensiero costante che, prima o poi gli italiani sarebbero scesi in guerra contro l'Inghilterra e la Francia. Ed i miei genitori erano certi che presto avrebbero dovuto dire addio a quella piccola parentesi di felicità.

Papà venne mobilitato, mentre mamma venne assunta , al posto dei richiamati, in un ufficio governativo "per gli affari economici", con la retribuzione mensile netta di lire 1000; allora emolumento da sogno. Si pensi che in quel periodo, nella Madrepatria, tale importo era considerato un privilegio e, in proposito, era in voga la nota canzone "Se potessi avere mille lire al mese" e, circolava il film "Mille lire al mese" con Alida Valli ed Osvaldo Valenti, come protagonisti.

Per alcuni fine settimana, quand'era possibile, i miei facevano qualche gita fuori porta nelle seguenti località: Lalibela, per visitare le antiche innumerevoli chiese copte rupestri, uniche al mondo.

L'incantevole cittadina di Bahar-Dar, sul Lago Tana, con i suoi innumerevoli isolotti, alcuni dei quali con monasteri cristiano copti, inaccessibili a persone di sesso femminile; le caratteristiche barche in papiro, usate dai pescatori locali e la lussureggiante vegetazione tropicale.

Dal predetto lago inizia il corso del fiume Abbay o Nilo Azzurro, che a circa 30 km. , diviso in quattro o cinque corsi d'acqua, formano le stupende cascate , dette in lingua amarica Tiss Issat o Tissisat oppure, da noi chiamate Cascate del Nilo Azzurro, le quali, con un'ampiezza, di circa 400 mt. fanno un salto, superando un dislivello che varia fra i 37 o i 45 mt. Seguendo il corso d'acqua, si nota un ponte in pietra voluto dall'imperatore Susenyos e costruito dai Portoghesi nel XVII sec.

Questo fiume, dopo avere attraversato, a sud e poi ad ovest il territorio etiopico, entra nel Sudan e, risalendo a nord va a confluire, presso la città di Khartoum, nel Nilo Bianco, formando così un unico grande corso d'acqua, denominato Nilo, che sbocca nel Mare Mediterraneo.

La guerra, tanto temuta, scoppiò, con l'invasione della Polonia da parte della Germania, il 1  settembre 1939.L'Italia, essendo l'alleanza di natura difensiva, non ebbe l'obbligo di entrare in guerra; si tenne in disparte in attesa di nuovi eventi. Ma era chiaro a tutti che il Regno d'Italia, prima o poi, si sarebbe schierata a fianco di colui che, con la “blitz krieg” (guerra lampo), riuscì, in meno di un anno, a conquistare Polonia, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia e gran parte del territorio francese preparava, nel contempo, anche l'invasione della Gran Bretagna, mai attuata!

L'entrata in guerra dell'Italia fu una scelta errata da parte del regime assieme alla promulgazione delle leggi razziali del '38.E venne il fatidico 10 giugno 1940, giorno infausto,per gli Italiani nella madrepatria, nelle colonie d'Albania, della Libia, delle isole del Dodecaneso nell'Egeo,dell'Eritrea, Etiopia, Somalia (A.O.I), e della lontana concessione di Tien-tisin in Cina.

In A.O.I. gli italiani  trovandosi isolati dall'Italia, pur con mille difficoltà e consci che nessun aiuto sarebbe giunto dalle Madrepatria, con armamenti difensivi deficitari, si batterono da leoni per la difesa dei loro presidi, destando negli avversari sentimenti di ammirazione, tali da concedere agli italiani superstiti (adottando un'antica tradizione cavalleresca militare) la resa, con l'onore delle armi, sui fronti dell'Amba Alagi , Cheren, Gondar, Passo dello Uolchefit e Sella diCulqualber.

