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VAL  LA PENA  DI  VIVERE

E’ il libro appena uscito di Luigi Ramponi dal quale traggo alcuni brani di un capitolo che mi ha particolarmente toccato perché racconta un evento  che tutti noi abbiamo vissuto, chi prima chi dopo  ed è bello riviverlo leggendo l’esperienza di questo nostro compagno degli anni verdi al Ferdinando Martini di Asmara.

Andata in Africa: viaggio in nave e in aereo.

L’esperienza vissuta in otto giorni di viaggio in nave, per un bambino di nove anni, a quel tempo costituiva, certamente, un fatto non comune. Fu per me una bellissima avventura e, per certi aspetti, l’apertura ad un mondo nuovo e completamente diverso dal ristretto ambiente di paese di campagna nel quale ero sino ad allora vissuto……………….

Durante la navigazione, nel Mediterraneo, ad eccezione del passaggio all’altezza di Creta, dove il mare è quasi sempre mosso, viaggiammo in maniera assolutamente confortevole. Avevo portato con me la cartella con i libri e i compiti per le vacanze e ogni giorno dedicavo un’oretta allo studio.
La mamma aveva anche comprato prima di partire una carta del Mediterraneo e una del Mar Rosso e, su quelle io seguivo il viaggio, anche chiedendo a qualche marinaio dove ci trovavamo. Stavo ore e ore fuori, su uno dei ponti a guardare il mare, la spuma  che lasciava la scia della nave, la prua che tagliava le onde. Più di una volta al giorno, ci accompagnavano branchi di delfini che nuotavano parallelamente alla nave, uscendo ed entrando in acqua…………………………..

Arrivammo a Port Said e sostammo nel porto in attesa di entrare nel Canale. Anche qui l’ennesima emozione. Sotto il bordo della nave, pochi minuti dopo aver gettato le ancore, arrivavano numerose barche dei venditori di borse, cuscini, bigiotterie arabe ecc…..tutte le cose che si trovano nei bazar. Lanciavano verso di noi, affacciati al parapetto, una fune, al termine della quale era legata una borsa. Grazie a tale sistema si realizzava, facendo salire e scendere la borsa, lo scambio di merce con denaro. Denaro italiano, naturalmente.

Allora la lira era accettata ed apprezzata nel mondo intero. Sin qui nulla di speciale.
Era invece sorprendente come, dopo poco tempo dall’arrivo delle barche, giungessero tanti ragazzi a nuoto, i quali, arrivati sotto bordo, salutavano romanamente, urlavano “viva l’Italia”, “viva il Duce”, cantavano una strofa di “faccetta nera”, si esibivano, sempre in acqua, in una sorta di capovolte e altri giochi e concludevano esclamando ”butta butta” invitandoci in tal modo a gettar loro una moneta che, abilissimamente catturavano, mentre scendeva sott’acqua e, subito si mettevano in bocca. In un primo tempo rimasi sorpreso per come quei giovani egiziani dimostravano di conoscere certi aspetti della vita italiana, poi però, capii che il passaggio di tanti  nostri piroscafi carichi di truppe per la Campagna d’ Abissina aveva lasciato il segno. Comunque “viva l’Italia” e “viva il Duce” mi facevano inorgoglire.
Purtroppo, 4 anni dopo, verso la fine di una guerra sfortunata, scene simili nei confronti delle truppe alleate sarebbero state recitate da ragazzi, donne e uomini italiani in condizioni di assai più grave bisogno, condizioni causate dalle decisioni irresponsabili di capi politici fanatici ed esaltati dall’ebbrezza del potere.
La traversata del Canale fu a sua volta assai coinvolgente. La nave procedeva si, lentamente, ma le rive dello stretto erano assai vicine e, la paura di un piccolo sbandamento che le facesse urtare, era sempre presente. A distanza si ergeva il monte Sinai e alla mente mi appariva la storia dell’arca di Noè e altri episodi accaduti in quell’area dove l’Africa si congiunge all’Asia. Entrammo nel Mar Rosso. Intanto la temperatura era andata progressivamente aumentando e continuò a crescere a mano a mano che scendevamo a sud.

Non avevo mai sentito tanto caldo e di notte preferivamo stare sul ponte, vicino alla cabina, nella quale, effettivamente, non si riusciva a dormire. Dopo due giorni, fortunatamente all’alba, quindi nel momento meno caldo, giungemmo a Massaua. Già al momento dell’attracco vedemmo il babbo sulla banchina. Le operazioni di sbarco furono rapide e presto potemmo riabbracciare nostro padre.

Ci fece accomodare in un bar e ci lasciò per andare a controllare lo sbarco dei bauli e il loro caricamento su un camion. Stavamo felici e contenti seduti sotto due enormi ventilatori bevendo una bibita. Unico grande fastidio era rappresentato da una grande quantità di mosche, audacissime e insistenti, che si posavano dovunque e pizzicavano dolorosamente.

Per fortuna mio padre aveva fornito tutti di uno scacciamosche col quale ci difendevamo e proteggevamo Alberto che, senza scacciamosche e dolcissimamente roseo e paffuto doveva rappresentare per le mosche una irresistibile attrazione pingue e succulenta. Noi, io la mamma e la Giuliana lo difendevamo a…. scacciamosche tratto, da quell’assalto furioso. Recuperati i bagagli partimmo per Asmara. ( Continua nel prossimo numero)

Luigi Ramponi