Cosa hanno guadagnato

 gli italiani in Eritrea?

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    In merito  a quanto ho scritto agli amici Spadoni e Granara (Mai Taclì N. 2 e N. 3 del 200), vorrei precisare quanto segue.

Ripeto, non sono una colonialista. Secondo me, l’Italia avrebbe fatto meglio a starsene a casa sua. Ma erano altri tempi e la mentalità era diversa. Si pensava che, venendo qui, avremmo sanato i nostri mali economici. Macché sanare, solo soldi buttati via!

Se infatti le enormi somme impiegate dal governo italiano per creare città, villaggi, ospedali, strade, opere pubbliche in genere, anche a servizio degli indigeni, le avessimo impiegate per creare le stesse cose a casa nostra, oggi sarebbero lì e non in terra straniera non apprezzate, o addirittura disprezzate. Oppure in rovina a causa di eventi bellici locali (es. Massaua) o di semplice incuria.

Quanto ai capitali usati da privati cittadini per costruire case e palazzi, creare industrie, potenziare l’agricoltura e via dicendo, se questi privati li avessero investiti in paesi come gli Stati Uniti, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Sud America…, oggi sarebbero ancora in loro possesso, dando inoltre lavoro a tanta gente, connazionali compresi E non avremmo il dispiacere  di leggere, ad esempio, Woldeab Woldemariam (pace all’anima sua ) in “Aiutateci a dimenticare” (1)

“Al secondo gruppo appartenevano coloro che avevano nelle mani l’economia del Paese, commercianti, industriali, concessionari, sfruttatori senza scrupoli dell’indigeno” (2)

SFRUTTATORI?  Non mi pare! Gli indigeni erano pagati  forse meno degli italiani ma sufficientemente per vivere dignitosamente insieme alle loro famiglie. Il fatto che essi vivessero bene lo afferma anche l’ufficiale inglese G.K.M. Trevaskis, che certo non era filoitaliano, ma che non ha potuto fare a meno di riconoscere questa verità, senza parlare dell’assistenza sanitaria a favore dei nativi. Un esempio? Il lebbrosario di Sicaelacà. Non mi pare che gli italiani avessero la lebbra!. (3)

E gli anziani eritrei che ancora sopravvivono a quei lontani tempi, li ricordano, e da ciò deriva l’incontestabile rispetto che ci portano.

Certo, non erano tutte rose e fiori. Gli Italiani sono esseri umani, non santi.

Tutto quello che avevano creato gli Italiani d’Eritrea lo avevano fatto con entusiasmo e sacrificio. Pochi sono stati coloro che ne hanno tratto consistenti profitti e nessuno, mi pare, a spese degli Eritrei.

Del resto, prima di noi, non lo dimentichiamo, qui  non esisteva quasi nulla. Inoltre la maggior parte dei nostri connazionali che lasciarono precipitosamente l’Eritrea, in varie fasi, ma soprattutto al tempo della nazionalizzazione di Menghistù, sono tornati in patria  “con una mano avanti e l’altra  indietro”, come dice Angelo Granara nel suo libro “Eritrea nuova Sangrilà” : Essi hanno abbandonato qui i loro beni, e quelli che sono riusciti a vendere, hanno realizzato solo pochi soldi. Senza parlare degli ordini religiosi italiani ai quali si debbono opere insigni  (l’Università di Asmara per esempio), espropriati di tutto e da nessuno risarciti. Neppure tutti  i laici sono stati indennizzati dal governo italiano e nemmeno, che io sappia, da quello eritreo.

Paradossalmente direi che le vittime del nostro colonialismo siamo stati proprio noi!

Il torto maggiore di coloro che qui avevano investito i loro soldi è stato quello di avere dimenticato di essere in terra straniera. Stavamo così bene da non ricordare che questa non era casa nostra.

Comunque siamo stati felici, e di questo vada un grazie agli Eritrei che ci hanno ospitato e alla loro natura dolce e gentile.

E veniamo ad oggi!