All'indomani dell'entrata in guerra, le truppe italiane, con alcune sortite, dovute più alla sorpresa degli avversari, conseguirono alcuni successi, quali: l'occupazione di Cassala (Sudan) ad ovest dell'Eritrea, quella di Berbera e Gibuti, rispettivamente nella Somalia britannica ed in quella francese, ad est dell'Etiopia ed infine qualche caposaldo modesto a sud, in Kenia.

Dopo qualche mese le truppe britanniche  avvantaggiate dagli armamenti, rifornimenti e truppe, provenienti dai loro possedimenti coloniali in India e nelle colonie africane , poste a sud dell'Etiopia, iniziarono una controffensiva fino alla capitolazione delle truppe italiane, al limite dello sfinimento, dei fronti di: Agordat (31 gennaio 1941), Cheren (27 marzo 1941), Asmara (1 aprile 1941), Massaua (8 aprile 1941), Amba Alagi (17 maggio 1941) e Gondar (28-30novembre 1941).

Il venerdì del 6 dicembre di quell'anno, venni alla luce, presso l'ospedale civile di Gondar, non distante dal castello imperiale di Fasilides verso le ore 17.Mamma, a tal proposito, mi raccontava che, quel giorno nelle ore antimeridiane , mentre ascoltava il "Tango del mare", uno degli ultimi successi di Oscar Carboni, trasmesso alla radio dall'EIAR (l'attuale RAI) le vennero le doglie e, quindi, per raggiungere l'ospedale venne aiutata dai vicini di casa. Papà era assente, in quanto  di servizio presso il Comando militare del gen. Nasi, allocato presso la non distante Banca d'Italia. Mamma venne prontamente ricoverata ed assistita, ma io ancora non mi decidevo a lasciare il grembo materno. Tutto tranquillo, sopraggiunse mezzogiorno, mamma fece una piccola forzata colazione, si assopì ancora dolorante, ma tra le 15,30 e le 16,00 le sirene d'allarme dell'UNPA, poste intorno al ridotto della città, iniziarono ad ululare con il loro suono sinistro e presago di morte. Tutti: degenti e personale dell'ospedale, si trasferirono nei vicini rifugi antiaerei, costruiti in cemento armato sotto terra. Mamma ricordava che l'incursione dei bombardieri nemici durò circa 15 minuti infernali.

Quella volta i "perfidi figli di Albione" (gli Inglesi, come li chiamava il giornalista Mario Appellius) non curanti dei segni distintivi della croce rossa, intorno al nosocomio (che indicava un presidio sanitario che non sarebbe dovuto essere bombardato secondo le convenzioni internazionali di Ginevra) gettarono non poche bombe distruggendo un vicino magazzino. L'incursione terroristica terminò, ma quei 15 minuti parsero un'eternità, mi raccontò mamma.Ignoro se in quella drammatica occasione ci fossero state vittime e feriti.  Ci volle poco ch'io nascessi dentro quel rifugio.

I bombardieri inglesi erano soliti fare incursioni su Gondar per le seguenti  ragioni: come capoluogo del Governatorato dell'Amhara e come sede del comando dello scacchiere di Gondar, che comprendeva la difesa della città ed i  presidi che seguono, con i rispettivi comandanti:

a- Passo dello Uolchefit ( Ten. Col. Mario Gonella));

b-Debra Tabor ( col. Ignazio Amgelini);

c- Ualag ( col. Alberto Polverini;

d-Celgà ( ten. col. Domenico Miranda);

e- Tucul Dinghià ( ten. col. Riccardo Casalone);

f- Sella di Culquarber ( col. Augusto Ugolini);

g- brigata di riserva a Gondar ( col. Torelli).

Papà, sin dall'inizio delle ostilità, venne assegnato in un settore a protezione della Banca d'Italia (vicino casa), sede del comando del gen. di Corpo d'Armata  S.E. Guglielmo Nasi., comandante dello scacchiere di Gondar.

