CUMMANDAR ES SCEITAN

Devo ammettere di essere abbastanza soddisfatto e fortunato della possibilità che ho avuto, nel corso della mia vita, di incontrare personaggi fuori dal comune. Come non ricordare la figura ieratica di Jonas, sindaco di Vienna all’epoca del mio incontro, poi presidente della Repubblica Austriaca, l’imam Ahmed dagli occhi di bragia, re dello Yemen, il Negus Ailè Selassiè, il primo presidente della Somalia Aden Abdalla e il famigerato  Siad Barre, ed altre personalità di caratura internazionale?

Ma tra i miei ricordi una figura spicca sulle altre, quella del Comandar Es Sceitan, il Comandante Diavolo, il mitico Amedeo Guillet. Lo incontrai quando, giovane medico, cominciai a lavorare a Taiz,  allora capitale amministrativa dello Yemen.  Guillet era il Reggente della Rappresentanza Italiana presso il locale governo. Si stabilì tra noi un rapporto di simpatia. Quando Guillet doveva organizzare un pranzo fra connazionali residenti a Taiz richiedeva il parere di mia moglie e mio sulla composizione degli inviti perché dovete sapere che, tipica caratteristica italiota, tra la decina e più di medici italiani che allora costituivano il nerbo della medicina yemenita, i rapporti erano conflittuali. Definendoci La Svizzera, il Nostro si premuniva dall’organizzare riunioni poco bene assortite. Era una persona dal comportamento diretto, senza fronzoli, occhi penetranti, importanti baffi da gentiluomo di campagna, media statura,  asciutto; immediata era la percezione di trovarci di fronte ad una persona di estrazione militare, con spiccata attitudine al comando. Una volta avendo io ricevuto un presunto torto andai a protestare da lui; ascoltate le mie ragioni, erigendosi dall’altro lato della scrivania,, sguardo fiammeggiante, con voce stentorea mi disse: “Frosini, vuole che io parta con la lancia in resta”? 

Fortunatamente non ce ne fu bisogno. Frequentemente  venivo chiamato a prestare la mia opera alla Residenza Italiana; in una splendida giornata, come solo da quelle parti si può avere, mi recai alla Residenza per visitare, ricordo, un notabile locale che si era rivolto ai  “nazrani talian”, gli infedeli italiani perché afflitto da persistente infertilità non avendo più avuto figli dopo una mezza dozzina!

Entrato nel bustan, il bellissimo giardino che adornava la Residenza, dopo aver percorso un certo tratto di un vialetto, mi imbattei in una scena  che non dimenticherò più: uno snello, argenteo cavallino legato ad un alberello e il console Guillet che con un braccio infilato nel posteriore della povera bestia  estraeva a piene manate una quantità inverosimile di materiale digerito; mi fermai attonito e interdetto, ma Guillet accortosi della mia stupefatta presenza, con la sua squillante voce mi disse: “Frosini, buongiorno; non si meravigli, noi in cavalleria, quando la bestia ha una colica procediamo cosi’ e, mi creda, la cosa funziona alla perfezione.”  

E aveva ragione, perché di li’ a  qualche giorno lo vidi galoppare nella boscaglia ai piedi del Kahira in sella al suo cavallino, ambedue felici, faccia e muso al vento. Un doveroso accenno devo fare alla figura dolce e gentile della moglie del Comandar, la signora Beatrice, donna pacata, di estrema cortesia, perfetto contraltare del carattere impetuoso e diretto del marito.

Ogni volta che andavo alla Residenza la Signora mi leggeva con emozione le lettere che i due figli le scrivevano da Asmara, ove studiavano presso il Collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane. L’ultima volta che vidi il Cumandar es Sceitan fu a Roma, 1959 circa.

Volle portarmi a visitare l’esclusivo Club della Caccia di cui era socio. In quella occasione si rivolse a me in francese al che, sconcertato, mi dovetti aggrappare ai miei scarsi ricordi scolastici per potere, in qualche modo, sostenere la conversazione Mah! E sorrido al ricordo.

Purtroppo da allora non ho più avuto l’opportunità di incontrarlo. Solo qualche notizia sulla stampa e i libri che sono stati pubblicati sulla sua vita.

Ma va bene cosi’, è stato un privilegio averlo incontrato e essergli stato amico, anche se per breve tempo.

Nello Frosini