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Il Prete Gianni


preti1Per un lungo periodo del Medioevo e sino al Rinascimento si narrava un mito che affascinava: Principi, Prelati, Viaggiatori, circa l’esistenza di un Re e Sacerdote, nemico dei Musulmani, dominatore di ricchi territori d’Asia, fra cui l’India (ma per molto tempo gli Etiopi furono confusi con gli Indiani e viceversa e con questo nome indicati) e del regno da lui fondato e che attraversava i secoli.
La leggenda del Prete Gianni (in latino: Presbyter Iohannes, con questo nome era conosciuto il Re), trova riscontro in importanti opere letterarie come nel poema epico (Orlando Furioso). Quanto al nome Gianni, è stata proposta la sua spiegazione riportandolo a un termine di origine cuscitica, “ǧān”, che si trova nella parola “ǧānhoy”(e forse anticamente ǧānoy), usata dai sudditi per riferirsi ai re d’Etiopia. In seguito anche Marco Polo accennò al Prete Gianni nel suo libro, "il Milione", affermando che "di sua grandezza favella tutto 'l mondo" e descrivendo il suo regno come un luogo fantastico, prospero e pieno d'ogni ricchezza. Il Personaggio viene citato anche, nei “poemi del ciclo bretone”, secondo i quali il santo Graal sarebbe stato trasportato proprio nel suo regno
Ma questa leggenda cominciò nell'anno 1165, quando una misteriosa lettera pervenne all'imperatore preti2di Bisanzio Manuele I Comneno. La missiva era stata scritta da un personaggio che si presentava come "Giovanni Presbitero, grazie all'Onnipotenza di Dio, Re dei Re e Sovrano dei sovrani". Ed effettivamente in Etiopia, ove si trovavano i regni d’Abissinia, il più potente, tra i Sovrani, era chiamato “Re dei Re”; ciò è confermato anche da Marco Polo e riscontrato sino in epoca moderna ed il nome Jahannes era ricorrente tra quei re.
Sempre nella sopra citata lettera; il mittente avrebbe sostenuto di essere re e sacerdote di un regno situato vicino all'India, dove vigeva sempre la pace, le persone vivevano felici e non conoscevano la menzogna; a detta del Prete Gianni, inoltre, nel suo regno "la terra stilla miele ed è ricolma di latte" e "non v'è scorpione né serpente che strisci sull'erba; gli animali velenosi non possono entrarvi né fare male ad alcuno".
Di questa particolare lettera vennero a conoscenza, tramite degli ambasciatori, il Papa e l'imperatore (Barbarossa), ma di fatto non se ne fece nulla, e così del Prete Gianni si persero le tracce. Altri erano invece pronti a giurare che questo regno custodisse il Santo Graal, o che addirittura lì si trovassero la fonte dell'eterna giovinezza ed il Paradiso Terrestre. Siamo qui di fronte a racconti dove gli elementi storici si mischiano col mito e la leggenda; dove a volte i fatti narrati possono assumere sia un valore letterale che un valore simbolico. E’ pur vero che il Clero Etiopico sostiene da sempre di esser custode del Sacro Graal e che si troverebbe nella Città Santa di Axum anche se nessuno l’abbia mai visto.