Essendo ormai la città soggetta a continue incursioni dal cielo ed all'assedio terrestre da parte dei britannici, sorse il problema non trascurabile di salvare i civili, non combattenti, in particolare: donne, bambini ed anziani

Dopo uno scambio di dispacci fra il dicembre 1940 ed il gennaio 1941, fra S.A.R. il viceré Amedeo, duca d’Aosta con alcuni Ufficiali, in primis con il gen. Guglielmo Nasi ( che dopo il 17 maggio 1941, assumerà il gravoso compito di sostituire nelle sue funzioni il Viceré, essendo questi stato tradotto in prigionia dopo la resa del presidio dell'Amba Alagi) - si venne alla determinazione di trasferire la popolazione civile a nord nell'Eritrea ed a sud nella Somalia, al riparo di eventuali rappresaglie da parte dei ribelli abissini fedeli al Negus, nel caso di una disfatta degli Italiani.

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Addi Arkay: Chiesetta costruita dalle Camicie Nere della Divisione “1° Febbraio” nel 1936

Al riguardo, mi è d'obbligo aprire una parentesi, ovvero che già qualcuno pensava, in accordo con gli inglesi, ad operazioni militari ultimate, di utilizzare le navi mercantili italiane (chiamate poi “Navi  Bianche”) sotto la copertura della Croce Rossa  per rimpatriare in Italia parte della popolazione civile italiana, utilizzando la rotta del periplo dell'Africa, non essendo possibile utilizzare la rotta più breve, passante per il Canale di Suez. E così avvenne.

 Furono circa 28 mila i nostri connazionali che in tre viaggi diversi tra il 1942 e il 1943 lasciarono Etiopia, Eritrea e Somalia per rimpatriare. Le motonavi Saturnia e Vulcania e i transatlantici Caio Duilio e Giulio Cesare.

Al riguardo, non posso dare nessuna testimonianza, per evidenti ragioni anagrafiche, quando, assieme a mamma, abbandonammo Gondar per raggiungere l'Asmara, erano i primi di febbraio 1941, per ordine del gen. Guglielmo Nasi, comandante del fronte di Gondar. Da quelle poche righe del diario di mamma e da quanto papà, più volte, mi raccontò, venne il giorno in cui  si formò  un grande concentramento di corriere  e camion, ricoperti  con dei teli bianchi , ove le insegne  della C.R.Icampeggiavano per evitare, secondo le convenzioni internazionali , eventuali attacchi terrestri ed aerei  dei nemici.

Il timore più grande  era quello di eventuali  attacchi da parte degli abissini alleati degli Inglesi (“scifta”), cosa ne sapevano loro convenzioni internazionali? Papà, grazie a qualche "santo" fece in modo di farsi assegnare nella scorta armata formata da appartenenti alle  CC. NN. e del  Regio Esercito, dotati di armi automatiche individuali, bombe a mano, qualche mortaio, mitragliatrici e mitragliere contraeree.

In un freddo mattino, nei pressi di un trivio di fronte la Casa del Fascio, si formò un concentramento di mezzi meccanici da trasporto , composta una lunga teoria di autobus di linea, camion, la maggior parte dei quali i leggendari Fiat 634 n.1(militari) e Fiat 634 n.2 (civili requisiti, che avevano attraversato in lungo ed in largo tutto il Corno d'Africa), camionette e motocicli militari, nonché alcune autoblinde per difesa.

Ad ogni famiglia era consentito portare appresso effetti personali in due o tre valigie od in un apposito baule. Le autorità presenti per l'ultimo commiato erano costituite dal gen. Guglielmo Nasi e da altri ufficiali al seguito, dal Podestà della città Mario Mandrila, dal Federale Giovanni Poli e da altre autorità civile, nonché quelle religiose della locale Prefettura Apostolica.

Tristissima giornata: era il momento degli addii; tutti intirizziti dal freddo pungente, si apprestavano a salutare, tra le lacrime i propri cari ed amici. Molti , fra parenti ed amici, ebbero la sventura di non rivedersi mai più.