Malgrado tutto, e con una generosità tipicamente italiana, nella tragedia che ha colpito questo popolo civile e dignitoso, siamo stati tra i primi, se non i primi, a correre in suo aiuto. E lo ha fatto tutto il popolo italiano, non solo con donazioni singole, ma anche e soprattutto attraverso la terribile pressione fiscale (una delle più alte del mondo) alla quale è sottoposto. Credo che istituzioni italiane, come la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri, siano finanziate anche attraverso le nostre tasse. Ma nessuno ha protestato. Nessuno s’è sognato di dire:” Pensate prima a noi e poi mandate soldi fuori” Non l’hanno detto neppure quei commercianti ed artigiani costretti a chiudere i loro esercizi perché impossibilitati a pagare inique imposte. E neppure quei poveri connazionali che, dopo terremoti, alluvioni e via dicendo, vivono ancora dopo tanti anni in roulottes.

Nessuno ha protestato malgrado sia noto che il debito pubblico italiano, sempre in crescita, ammontava – alla fine del 99 -  a due milioni di miliardi di lire.

Per realizzare altre entrate, i cui proventi sono forse in parte utilizzati per aiuti ai Paesi in via di sviluppo, si stanno vendendo agli stranieri importanti opere pubbliche. Un solo esempio: il Foro Italico, per il quale v’era una trattativa con gli Americani. Alleanza Nazionale ha condotto una forte campagna per impedire la cessione. E ancora: nessuno ha pensato, neppure lontanamente, al fatto che gli stranieri che lavorano in Italia (e tra questi gli Eritrei, che sono i migliori sotto tutti i punti di vista) possono inviare liberamente ai loro paesi di origine tutto il denaro che vogliono, senza limitazione alcuna. E pare che le somme esportate in questo modo ammontino a più di mille miliardi all’anno. Ulteriore drenaggio per la nostra economia.

Malgrado tutto ciò nessuno ha protestato e nessuno protesta, anzi siamo felici per quello che si sta facendo per l’Eritrea. Ma, per tutta risposta, vengono pubblicati articoli come quelli di Amanuel Sahle (Eritrea Profile 1 e 8 aprile 2000) altamente offensivi per noi italiani ed anche per il generale Ambasciatore Amedeo Guillet, che era stato ospite il marzo precedente del Presidente Afewerki. O libri come “The collusion on Eritrea” l’ultimo, credo, in ordine di tempo. E allora ci restiamo male.

Desidero segnalare, invece, una voce neutrale. L’unica finora da me captata. Nel programma in lingua araba del mattino (ore 7/8 a.m.) nella rubrica ”domande e risposte”  (27 novembre 2000) a proposito della storia di Massaua dal tempo dei Turchi – XVI° secolo – all’indipendenza (1991) è stato messo in rilievo quanto compiuto dagli Italiani: costruzione di porti, Assab e Massaua, strade, ponti, ferrovie, teleferica e via dicendo. Molte di queste  opere furono smantellate dagli Inglesi, altre distrutte dagli Etiopici. Questo quanto detto in lingua araba. Ed io ringrazio chi ha trasmesso al pubblico eritreo questa verità!

Per terminare. Non vogliamo ringraziementi per quello che, comunque sia, abbiamo fatto e lasciato qui. Mia madre, che era una donna saggia, soleva citare il vecchio proverbio ischitano “Fai male e pentiti, fai bene e scordati”

Non vogliamo ringraziamenti, ma neppure vogliamo continuare ad essere bersagliati.

Per favore, amici eritrei, siate generosi anche voi!

 Rita Di Meglio

 

(1) Introduzione al libro “Eritrea, Colonia Tradita” di  Stefano Poscia, ediz. associate, Roma 1989,pp 8-10

(2) secondo Woldeab “indigeno” sarebbe un termine usato dai nostri connazionali in maniera dispregiativa. Egli , pur conoscendo perfettamente la lingua italiana - aveva studiato nella nostra scuola -  dimenticava (volontariamente?) che indigeno significa semplicemente “nativo, aborigeno, autoctono” !

(3) G.K.M. Trevaskis, Eritrea a colony in transition, Oxford 1960.

 

(Mai Taclì N. 2-2002)