Harar:un Emirato (1) cancellato da un Impero

 harar1 Harar Jugol (chiamata usualmente solo Harar, Harrar, Hārer o Harer) così come la conosciamo oggi, è una città che si trova nella parte orientale dell'Etiopia, nell'odierna regione dell'Harari. Essa è situata sulla cima di un monte ad un'altezza di 1.885 metri sul livello del mare, nella parte orientale dell'altopiano etiopico, a circa 500 chilometri dalla capitale Addis Abeba. Nel 1994 la popolazione era stimata in 76.378 abitanti.

Per numerosi secoli Harar è stata un importante centro commerciale (schiavi, pelli, animali esotici avorio e penne di struzzo, da sempre famosa per il suo pregiato caffè) è collegata per mezzo di importanti vie di comunicazione con il resto dell'Etiopia, mantiene attivi rapporti con il Corno d'Africa e con la Penisola araba. Il castello storico era la residenza dell’Emiro e la città conserva una cinta muraria caso rarissimo, forse unico in Africa.harar2

Dal 2004 Harar Jugol è stata inserita nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO; è considerata la quarta città santa dell'Islam, con 82 moschee, tre delle quali risalgono al X secolo, e 102 luoghi sacri. Questo ci aiuta a capire perché l’Islamismo Integralista includa l’Etiopia, per loro El Beled el Abascia(t), nel Califfato che sognano.

harar4Ma nel passato il territorio di Haràr costituiva una realtà, comunque non la sola, con caratteristiche molto peculiari nell’ambito del Corna d’Africa e successivamente dell’Impero d’Etiopia; esteso per duecentomila chilometri quadrati, questo territorio, superava il milione di abitanti sin dall’epoca della sua definitiva annessione ad opera di Menelik (1887).

Il territorio confina a nord con l’Eritrea (Dancalia), ad ovest ed a sud con la Somalia, a nord e a nord-ovest con l’Amàra (Abissinia) e con il territorio dei Galla.

Vasta parte del suo territorio è molto fertile, con un ottimo clima ed ha sempre goduto di ampie scorte; fu Stato autonomo, da sempre di ispirazione musulmana e crocevia commerciale di primo ordine anche per la sua, relativa, vicinanza al Mar Rosso ed Oceano Indiano.harar4

Il capoluogo omonimo estese, un tempo, le sue conquiste in territori dell’Abissinia, così come, a volte, fu conquistato dagli Abissini che pur lo riconobbero sempre come Emirato che per secoli si mantenne indipendente.

Già nel 1520 Haràr era riconosciuta capitale del suo territorio e fu base delle spedizioni che Mohammed Ibin Ibrahim, detto el Gragn’ che contrapponeva la sua autorità a quella del Sultano che tentò l’islamizzazione dell’intera area minacciando il negus Galaudenos, poi caduto combattendo sempre l’Islam, sin nei territori del Goggiam, Amàra e Tigrai cuore dell’Abissinia.

Nonostante i periodi di decadenza, sotto la pressione di Abissini e Galla e per dissidi interni, l’Emirato conservò sempre le caratteristiche, diremmo oggi, di Città-Stato, ma in un’epoca storica la capitale a causa di detta pressione fu trasferita ad Aussa, luogo protetto da zone desertiche.

Con l’apertura del Canale di Suez e l’importanza che assunse l’Egitto e l’intera area, quest’ultimo occupò Harar ed impose all’Emirato il protettorato del suo Khedive, destinato però a breve durata.

harar5Ma dopo questa veloce, necessariamente sommaria, premessa restringiamo i tempi per concentrarci sull’annessione definitiva di questo territorio all’ Impero d’Etiopia:

Nel 1886 una banda armata dell’emiro Abdullahi Di Harar, trucidò, sulla via di Gildessa, la spedizione naturalistica e geografica italiana guidata dal colonnello G.P.Porro, si tratto di un fatto grave in quanto la spedizione, altamente qualificata, era stata autorizzata sia dagli Abissini che dall’Emiro stesso. Persero la vita: il prof. G.B. Licata, il dr. G. Zenini, G. Gottardo, U. Romagnoli, C. Cocastelli, P. Bianchi e G. Blandino.

Menelik colse l’occasione per una ritorsione sull’Emiro e dopo la battaglia di Ciallancò (gennaio 1887) entrò in Harar annettendo al suo regno scioano tutto il suo territorio.

All’epoca, due anni e mezzo prima del Trattato di Uccialli e pochi giorni prima della Battaglia di Dogali, Menelik manteneva, almeno formalmente e nel suo interesse, buoni rapporti con l’Italia Umbertina sino a mostrarsi, due anni dopo, disposto ad accettare un ambiguo protettorato sull’intera area e la sovranità italiana sull’Eritrea.