Il convoglio, uno dei tanti, secondo il racconto dei miei genitori, era preceduto da motociclisti e camionette armate, iniziò a muoversi, con l'intento di percorrere, in pochi giorni, la tratta Gondar-Asmara, la strada statale n.6 dell'A.A.S.S. (Azienda Autonoma Strade Statali), detta anche "Strada del Lago Tana." Si trattava di percorrere una strada montana, in gran parte ardita , iniziando a scendere  dai i 2.225 mt/slm di Gondar per giungere ai circa 2.400 mt/ slm di Asmara.

Un percorso montano ed accidentato, costituito da numerosi tornanti (ovvero da numerose  parti curvilinee di tracciati stradali,  che servivano per congiungere luoghi posti a grande differenza di quota altimetrica, al fine di non aumentare eccessivamente la pendenza longitudinale della strada).

Durante il viaggio si temevano gli attacchi da parte degli “Scifta”  al soldo dei britannici e del negus Hailé Selassie ed aerei  britannici,  ma questa volta i "perfidi figli di Albione", alla vista delle insegne della C.R.I. , si limitarono ad invertire la rotta e non si fecero vedere più. Se fossimo stati attaccati, molto probabilmente, non starei quì a scrivere di questa avventurosa vicenda!

Lasciata la pittoresca Gondar ( mia città natale che, ahimè, non ebbi giammai fortuna di conoscerla e di viverla), stesa su di una dorsale  con  i suoi principali castelli, in tutta una cornice di amenissime valli e colline sullo sfondo del lontano lago, la teoria di mezzi sale, superando impervie salite fino a giungere, dopo avere percorso circa 78 km.  a Dabat ( 2.700 mt/slm), sede di Vice Residenza , costituita da tre villaggi, siti su altrettanti collinette.

Dopo una breve sosta di circa un'ora, il convoglio riprese la sua marcia per raggiungere,  percorrendo  un'impervia salita, caratterizzata da numerosi tornanti , il villaggio di Debarec ( 3.020 mt/slm), luogo ameno da dove è possibile ammirare le prime montagne del Semien.

Durante il percorso i soldati intonavano in coro un repertorio che spaziava dalle canzoni patriottiche a quelle della musica leggera del tempo, ma la canzone più gettonata ( cantata da tutti, proprio da tutti) era quella composta in versi dal nostro gen. Nasi, utilizzando, per la musica, le note di una canzone dell’epoca:

I gondarini

Se non ci conoscete,//guardate il nostro pane, noi siamo i gondarini che sanno far la fame//.

Se non ci conoscete, tenetelo a memoria, noi siamo i gondarini che fuman la cicoria.//

L'inglese ci conosce, si morde i pugni e ringhia, noi siamo i gondarini che stringono la cinghia.//

Gl'indiani ci conoscono e anche i sudanesi, noi siamo i gondarini incubo degli inglesi.//

Se non ci conoscete, leggete i nostri casi, noi siamo i gondarini del generale Nasi.//

Se non ci conoscete, lasciatevelo dire, noi siamo i gondarini, i duri da morire

Da tale località , superando pendi pericolosi, si giunge nel temuto ed affascinante Passo dell'Uolchefit a o di Lemalemò lungo 2.835 mt, ove gli italiani, qualche mese prima della fine del conflitto italo-etiopico, iniziarono a costruire una strada a strapiombo sulla tratta Asmara-Gondar (al posto di una pista costruita fra il '600 ed il '700).

La strada scende per un pendio , sempre più ripido, quasi " aggrappata" sul dorso e sulle pareti del costone di Lemalemò. Questa ardita e monumentale strada , tagliata per lunghi tratti su pareti di roccia friabile, a  strapiombo,  è certamente la più grandiosa e difficile realizzazione stradale dell'A.O.I.

I lavori furono diretti dal Genio Militare dell'Eritrea ed eseguiti  dal 3° Raggruppamento Centurie Lavoratori nel 1936-37. una delle opere più ardite nel mondo. La strada venne inaugurata nel giugno 1937 dal ministro Giuseppe Cobolli Gigli.

