PALETTA VERDE PER L'ASMARA

 

A questo traggono gli dei del fato. Così declamava il vecchio Orazio per l'urgere incontenibile delle sue necessità poetiche, davanti alla storica e stimolante siepe sull'ermo colle di Recanatum. Per una provocatoria coincidenza di cui voglio approfittare, a dispetto della reimperversante crisi energetica, nel giro di pochi giorni l'immagine della strada ferrata Massaua - Asmara mi è capitata per due volte sotto gli occhi in due diverse pubblicazioni. Prima sul numero 4 di "Mai Taclì" ne ho rivisto le traversine investite da una saettante littorina lanciata in una curva a esse, su un alto viadotto, come in una figura da otto volante; poco dopo la stessa ferrovia, con i lavori in corso per la sua costruzione, mi è ricomparsa davanti nello sfogliare un volume su fatti e personaggi della belle époque italiana, "Quando l'Italia diventò maggiorenne" di Carlo Gasbarri, pubblicato a Grosseto dal "Circolo culturale Gabriele D'Annunzio".

 

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 La Stazione ferroviaria di Massaia (Incisione del 1896)

 

L'apparizione ricorrente della minuscola littorina dell'Eritrea, quella per la verità che faceva la spola con Cheren passando sotto la collina di Ghezzabanda, è legata agli anni della mia seconda infanzia. Si abitava allora in un villino alla punta estrema di viale 3 ottobre, poi 24 ottobre o qualcosa del genere, che terminava su un'inverosimile scalinata di pietroni grezzi, serpeggiante in discesa verso il fondo di uno strapiombo dove prospettavano una delle aperture del rifugio antiaereo trasformato in una serra di funghi e il cancello di un grande giardino attraverso il quale amavo scambiare passando, furtivi sguardi di curiosità con le due sorelline che vi si affacciavano. I miei graffiti mentali di quel periodo sono radi ed evanescenti, senza un preciso ordine temporale e travisati dall'immaginazione che ne riempie i vuoti. Tuttavia, sia pure con qualche margine d'imprecisione, posso ancora discernere i nomi di alcuni vicini di casa: i vicinissimi Girlando, anzitutto (Nunziatina che insegnava alle medie e di tanto in tanto rivedeva un po' il mio latinorum, iniziandomi al tempo stesso ai gialli di Perry Mason; Vincenzo che, tra una musica e l'altra, riusciva persino a studiare medicina; la loro mamma dal viso sorridente e dai modi ineffabilmente signorili); il professor Gandolfo, mio futuro insegnante di francese, che trascorreva lietamente i suoi momenti liberi a leggere in giardino il "Notre Dame de Paris", nell'edizione francese naturalmente; i Camoli, Giancarlo e Werther, ripartiti presto per l'Italia, ancora con i calzoncini corti, e che ho rintracciati a Bologna dopo un millennio, con tanto di mogli e figli altrettanto naturalmente; l'ingegner Conti, che era arrivato a leggere non so se fino al XV o al XVIII volume della Treccani ed esponeva la fotografia di un paesaggio marino con la dicitura: "Romagna solatia, dolce paese"; la signora Valsecchi e il figlio Giorgio, che la sera segnalava il suo ritorno fischiettando senza eccezioni: "Torna al tuo paesello ch'è tanto bello"; il professor Mustari con la bella mogliettina e la piccola Gigliola (li ho incontrati nel 1977 a Firenze; né io li ho riconosciuti, né tanto meno loro hanno riconosciuto me); Ermete Rebucci, che veniva a passeggiare con il suo enorme cane lupo salendo da una villetta nei pressi del cantiere Ziino, dove abitava vicino al "cesellatore della canzone", Tino Turrioni; una bimbetta di nome Ornella, con le lentiggini e i capelli color miele mi pare.

 

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Ferdinando Martini, colui che fra le altre cose ha dato il nome al “più

famoso liceo-ginnasio del mondo”.