Molto più verosimilmente, servendosi degli aiuti italiani, anche in armi e di vari consulenti europei mirava a costituire un impero coloniale sul modello dell’epoca, come dimostra con il suo costante espansionismo.

Una serie di circostanze quali: l’annessione dell’Emirato di Harar, con una estensione pari ai tradizionali Regni di Abissinia; la morte del re Johannes del Tigrai (Axum) che godeva di grande prestigio, caduto combattendo contro l’infiltrazione musulmana dal Sudan (i Dervisci, meglio Mahadisti) e l’occupazione del Tigrai; la sconfitta di Mangascià erede di Johannes ed il suo atto formale di sottomissione a Menelik; l’avvelenamento del Sovrano del Goggiam, che fu sottoposto allo Sciòa; fecero sì che Menelik si proclamò Re dei Re (1889). Altri lo fecero prima di lui ma si trattava solo di proclami quando un re emergeva rispetto agli altri.

harar6Menelik, con la conquista di grandi territori del sud-ovest verso l’Africa nera, con l’uso di armi moderne, consiglieri europei e mezzi superiori e dopo la vittoria di Adua (1896-1908) assunse un prestigio prima sconosciuto ed il carisma di primo, vero imperatore. Egli per primo portò l’impero alla sua estensione definitiva cioè l’Etiopia dell’epoca moderna.

Il titolo di imperatore gli fu riconosciuto dagli stessi Italiani e l’interessato lo comunicò, in modo ufficiale, agli altri grandi imperatori presenti sulla scena mondiale e nessuno ebbe nulla da obiettare.

Ma torniamo ad Harar per capire l’importanza che assunse nella geografia dell’Impero e che cosa rappresentasse quando venne conquistata dall’Italia del Duce.

Menelik, conquistata Harar, pose per alcuni mesi un rappresentante del suo potere al fianco del tradizionale emiro, che poi imprigionò, lasciando il governo della regione a Ras Maconnen, già conquistatore dell’Ogaden, padre del futuro imperatore Hailè Sellasiè. Ciò spiega molto della posizione di Harar nell’Impero, e nel cuore dell’ultimo Imperatore.

Vediamo infine, che cosa era Harar subito dopo la nostra occupazione (maggio1936) dalle cronache del giornalista inglese Evelyn Waugh (2)  che seguiva la Campagna: “…Per tutta una giornata passeggiai per la città, andai a trovare persone conosciute prima, visitai i bazar e gli edifici pubblici, vagabondai lungo i vicoli, sbirciai nella case da tedj.

Qualche mese prima Harar era stata bombardata, incendiata, e –stando a quanto riferiva la stampa inglese- saccheggiata; P. Balfour aveva scritto per l’occasione un eloquente lamento funebre, intitolato <Questa era una città>. La trovai praticamente immutata. Un po’ più pulita La pavimentazione delle vie principali era molto più uniforme. Si vedevano in giro tantissimi Italiani mentre gli Abissini erano diminuiti; un caffè, al terzo posto tra i ritrovi della città, si chiama ora Albergo Savoia e nella maggior parte dei negozi erano esposte immagini di Mussolini e del Re d’Italia; ma l’aspetto generale della cittadina non era cambiato. Gli Harari erano ritornati in folla, riempiendo le strade dei loro costumi a vivaci colori e il mercato, un tempo dissanguato e ridotto in fin di vita dalle imposte abissine, aveva ripreso a lavorare con grande allegria. Allegria è la parola giusta: se ci si chiedeva se gli Harari avessero gradito il cambiamento, la risposta poteva essere una sola. Adesso era possibilie portare i prodotti in città senza pagare tasse; le prestazioni lavorative, prima obbligatorie, erano volontarie e rispetto alla media locale assai ben pagate.

Gli Indiani non sembravano di buon umore: le restrizioni valutarie li colpivano duramente,…i Preti Abissini ridotti nel numero dalle bande somale, sembravano ben poco a loro agio, ma gli Harari erano indubbiamente  di ottimo umore…”(2) Una testimonianza quindi che l’occupazione italiana, che durò solo per cinque anni, non creò danni a questa antica città.

 

  1. E’ più corretto definirlo così, in modo più generico per definire una realtà statuale islamica. Non “sultanato” perché ciò si riferisce a realtà dell’Impero Ottomano, non “califfato” perché ciò presuppone nei governanti anche la discendenza diretta dal Profeta.
  2. Evelyn Waugh: “Waugh in Abissinia”. Sellerio Editore Palermo 1992 alle pagg. 187,188.
  3. Riferimenti anche da “Guida dell’A.O.I. della Consociazione Turistica Italiana”. Milano 1938.

 

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La verità vi (ci) renderà Liberi.


Cribar, mar. ’15