Dopo la predetta  località, scendendo a quota  mt. 2.235/slm., si giunge a  Debarec Nuova, grazioso villaggio , sede di Commissariato, da  dove è possibile ammirare la cima del Ras Dascian.

Emozionante  fu il passaggio lungo il Passo dell'Uolchefit (lungo mt. 2.835).

Il predetto Passo era fortemente presidiato da truppe italiane, collaborati dagli ascari. Esso costituiva uno dei presidi per la difesa di Gondar.

Tra questa strettoia e la cittadina di Debarec si poteva ammirare la intensa foresta che nel dopoguerra avrebbe preso in nome di Parco nazionale delle montagne del Semien

Ignoro in quanti giorni detto percorso venne coperto, come ignoro il numero delle soste notturne effettuate. Al riguardo, ricordo che sentii parlare di soste notturne soltanto in centri abitati ed in mano alle nostre forze armate, come Addi Arkay(piccolo centro (a quota 1.497 mt./slm. , in amarico "paese dei bambù") , sede di Commissariato del Semien, ora Residenza, fondato dai militi della 5^ Divisione CC.NN. 1° Febbraio",durante la battaglia del Tembien del 1936 Il villaggio venne dotato di una chiesetta e di un sacrario, ove riposano i Caduti della predetta unità divisionale.

 Il predetto sacrario è costituito da un portico, nel cui architrave è scolpita la seguente iscrizione in latino , a gloria dei caduti che vi riposano " Virtude vixit, memoria vivit, Gloria vivet". Dal portico si accede ad un' esedra, che contiene numerose piccole croci recanti tutti i nomi dei Caduti. Al centro una Croce , alla cui base sono i nomi delle tappe e dei fatti d'arme della Divisione.

Nel centro del villaggio si erge una fontanella dedicata al gen.Vernè, già comandante della Divisione, e deceduto a Godofelassi per malaria il 7 gennaio 1937, subito sostituito dal gen. Ademollo Lambruschini.

Il gen. Vernè  venne successivamente  tumulato presso il cimitero italiano di Asmara.  

Da questo sito il console Italo Romegialli, comandante della 128^ Legione , assieme ad alcuni alpini valtellinesi, conquistò quota 4.533 del maestoso Ras Dascian (una delle più alte vette d'Africa, dopo il Kilimangiaro), issandovi il tricolore.

Durante l'ascesa le camicie nere  del predetto console effettuarono un rastrellamento di ribelli abissini di Ras Immirù, ivi rifugiati dopo la battaglia dello Scirè.

Dopo la sosta che il convoglio di civili si fermò nel villaggio predetto , dopo avere percorso  una strada stretta, caratterizzata da curve salite e discese,  attraversando  alcuni villaggi  giunse,  dopo avere  attraversato  il villaggio di Mai Buià ed  un bosco di bambù, giunse a Socotà ( mt. 1.700 /slm) , indi  Haida ed Debeguinà, Enda Sellasiè ( mt. 1900/slm), un piccolo centro di circa 1500 anime, sede di Viceresidenza. Procedendo in salite e discese ardite la colonna giunse a Selaclacà

( mt. 2.000/slm), piccola cittadina con ufficio postale e telegrafico e sede di un lebbrosario costruito e gestito dai Cavalieri del Sovrano Ordine Militare di Malta.  Proseguendo il percorso montano  l'autocolonna giunse ad Axuml'antica e leggendaria capitale dell'ex omonimo regno , culla della religione cristiana copta. La città degli innumerevoli obelischi, la maggior parte dei quali andati in rovina per l'incuria dell'uomo.

Dopo avere attraversato il fiume Mareb, la teoria di veicoli giunse in territorio eritreo , attraversò le ridenti cittadine di Addi Qualà ed Addi Ugri, giunse finalmente all'Asmara, la destinazione finale.

