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I QUATTRO GIORNI CHE MUTARONO IL DESTINO DEI GIOVANI ASMARINI

Nel 75° anniversario, può essere utile fermare la memoria di quanti allora erano adolescenti su ciò che avvenne in città tra il 29 marzo e il 1° aprile 1941 e quanto tali avvenimenti influirono profondamente sul loro destino.

Dopo dieci mesi di guerra, Asmara già languiva per la scarsità di viveri, medicinali e d’ogni prodotto necessario. L’ultima linea delle truppe italiane era stata predisposta lungo i crinali del Dolongorodoc e sulle alture intorno a Cheren. La loro eroica resistenza contro le forze britanniche durò undici settimane, terminando con la resa di Te-clesan firmata la sera del 31 marzo 1941.

Ad Asmara gli eventi traumatici di quegli ultimi giorni di battaglia ini-ziarono il mattino di sabato 29 marzo quando fu ordinato il coprifuoco alle ore 18 e la chiusura delle scuole fino a nuove disposizioni. Molti lettori ricorderanno lo sconcerto provocato da tali notizie, sconcerto che riuscì perfino ad annullare nei ragazzi la piccola gioia di una vacanza inaspettata perché fu l’inizio della tragedia che stava per abbattersi su di loro.
Come tutti i coetanei in Patria, anche gli asmarini erano vissuti nel limbo di una propaganda ossessiva che li rendeva pregni di granitiche certezze sulla supremazia di una Italia che aveva vinto sempre e ovunque non soltanto le guerre e le battaglie nelle quali era stata ed era protagonista, ma anche i mondiali di calcio, le gare olimpiche, i primati industriali, eccetera. Insomma, la gioventù locale appariva tanto intrisa d’indottrinamenti da farle ritenere quasi inverosimile l’ipotesi di poter subire una sconfitta! E invece… Il giorno dopo, domenica 30 marzo, Asmara si presentava già con un aspetto molto diverso dopo la terrificante incursione aerea che causò tredici morti e una cinquantina di feriti. Quasi tutti i negozi erano chiusi e sui volti dei pochi passanti frettolosi si leggeva l’angoscia per le cattive notizie sulla battaglia, confermate anche dalle cannonate che ormai si udivano distintamente.

Perfino la Messa festiva nella Cattedrale fu quasi priva di fedeli. La gente era alla ricerca affannosa di acqua potabile e di candele, lucerne e petromax perché già si sapeva di una sospensione dell’energia elettrica e dei pericoli che sarebbero derivati dal buio serale. Nel pomeriggio reparti del Genio militare aprirono alla popolazione i depositi di vettovaglie e vestiario, distruggendo, nello stesso tempo, armamenti, polveriere, automezzi e quanto altro poteva essere utile al nemico. Scoppi e dense colonne di fumo avvolsero la città.

Poi, calata la sera, si scatenò la bolgia delle bande di saccheggiatori che spadroneggiarono per le strade devastando case e negozi, compiendo violenze e assaltando edifici pubblici e privati lasciati indifesi. Spari e incendi terrorizzarono gli abitanti costretti a barricarsi nelle loro case per la paura di attacchi da parte degli scifta e di ascari disertori. L’alba di lunedì 31 vide gli ultimi razziatori fuggire carichi di refurtiva verso i quartieri indigeni e le strade perife-riche. Nello stesso tempo dalla camionabile di Cheren, sotto l’altura del Forte Baldissera, ebbe inizio il doloroso spettacolo di un esercito in ritirata.

Erano centinaia i militari italiani con le divise a brandelli e quasi scalzi che giungevano da Teclesan dopo aver percorso a piedi oltre cinquanta chilometri pur di non essere fatti prigionieri o per ricongiungersi ai propri familiari. Con i volti contratti costoro chiedevano ai radi passanti un sorso d’acqua, qualche nutrimento e soprattutto scarpe mostrando i piedi insanguinati avvolti in luridi bendaggi. Ebbene, furono proprio i giovani asmarini di ogni estrazione sociale e culturale che, rattenendo il sale amaro delle lacrime per la disfatta e per i sogni infranti, prestarono soccorso a quei fuggiaschi che avevano scelto di non ar-rendersi.

Nel pomeriggio il Governatore Frusci dispose il ritiro nelle rispettive caserme dei reparti della P.A.I. , dei Carabinieri, degli zaptiè e del presidio militare, predisponendo la resa del capoluogo ai Comandi britannici in arri-vo. Sulle vicende di martedì mattina, 1° aprile Carlo Dominioni scrisse: “Nella notte Asmara fu terra di nessuno. Gli sbandati amara che avevano invaso la città assaltando negozi, depredando case e magazzini, sparando all’impazzata si erano ormai dispersi verso Massaua.

Asmara si era chiusa nel suo immenso dolore, più profondo delle distruzioni subite. (om) Poche ore prima dell’alba la bandiera (del Governatorato- nda) che non era stata ammainata e che per tutta la notte aveva sbattuto alle folate di un temporale, veniva calata lentamente mentre un trombettiere suonava il silenzio fuori ordinanza.

Un centinaio di uomini laceri, dalle guance irsute, gli occhi ar-rossati, erano intorno al pennone fissando quel drappo che scendeva verso di loro. Un vecchio sciumbasci, piangendo, lo afferrò gridando “Viva l’Italia” prima di bruciarlo. Cento voci gli fecero coro. (om) Poi, alle ore 10 si udì un lamento di cornamuse e il rullar di tamburi di una marcia scozzese: i tre “pipers” del Cameroun Highlanders sbucarono dalla curva della strada di Teclesan, seguiti dai loro commilitoni armati, puliti, ben rasati. Il loro passo ritmato dal battere degli scarponi sull’asfalto parve scroscio di grandine nel gran silenzio della strada deserta.

C’erano solo loro, gli scozzesi, impettiti, solenni, fieri: loro e i cani randagi, famelici spazzini dell’altopiano, a dare il benvenuto ai vincitori.” (om) Questa cruda descrizione del Dominioni farà rivivere nelle menti, nel cuore e nell’anima dei lettori over ottanta i palpiti di quel mattino del 1°aprile 1941 nel quale tutti i giovani di Asmara, increduli e avviliti, furono preda della più cocente delusione per la fine di ogni certezza.

Oggi a quanti tra loro avvertiranno un rinnovato bruciore delle antiche ferite, si consiglia di cliccare sul web la melodia simbolo di quegli anni roventi: “Addio sogni di gloria”.

Se sono fortunati, la troveranno nella versione romana cantata da un giovanissimo Claudio Villa accompagnato al piano da un altrettanto giovane Renato Carosone che, guarda caso, era appena rimpatriato da Asmara.

Ascoltar-la sarà per i protagonisti di quei quattro giorni il commovente ritorno ad un lontano e penoso passato che, tutta-via, conserva intatto tutto il suo arcano e coinvolgente fascino.

ANTONIO LAZZARINI