Ma è veramente misterioso il

Mal d’Africa

Anni fa, Emilio Fede, uno dei più brillanti inviati speciali televisivi, chiese “cos’è il mal d’Africa?” a numerosi italiani in Asmara e Addis Abeba. Io stesso fui fra gli intervistati. Preso alla sprovvista, dissi qualcosa di vero, ma solo una piccola parte di ciò che ritengo sia il mal d’Africa. Forse non era quello il luogo più indicato per porre la domanda, perché quel male che i non africani ritengono misterioso, lo si contrae in Africa, ma si sviluppa in Italia. In realtà noi rispondevamo parlando d’amore e non di male d’Africa.

Infatti mi sono accorto di avere il mal d’Africa, solo quando sono rimpatriato. Prima sentivo il mal d’ Italia, un’Italia idealizzata come lo è diventata ora l’Africa.

Lo sentii in treno, mentre da Roma andavo a Milano. Ad un certo punto, avvenne qualcosa di strano. Tutto quello che vedevo dal finestrino mi appariva freddo, estraneo, artificiale, qualcosa che ricordava i fiori di carta o di plastica. Il paesaggio lucente, ordinato, pettinato suonava falso, pareva dipinto. Al contatto con la realtà, !’Italia idealizzata era caduta.

Indubbiamente era sempre il mio caro paese, ma non era più unico: nel mio cuore era entrata un’altra terra con le sue malie. Quanta differenza tra il primo e il secondo amore.

Troppa gente in patria. La presenza dell’uomo è dovunque. Tutto quello che vediamo sa di uomo. Quegli alberi, quel grano, quei fiori li ha piantati lui, quelle strade, quei solchi tutti eguali li ha aperti lui, i paesi e le città li ha costruiti lui, il cielo, il suolo, il fondo del mare sono pieni di fili, di tubi, di cavi fatti da lui.

E’ entrato dappertutto, ha forato le montagne, è sceso nelle viscere della terra. Ha rovesciato e rimestato innumerevoli volte il terreno esausto, lo ha mescolato con prodotti chimici, ha rovistato, deformato, deviato, cambiato. Ha adulterato anche i suoi cibi, ha avvelenato la sua atmosfera, i suoi .fiumi, i suoi laghi, i suoi mari, ed ora rischia di morire dei suoi stessi veleni; ha perfino violato il segreto dell’atomo, creando così le premesse dell’estinzione del genere umano.

Ha asservito la natura, ma è stato un pessimo padrone. Ciò che vediamo ora è una natura violentata, mortificata; malata, deserta.

In realtà, noi non vediamo più la natura, ma l’uomo, l’uomo dovunque.

Ora pensate di passare dalla vita frenetica delle nostre città popolose, in cui spesso alti fabbricati si stringono fra loro e lasciano vedere solo strisce di cielo, alle immense distese ass0late d’Africa; dai nostri boschi piantati dall’uomo, ove gli alberi distano un egual numero di centimetri l’uno dall’ altro ed in cui l’unica voce è quella del vento, alle foreste intricate d’Africa ove, nell’armonia segreta dell’ikebana, urge la vita vegetale ed animale e s’intrecciano mille suoni e mille richiami.

Immaginate di passare dai nostri monti, che l’uomo ha reso calvi ed ai quali si aggrappano villaggi pericolanti, alle ambe possenti cinte di foreste, in cui si celano villaggi di capanne mimetiche.

Pensate ai milioni e milioni di pesci di ogni colore, dimensione e forma, che allietano le acque pulite dei mari d’Africa dai favolosi paesaggi sommersi; ai milioni e milioni di uccelli, mammiferi e insetti che vanno dal colibrì allo struzzo, dal topolino all’elefante, dal moscerino al cerambice.

Pensate alle bestie selvatiche che spesso sono indifferenti al vostro passaggio o, quando è la prima volta che vedono l’uomo, vi guardano con curiosità.

E con l’allargarsi dell’orizzonte, spazia e si affina il pensiero, e si comprendono tante cose che in patria non si aveva il tempo di analizzare, altre che in patria ci preoccupano, in Africa appaiono trascurabili, altre ancora ritenute indispensabili diventano superflue e, al limite, anche la nostra civiltà sembra inutile.

Il cielo è azzurro vivo, la luna splende di più, le stelle sono così vicine ed amiche, mentre, in patria, spesso cielo, luna e stelle sembrano smorti, lontani, ostili.

Vi accorgete che primavera, estate, autunno e inverno non significano niente e che la pioggia è bella e benedetta.