 

E poi altre cose che mi riaffiorano alla mente: un'apocalittica grandinata, mai più vista così in vita mia, che mi fece capire per la prima volta come erano fatti i bianchi campi di neve; un'invasione di cavallette che convinse mia madre a restarsene tappata in casa per una settimana, mentre qualcun  altro in città le cavallette, beato lui, se le faceva fritte o in salamoia come sardine; la caccia eccitata alle farfalle emigranti (inseguitissima la "verdona"), che insieme ad altri ragazzi sfracellavo obrobriosamente con rami divelti dai malcapitati alberi e cespugli della zona; la lettura accanita di tutti i possibili romanzi di Salgari e degli albi a fumetti di Gim Toiro, Bourianakis e il Kid impegnati in una lotta interminabile contro la diabolica Hong del Dragone al comando di Colui Che Sa, dai sotterranei nel delta del Gange; e per non concludere con l'ormai desueto lieto fine, l'eco degli spari e il fumo degli incendi nel quartiere eritreo, all'orizzonte, messo a ferro e fuoco dalle truppe sudanesi dall'Amministrazione militare britannica per vendicare un loro camerata ucciso sembra per una questione di donne, sul finire dell'agosto 1946. Tutto questo ritmicamente scandito dall'andirivieni affaccendato dell'elegante littorina, che nella fantasia mi appare di colore rosso scarlatto, ma forse era verde smeraldo o azzurro turchese.

La storia della ferrovia Massaua - Asmara rinvia direttamente alla figura di Ferdinando Martini, noto soprattutto perché al suo nome è stato intitolato il liceo - ginnasio dell'Asmara, cioè il più famoso liceo del mondo. Uomo di vastissima cultura e multiforme ingegno, in giovinezza Ferdinando Martini si era procurata una discreta celebrità anche come commediografo, sulle orme del padre. In proposito, per fare un rispettoso e certamente gradito omaggio alle eventuali femministe che dovessero leggere queste righe, desidero qui ricordare il titolo di una sua, ma non solo sua, tragedia: "L'uomo propone e la donna dispone". Considerato come uno dei più brillanti giornalisti del suo tempo, Martini era riuscito inoltre, fondando un giornale, "Il Fanfulla della Domenica", a diventare un collega sia pure minore di Marcello Melani, fondatore del ben altrimenti importante "Mai Taclì", organo ufficiale della irrequieta diaspora italo- etiopica. Con l'Italia ritrovatasi inspiegabilmente unificata per tutta la sua lunghezza, l'onorevole Martini, eletto deputato a Monsummano di Pistoia e divenuto poi ministro dell'istruzione pubblica, si inserì nell'agone politico come liberale della sinistra di Depretis e Crispi e si mise in luce soprattutto per la sua lotta senza indulgenze contro le mire stancamente colonialiste dei governi dell'Italietta postunitaria. A un bel momento, con una brusca conversione di 180 gradi - cose che capitavano solo allora - Martini passò all'estremo opposto fino a divenire tra il 1897 e il 1898 regio commissario civile straordinario e quindi il primo governatore civile della Colonia Eritrea; carica che mantenne per circa dieci anni. Fu in quella occasione che la capitale venne trasferita da Massaua all'Asmara.

Quando Ferdinando Martini ricevette il suo incarico amministrativo la politica italiana di espansione oltremare era in pieno riflusso. Alla guida del governo era stato chiamato, dopo lo sbalorditivo pasticcio di Adua, il marchese Antonio Starrabba di Rudinì, capo dell'ala destra della destra liberale "dissidente". Rudinì dopo essere arrivato a meditare la cessione della faticata Eritrea a Leopoldo II del Belgio se non altro per scorno al proprio conterraneo Francesco Crispi, manifestò con le parole e con i fatti, pesantemente condizionato dall'alleanza parlamentare con i radicali di Felice Cavallotti, l'intenzione quanto meno di ridurre ai minimi livelli l'impegno militare e finanziario dell'Italia in quel lontano territorio. Logica conclusione di una politica coloniale maneggiata per decenni con un cuore d'asino e un cuore di leone, più col primo che col secondo. L'uomo di Monsummano, tuttavia, non si rassegnò a svolgere un ruolo di curatore fallimentare e - per tornare abbreviando all'argomento in oggetto - una delle realizzazioni da lui volute con ostinazione, contro le remore frapposte da Roma, fu appunto la costruzione della ferrovia Massaua - Asmara per rafforzare la presa sull'altopiano e meglio valorizzare le risorse economiche della colonia e il suo porto principale.

