Acqualadrone

Un altro libro di Eugenio Vitarelli

 

   Ai primi dell'83, su questo giornale, dissi di lui, del suo libro edito da Mondadori, intitolato «Placida», romanzo che ha incontrato i consensi non so se di tutti, ma certamente di chi sa apprezzare il narrare con gusto, il narrare qualcosa e non il niente, il vedere precipitare l'inutile per tenere a galla l'ironia delle cose e dei fatti e porgerla con la penna che sa bene come percorrere la pagina.

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Vitarelli, anche se la sua permanenza in Asmara fu breve. Dirò che Eugenio «precipitò» all'Asmara e vi lasciò traccia, così come quella città ha lasciato il segno in lui.

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Non ho ancora letto «Acqualadrone», il nuovo libro di Vitarelli, pubblicato dall'Editrice Theoria.

Sicuramente l'avrò letto quando queste righe appariranno sul «Mai Taclì». Lettura che di certo non mi sorprenderà per contenuto, agilità, saper dire intelligentemente.

Oggi, sono quindi costretto ad avvalermi, senza troppo fidarmi, di quanto leggo sul Messaggero del 3 ottobre 1988. L'articolista ha ovviamente già letto i sette testi-racconto (così li chiama lui) che compongono il libro, ma non lo ritengo per questo in gran vantaggio su d.i me che «leggo» l'uomo-scrittore ormai da quasi quarant'anni.

Il libro, dice ancora chi lo presenta, ha l'avallo di Leonardo Sciasela, «che spende con generosità il suo giudizio». Quel con generosità mi infastidisce.

Rammento una recensione dell'altro libro di Vitarelli, in cui si diceva che l'autore aveva i cassetti pieni di materiale da tirar fuori. Ebbene, lo tirasse fuori questo materiale che la critica avrebbe potuto pronunciarsi.

Proseguendo nella lettura della recensione sul quotidiano romano (testo su sette colonne con titolo su cinque!) apprendo che si tratta di storie rappresentanti «l'universo - totale - di una comunità di pescatori aggrappata a un paesino sullo stretto di Messina».

Ma delle storie riparlerò quando avrò letto «Acqualadrone». Qui mi limito (e concludendo) a rilevare quanto il recensore (Renato Minore, mi par giusto farne finalmente il nome) scrive in chiusura del suo pezzo.

Non sa - dice - se per fregiarsi dell'attributo di scrittore, Vitarelli possa trarre giovamento dalla sua «aggressività e irritazione pubblica», manifestate in una recente intervista giustiziante critica e editoria italiane.

E anche qui mi trovo in vantaggio e posso affermare che Eugenio Vitarelli non è che abbia pieni i cassetti: Eugenio, di certe cose, ha piene le scatole.