Il tempo è un gran vecchio stanco che cammina lentamente e si ferma spesso a riposare sotto la tettoia di un’ acacia o contro il possente tronco di un baobab. E mentre il vegliardo sonnecchia, puoi guardarti dentro e intorno a tuo agio, meditare e imparare. Puoi fare un bilancio della tua vita, contemplare le cose belle che ti circondano, dedicare gran parte del tuo tempo a quella cosa meravigliosa che è l’amicizia, quasi estinta in patria a causa della vita difficile che ti fa vedere dovunque nemici.

E ti senti libero dalle pastoie della civiltà, felice nell’abbraccio della natura amica.

Se vivi in una grande città o in una capitale africana, puoi dedicarti alla vita sociale, perché in Africa per gli europei non esiste il bisogno, e allora è facile volersi bene e ricavarne tutte le gioie che l’amicizia sa dare. In Africa ognuno di noi è qualcuno, ognuno può essere socio di circoli, scambiare visite con famiglie amiche, essere invitato da consolati e ambasciate, dove incontri gente interessante di altri continenti; e il tuo orizzonte si allarga, mentre cadono i pregiudizi che sono sempre stupidi e spesso crudeli. Uno dei pregiudizi subito spazzati via dagli italiani d’Africa fu quello che oppone ancora i meridionali ai settentrionali.

In Africa le donne europee non conoscono le faccende di casa e possono dedicarsi a cose più utili e più belle; cosa rara in Italia, possono far Coppia coi mariti.

Gli africani, in generale, sono buoni e generosi. I domestici sono affettuosi, fidati e onesti. In trenta o più anni d’Africa, se ne sono avvicendati nella mia casa una ventina. Anche se mia moglie ed io lasciavamo tutto in vista, nessuno di essi ci ha mai sottratto un gioiello o un dollaro. Tutti ci hanno voluto bene e a tutti bene abbiamo voluto.

Ma vi sono altre componenti del mal d’Africa: chi ama la fotografia o la pittura trova una luce più luce e c0lori straordinari: la pittrice Nenne Sanguineti Poggi non ha saputo staccarsene completamente e, nella sua villa di Finale Ligure, continua a dipingere con successo gente e paesaggi dell’Eritrea rivisitata in sogno.

Fra le tante forme di nostalgia vi è quella palatale. Ad esempio, per gli ex asmarini non è facile dimenticare lo “zighini”, il caffè di Fil-Fil, i fichi d’ india di Arbaroba, i manghi di Cheren, le banane di Agordat, le papaie di Mai Habar.

Vi è chi ricorda il ritmo del “coborò” che punteggiava le notti col suo cupo suono; quei tonfi tenevano compagnia e facevano amicizia col ritmo del cuore. C’è chi ricorda i mercati biancheggianti di sciamma e odorosi di spezie, ove incontravi bellissimi volti di bilene, beni amer, dancali. Il ricordo abbellisce talmente tutto che vorresti risentire perfino il brontolio del dromedario, la risata della iena, il ruggito del leone.

Tutto questo e innumerevoli altre cose sono legna di sandalo per il falò di una nostalgia triste e deliziosa.

Tirando le somme, direi che il mal d’Africa si compone di numerose e “composite componenti”. Prima di tutto bisogna vedere di che Africa si tratti, e cioè Orientale, Australe, Occidentale, Settentrionale o Centrale, le quali parti vanno a loro volta suddivise in zone che vanno dal deserto arido all’altopiano ricco di acque, flora e fauna, zone che hanno gente ed usi diversi. Cosi che si potrebbe dire che ogni ex africano ha il proprio mal d’ Africa, come ogni italiano ha il suo vino.

Il mal d’Africa è nostalgia, ma più acuta delle altre - e spesso disperata - perché è rivolta a terre lontane alle quali, una volta lasciate, difficilmente si torna, terre tanto diverse dalle esperienze irripetibili.

E’ nostalgia di un mondo irrimediabilmente perduto, in cui la vita era più facile, più vera, più felice.

Se a tutto questo aggiungi la nostalgia della giovinezza, irrimediabilmente perduta anch’essa, il mal d’ Africa diverrà meno misterioso.

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A volte alcuni sconsiderati accampano verso di noi una ridicola superiorità perché abbiamo vissuto in un mondo da loro ritenuto inferiore.

Niente di più errato. Noi veniamo da un’altra dimensione, nella quale l’ uomo è più vero, perché non è padrone assoluto, ma solo una delle tante creature di quella terra.

E’ un mondo vastissimo che essi ignorano totalmente, mentre noi c0nosciamo benissimo il loro, perché è anche nostro. Niente di cui vantarsi, quindi. Anche quelli che dall’Africa sono tornati poveri sono più ricchi di loro.

Oscar Rampone

(Mai Taclì N. 1-1983)