RUDERI

Il mondo è pieno di “resti” di vecchie floride comunità europee, resti che ormai non interessano più a nessuno perché sono “corpi estranei” sia alle nuove situazioni locali (che pur sopportandoli ne farebbero volentieri a meno) dove rappresentano le scorie della do-

minazione coloniale sia ai paesi di origine ai quali ricordano un passato colonialista che le nuove generazioni hanno condannato pur ignorandone quasi sempre la storia.

Ci sono i famosi Dutch Burghers di Caylon, discendenti di quegli olandesi della Compagnia delle Indie Occidentali che dominarono l’isola fino a quando furono sconfitti dagli inglesi; ci sono i polacchi discendenti dei soldati napoleonici che occuparono Haiti; ci sono i Matignon normanni della Guadalupa; ci sono i tedeschi di Seaford in Giamaica che discendono dagli emigrati che speravano in una nuova vita in America e furono sbarcati nell’isola; ci sono i portoghesi della Malesia e i francesi di Pondichery in India; ci sono i genovesi e gli scozzesi di Tristan da Cunha e i Basters della Namibia fuggiti dal Sud Africa in cerca di nuove terre dopo l’occupazione inglese e gli “insabbiati” italiani d’Eritrea e d’Etiopia.

Gente che trascorre una vita quasi sempre incardinata sulla nostalgia, sul ricordo, sulla tristezza, sulle difficoltà delle nuove realtà, gente che ha fatto parte di un capitolo dell’avventura umana che si è definitivamente chiuso. Il colonialismo così come era inteso non potrà mai più rinascere perché non si potranno mai più trovare così tante persone disposte ad emigrare in massa abbandonando il proprio paese per nuove avventure coloniali e questi “bianchi” sparsi in giro per il mondo sono i ruderi di un irripetibile passato.

E praticamente impossibile che nel mondo occidentale si ripresentino situazioni come la guerra civile americana quando gruppi di sudisti sconfitti e umiliati decisero di cercare una nuova patria in Brasile dove furono accolti a braccia aperte dall’allora imperatore portoghese Don Pedro perché portatori di conoscenze e tecniche di cui il paese aveva bisogno.

Queste comunità bianche rimaste a vivere nelle ex colonie non sono molto diverse da quei gruppi di immigrati che vivono nelle grandi città dell’Occidente: sono piccole minoranze tollerate e alle quali si guarda sempre con un’ombra di sospetto e di diffidenza perché, malgrado la lunga convivenza, restano sempre dei “diversi”.

Queste piccole comunità che si vanno esaurendo a mano a mano che i loro componenti muoiono, sono la dimostrazione vivente che anche i colonizzatori finirono a loro volta sconfitti lasciando sul terreno le tracce della disfatta. Sono, queste piccole tribù, il simbolo concreto di quel senso di colpa avvertito dai colonizzatori a partire dalla seconda metà del Novecento, senso di colpa che ha accompagnato l’intero processo di decolonizzazione e che ha contribuito a darcene un’immagine distorta.

E di questo senso di colpa hanno cercato di approfittare i nuovi governanti dei paesi indipendenti. Basta, per convincersene, leggere le parole pronunciate da un politico giamaicano nel 1966: “...abbiamo spinto la nostra gente a credere che tutti i problemi nascevano dal colonialismo, dalla schiavitù, dall’imperialismo e che avevamo tutti il diritto di venire ripagati di queste sofferenze... che non c’era bisogno di lavorare e di investire, dovevamo solo presentarci alla cassa e riscuotere la nostra ricompensa... la conseguenza è che ancora oggi ci portiamo addosso un risentimento grosso come una casa...”

Quasi tutti questi bianchi rimasti a vivere nelle ex colonie si domandano com’è possibile che siano diventati estranei nel “loro paese” al quale hanno dato tanto, nel quale hanno creato tanto e non capiscono che, forse, è proprio per questo che non sono amati: nessuno vuole avere debiti di gratitudine specialmente quando questo sentimento lo si dovrebbe nutrire verso gli ex colonizzatori.

A nessuno piace avere tutti i giorni sotto gli occhi le testimonianze di un capitolo storico molto discusso e controverso: i padri perché hanno combattuto a fianco dei vecchi colonialisti e ancora attendono il giusto riconoscimento, i figli perché è stato loro insegnato che questi bianchi fanno parte di coloro che hanno sottomesso il loro popolo per decenni.

Angra

 

(Mai Taclì N. 6-2002)