Giunti all'Asmara, noi  profughi da Gondar, fummo ricevuti dal gen. Luigi Frusci, Governatore dell'Eritrea, dal Podestà console De Spuches , dal Federale Aldo Marchesedal Questore Pasquinelli e da mons. Marinoni, Vescovo dell'Eritrea. I profughi vennero sistemati in vari siti della città. Noi fummo destinati  presso le Scuole Elementari Principe di Piemonte di via Gustavo Bianchi (ove , per ironia della sorte,  un giorno avrei frequentato le scuole elementari dalla 2^ alla 5^).

Papà con un nodo in gola ci salutò, pensando che forse non ci saremmo più incontrati; tornò, con i suoi commilitoni a Gondar, partecipò ala strenua difesa della città, vide la sua casa saccheggiata e distrutta dai ribelli, partecipò all'ammaina bandiera dell'ultimo tricolore sventolante in Africa Orientale,per poi avviarsi verso la prigionia. Era il 29 novembre 1941. [2]

Io e mamma non restammo completamente soli, in quando ,presso le scuole , c'erano diverse amiche che provenivano, con la loro prole , da Gondar. Poichè le razioni del cibo erano scarse mamma, avendone le possibilità economiche, decise di pranzare al ristorante Eden, sito nella  vicina via Matteucci.

La scuola era a pochi passi dal centro della città e, per accedere a viale Mussolini, bastava superare una gradinata di quattro o cinque scalini. Nel giardino era stato ricavato anche  un capiente ricovero antiaereo, che consentiva di usarlo durante le frequenti incursioni aeree nemiche che si accentuarono durante l'epica battaglia di Cheren.

Un giorno, mamma,  uscendo  con me in braccio dal ristorante Eden, venne sorpresa da un'incursione aerea inglese,  e , non facendo più  in tempo ritornare indietro verso il ristorante in via Matteucci, si gettò a terra avendo cura di proteggermi.                                  

ritorneremo
Cartolina con lo slogan lanciato da Amedeo d'Aosta: Ritorneremo

I caccia inglesi volavano a bassa quota ed all'altezza della Casa del Fascio

 “Arnaldo Mussolini”(forse per colpire quest'edificio) mitragliando e spezzonando ogni cosa, colpirono alcuni  scolari che scendevano dalla gradinata di via Gustavo Bianchi, ove era ubicata la scuola elementare. Alcuni di essi restarono uccisi ed altri feriti.

Alla fine dopo alcuni interminabili e terribili minuti,  mamma tremante e stremata, si rialzò, con me infagottato e piangente, cercando  di calmarmi.

Mamma restò impressionata per molti anni per quello che vide ai piedi della predetta gradinata, tanto da non potermi più allattare.

Il 27 marzo 1941 Cheren , dopo un'intrepida lotta, si arrese con l'onore delle armi tributato dalle truppe britanniche.

Da quel drammatico giorno , in città, già regnava il caos: centinaia di nostri soldati laceri e smunti, provenienti  dal fronte di Cheren, i quali cercavano ricetto e conforto fra la popolazione italiana. Erano coloro, che dopo la resa di Cheren, fuggirono per evitare la cattura da parte degli  inglesi. Bande di indigeni, affiancati da pochi ascari disertori, iniziarono il saccheggio di abitazioni, negozi e magazzini per impossessarsi di tutto , soprattutto, di derrate alimentari. Per mettere un poco d'ordine il gen. Frusci ordinò il coprifuoco e la fucilazione sul posto per i colpevoli di atti di sciacallaggio. In quei giorni le autorità militari misero fuori uso tutti gli armamenti e fecero saltare in aria i depositi di munizioni.

 All'imbrunire del 31 aprile, sul Forte Baldissera, con una cerimonia sommessa, al suono struggente del "silenzio", venne ammainato il tricolore sabaudo, che venne poi bruciato per non farlo cadere nelle mani del nemico. Il comando militare inviò una delegazione di ufficiali incontro al nemico, che si apprestava a marciare verso la città, per trattare la resa di Asmara, al fine salvaguardare la popolazione civile.