Vi è da dire che nello stesso periodo cioè per tutto il Medioevo non era ancora stata esplorata l’Africa a sud del Sahara e conoscendo dai Greci (Alessandro) e Egiziani (Faraoni) dell’esistenza di popolazioni nere sia a sud dell’Egitto che a sud dell’India, si supponeva una contiguità territoriale che prendeva appunto il nome generico di Etiopia. Questa estesa fascia subsahariana non presentava caratteri geografici salienti, nella sua rappresentazione cartografica, ma la semplice indicazione “Hic sunt leones” come è ancora rilevabile dalle carte, d’epoca, in molti musei.
Molti supponevano ad esempio che il Mar Rosso fosse un mare chiuso, lo stesso Marco Polo supponeva che lo stretto che lo collega all’Oceano indiano fosse l’estuario di un grande fiume che parallelo al Nilo scorresse in direzione contraria, cioè verso sud, che veniva risalito dai mercanti di spezie dai quali avrebbe assunto le sue precise informazioni pur non avendo, egli, raggiunto quella zona.
preti3Al contrario, questo mare, lo conoscevano bene e lo navigavano popolazioni meridionali d’Arabia Persia e India che però non avevano possibilità di accesso al mediterraneo. Per secoli però quella fu la “via delle spezie” che arrivavano ad Alessandria per raggiungere l’Europa proprio risalendo il Mar Rosso, venivano sbarcate sulle coste Abissine, in più approdi tra i più noti Adulis, e fatte proseguire via terra sino a valle delle cateratte del Nilo per essere rimbarcate e seguendo questa via d’acqua, giungere alle coste del Mediterraneo.
Ma all’inizio dell'epoca delle scoperte e delle esplorazioni, di conquiste ed occupazioni: quindi del Colonialismo, vi fu la partecipazione attiva del Portogallo. Prima ancora che il Capo di Buona Speranza fosse superato, il re Giovanni II aveva mandato nel 1490 un suo scudiero: Pedro da Covilhào, per l’Egitto alla ricerca appunto del “Prete Gianni”, anche al fine di cercare alleati. contro i Musulmani. Covilhão fu accolto alla corte del Negus e ritenne di aver raggiunto il proprio obiettivo Il Negus ricevette quindi la lettera che era indirizzata al Prete Giovanni e a sua volta inviò una missiva al re del Portogallo, chiedendo sostegno nello scontro contro i Musulmani. Il da Covilhào aveva potuto così raggiungere la terra dei Negus, ma per non più uscirne.
Altra interpretazione del mito in è quella che mette in relazione Gianni con “khan”, titolo dei signori mongoli. Quanto alla qualificazione di Prete (o Presbitero), essa si spiega con il carattere sacrale della regalità orientale e del tradizionale regime ad aspetto teocratico che avrebbe fatto scambiare il re per sacerdote.
René Guénon nel suo libro "Il re del Mondo" prende in esame, tra gli altri, anche questo personaggio leggendario e lo accosta alla figura biblica di Melchidesech, suggerendo come in fondo questi due personaggi possano rappresentare simbolicamente la stessa cosa. Anche Melchidesech infatti è sia re che sacerdote, poiché, stando alla Scrittura, egli è contemporaneamente "re di Salem" e "sacerdote di Dio altissimo" (Gn. 14:18).
Il Prete Gianni è inoltre re dei re "grazie all'Onnipotenza di Dio"; quindi la sua figura è caratterizzata da una grandissima autorevolezza, che viene direttamente da Dio. Allo stesso modo Melchidesech è "sacerdote di Dio altissimo" e secondo San Paolo è addirittura superiore ad Abramo ed è "reso simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno".
René Guénon sostiene inoltre che questa figura, che possiamo chiamare "Re del Mondo", non designa tanto un individuo in particolare, poiché costituisce prima di tutto un principio. Questo principio si può poi manifestare in un determinato "centro tradizionale” e che può essere effettivamente rappresentato da una persona:
preti4Furono avanzate varie ipotesi, ma l'origine del nome e l'identità rimangono inspiegati. Per Jacques de Vitry si trattava dello stesso Gengis Khan, per Vincenzo di Beauvais di un imperatore indiano; negli “Annales sancti Rudberti Salirburgensis” è identificato in Abaka, secondo re mongolo di Persia; per Odorico da Pordenone fu un principe cinese, mentre per Alberico delle Tre Fontane un sovrano ”keraita”(popolazione mongola convertita al cristianesimo nestoriano).
Anche l'ubicazione del reame rimane sconosciuta: Man mano che i viaggiatori europei si allontanavano dall'Occidente, il Prete Gianni recedeva verso lontananze sempre più mitiche: dagli Urali alla Persia e all'India, dalla Mongolia alla Cina, all'Indocina e alla Manciuria. Ciò che restava fissa era la strabiliante ricchezza del Prete e la sua volontà di accostarsi alla dottrina di Roma. Poi quando l'Asia sembrò non offrire nuovi appigli alle speranze di trovarvi un valido alleato fu la volta dell'Africa: l'Egitto prima, la Nubia infine la confinante Etiopia.
Il Personaggio venne romanzato sia nel “Guerin meschino” di Andrea da Barberino, sia nell’”Orlando furioso”, dove Ludovico Ariosto lo immagina quale re d'Etiopia, di nome Senapo, che Astolfo libera da una maledizione divina che lo costringeva a soffrire la fame. Ritorniamo quindi in Etiopia confortati anche dalle precise testimonianze di Marco Polo.

Rivalta di Torino lì dicembre 2016.
Cristoforo Barberi