Di quella ferrovia esisteva già il tronco Massaua (Abd el Cader). Saati, che era stato approntato affrettatamente nel 1887 per le esigenze logistiche della rioccupazione di Saati, dopo la battaglia di Dogali, e che comunque dovette essere quasi interamente rifatto per correggerne il tracciato. Martini lasciò l'Eritrea nel 1907 e nel 1914 sarebbe diventato Ministro delle colonie. Prima di partire era riuscito a risolvere la questione dei confini con l'impero etiopico, altro punto sul quale si era particolarmente esercitato il suo attivismo. Fu un suo merito se l'Italia poté mantenere la linea Mareb- Belesa. Invece, della vagheggiata ferrovia era stato inaugurato, nel settembre del 1904, solo il tratto Massaua (Taulud) Ghinda. La prosecuzione dei lavori rimase in sospeso fino al 1908 a causa di perplessità tecniche e soprattutto di bilancio. L'onere per quella prima impresa risultò tuttavia abbastanza elevato da contribuire non poco a suscitare intorno alla persona dell'alto funzionario la nomea di scialacquatore delle finanze eritree. "L'Eritrea - si diceva - è quella terra che il Mar Rosso bagna e il Martini asciuga".

Povero Martini, pensa un po' cosa doveva succedere proprio a lui, che appena messo piede in colonia si era precipitato a fare i conti addosso ai militari spreconi che lo avevano preceduto, non peritandosi a esempio di scrivere, per qualche troppo spaziosa caserma di tavole e lamiere trovata a Massaua o per un'eccessiva larghezza nelle provviste di sale, caffè, vino, scarpe e altri vettovagliamenti riscontrata nei magazzini dell'esercito: "Dopo il Baratieri il più grande malanno della colonia fu il mio antecessore generale Viganò".

Comunque sia, l'iniziativa intrapresa da Martini venne cestinata nel percorso più arduo, tra Ghinda e Asmara, dal suo successore, il marchese Giuseppe Salvago Raggi, e condotta a termine nel 1911.

L'opera è stata sempre indicata come un'ottava meraviglia. Non sono competente per giudicare, ma alcuni dati possono essere interessanti per chi non li abbia tutti presenti e voglia farsi un'idea. Il tracciato complessivo superava un dislivello di 2400 metri su soli 65 km. di distanza rettilinea. Sulla lunghezza di circa 120 km., sessanta sono stati costruiti in curva. Le gallerie sono trenta, in massima parte nel tratto Ghinda - Asmara, per un totale di circa quattro chilometri. Le opere d'arte maggiori (ponti e viadotti) sono 26 e 492 quelle con luce inferiore a 10 metri. Il dislivello di 1500 metri tra Ghinda e Asmara era stato scavalcato con 50 km. di linea aventi una pendenza quasi continua del 35 per mille e curve con 70 metri di raggio minimo. Le stazioni intermedie dieci.

L'ultimo viaggio in littorina da Asmara al mare lo feci per andarmi a imbarcare su un cargo norvegese che insieme con un'allegra brigata mi portò consolatoriamente a veder Gedda, Porto Sudan, Alassandria e Atene, prima di sbarcarmi in Sicilia. Per il tempo trascorso e il rapido sovrapporsi di impressioni nuove, di quel tragitto ferroviario finale l'unica mia reminiscenza è quella di una tribù molto seria non so se si amadriadi o cercopitechi, che si spostavano muovendosi sul terreno, le femmine con i piccoli abbrancati alla schiena e tutti i componenti stranamente somiglianti al mio amico Gianfranco Spadoni. Mi piacerebbe ripercorrerlo un giorno per rinfrescarmi la memoria: le belle speranze non recano danno a nessuno e aiutano a trangugiare ben diverse realtà. Eppoi non si sa mai: Allah Karim, nevvero, padre Ndeobono Wywayesu? 

Raffaele Vella

(Mai Taclì N. 1-1980)