Nelle prime ore del mattino del fatidico 1° aprile 1941, le prime avanguardie delle truppe britanniche fecero capolino nella città, mentre si udivano i suoni delle cornamuse degli scozzesi ed a questi si reco incontro il vescovo mons. Marinoni, mentre le autorità militari italiane si apprestavano per sottoscrivere i termini della resa della città.

Pochi Italiani e pochi Eritrei assisterono alla parata, ma molti da dietro le imposte degli edifici del viale Mussolini e da zone limitrofe, videro sfilare le truppe inglesi provenienti dalla Croce del Sud,  imbaldanziti dalla loro vittoria. Le truppe marciavano con cadenza uniforme, accompagnate dal rumore dei loro mezzi, che con ruote o cingoli, stridevano lungo l'asfalto del viale.

A molti italiani, con dignità, non riuscì a nascondere le lacrime in particolare fra le donne,  molte delle quali con i loro uomini al fronte.

Anche mia madre, con me in braccio, assieme alle amiche sulla gradinata di via Gustavo Bianchi che immetteva sul viale Mussolini, aveva il volto rigato di lacrime pensando alla sorte che ci avrebbero riservato i nemici ed quella  di papà che ancora combatteva a Gondar. 

C'era anche Marisa Masini, allora adolescente, che , assieme alla sorella Lulù, seguivano l’ evento dai piedi dell’altura di Ghezzabanda e che poi, dopo tanti anni lo avrebbe ricordato  con il brano che segue.

"Ricordi qualcosa, Lulù, di quel triste giorno? Eravamo senz’altro in stato confusionale quando abbiamo cominciato a sentire il suono delle cornamuse, lo stridore del cingolato sull’asfalto e il frastuono di passi cadenzati, qualche urlo, forse erano comandi alla truppa che vittoriosa calpestava le nostre strade infatti qualcuno dalla piccola altura dove passavano (e passano ancora) i binari della ferrovia, riportava a noi che più in basso non volevamo vedere e mai avremmo voluto.. lo scenario della parata militare britannica:

In testa gli scozzesi in kilt che davano fiato allo strumento in dotazione con il costume nazionale a ciascun militare scozzese facendo risuonare nell’aria il concerto delle cornamuse, il cingolato procedeva lentamente col seguito a piedi della truppa, i neozelandesi con le caratteristiche barbe rossicce, la truppa di colore, i vessilli innalzati… Arrivò presto l’eco degli spari provenienti dalla città, io percepii solo alcune parole per me incomprensibili come sempre: parole inconsuete nel lessico familiare.

I ricordi, ormai, si accavallano ma un ricordo è nitido e chiaro: il bel volto di mia madre bagnato di lacrime le labbra serrate e tremanti come la mano che stringeva la mia un’ espressione che non avevo mai visto sul volto di mia madre che mai aveva pianto in pubblico! In tutti questi anni mi sono fatta mille domande, la risposta una sola <homo  homini lupus>."[3]

 

Note:

[1]  La motonave Colombo si  autoaffondò, assieme ad altre navi,   qualche giorno prima che la città di Massaua venisse occupata dagli inglesi  l'8 aprile 1941.Il relitto giace ancora vicino l'isolotto di Taulud.

[2] Successivamente , assieme a due commilitoni, evase rocambolescamente dalla prigionia  per raggiungere la famiglia. All'Asmara, per opera di un delatore italiano, venne arrestato dagli Inglesi e tradotto a Forte Baldissera. Venne poi posto in libertà dagli americani.

[3] Marisa Masini de Bonetti - Maitaclì:"Ho pianto."

 Bibliografia:

Ministero della Difesa, SME, Ufficio storico, "La guerra in Africa Orientale", Roma 1952.