2003: Gurgussum, Red Sea beach Hotel

  Abbiamo deciso ieri sera, mia sorella Lilly ed io, di andare via alle nove questa mattina onde evitare la nebbia per la strada verso Asmara poiché è più facile ci sia nel pomeriggio. Ma alle sei sono fuori dalla camera che esce subito all’aperto. Voglio salutare l’alba massauina prima di risalire in Asmara, voglio proprio “respirarla” perché, sicuramente, mai più si potrà rimandare in scena questa cerimonia. Tra quattro giorni dovrò riprendere il volo verso un altro continente: devo tornare a casa, a Roma. Lilly certo dorme ancora nella camera accanto, ma per lei è facile tornare a queste albe, ogni giorno è possibile, basta percorrere poco più di cento chilometri… per me… sono passati 36 anni.

gurgu 

 2003: Gurgussum - Red Sea Beach Hotel - Le camere e la gattina in arrivo...

 C’è foschia nell’aria che non è dell’alba ma quella che dall’altro ieri, da quando siamo arrivate a Massaua, la fa da padrona a tutte le ore ovattando ogni cosa, sciogliendosi a tratti in una soffice pioggia. Ma è giusto, siamo al 9 dicembre. In giro, per i vialetti pavimentati che delimitano i bungalow e la schiera di camere e il bar e il ristorante e la pista da ballo (da ballo? Forse anche qui nella sua breve vita c’è un “era” perché è parecchio trascurata) e il caseggiato che ospita l’ufficio accettazione, telefono e cose varie, non c’è anima viva….. ma chi dovrebbe esserci a quest’ora? Ospiti dell’hotel oltre noi due sorelle, una coppia di stranieri che paiono indiani, una famiglia di quattro persone: genitori, figlioletto e nonna. Nessuno italiano. E nessuno lo parla l’italiano, neppure al bar, al ristorante…. solo un ragazzo che ci  ha  portato le valigie in camera l’altra sera e che ci ha detto di cercarlo qualora avessimo avuto bisogno: si chiama Galeb. Non c’è nessuno, certo, nessun rumore, neppure quello del mare che…. è andato talmente lontano da doverlo indovinare: neanche durante l’alta marea raggiunge il suo limite di allora, e al suo posto, neppure la sabbia è bianca e sottile, non ci sono più i paguri che parevano giocare con i nostri passi; non ho mai capito se quel buffo velocissimo correre di traverso e poi fermarsi di colpo e nascondersi nella conchiglia rubata, fosse un gioco o una paura. E neppure i gabbiani strillano i loro discorsi, le loro chiacchiere; forse sono lontani, oltre le pozzanghere torbide e salate, ancora più in là dove il mare ha deciso di fermarsi: grigio in quest’ora sbiadita come fosse una vecchissima fotografia, in quest’alba senza profumi.

  E’ la gattina bianca e nera che arriva da lontano sul largo marciapiede piastrellato, lucido di umidità che corre davanti a tutte le camere, avanza lentissima un momento, un altro accelera come trottasse, pare insicura sul da farsi… è la stessa gatta che ieri sera ci ha fatto compagnia – accucciata sulle gambe di Lilly ronfante e languida – mentre, sulla piccola veranda davanti alla sua camera, ci siamo fermate a parlare di cose rimaste indietro indietro indietro… cose vissute separatamente, nuove per lei, nuove per me….. ognuna percorrendo la sua strada, quella già pronta (“maktub” dicono gli arabi: era scritto) per ognuna di noi uscendo dalla casa paterna, da quella famiglia numerosa e tanto unita, condivise le nostre ore inseparabili… e i ricordi di quelle volte insieme ormai tanto lontane e delle quali ora solo noi due possiamo ricordare, sono all’unisono, sono uno per ogni avvenimento allegro o triste…. finché non è arrivato il sonno.

  gurgus

2003: Gurgussum - Red Sea Beach Hotel - Il Bar.

 La gattina pare incerta, rallenta: forse lo sa che me ne sto andando, che dobbiamo salutarci e vuole allungare quel tempo rimasto. E’ l’unica cosa in movimento ché neppure un filo di vento muove una foglia. Le faccio una fotografia poi le volto le spalle: non voglio incontrare i suoi occhioni gialli, non voglio sentire il suo mantello morbido strofinarsi contro le mie gambe, il tremolio delle sue fusa. Ieri sera i gatti erano tanti per questi vialetti, piccole ombre furtive andavano veloci da un buio all’altro, certo sperando in qualche boccone per saziare la fame. Solo lei camminava anticipandoci appena sui vialetti di cemento illuminati da radi lampioni dai globi opachi, come volesse insegnarci la strada. E solo lei, in quest’alba priva di significato, torna sui miei passi. Non voglio salutarla. Non è un momento felice.

“Massaua. La luna e tu” – “la perla del Mar Rosso” – “profumo e rumore di mare” – “concerto di gabbiani e rondini marine”  - “paguri giocherelloni” -…Rientro, aspetterò in camera che Lilly venga a chiamarmi perché è pronta per tornare in Asmara, a casa. A casa sua certo, che sempre lì è rimasta, la mia è troppo lontana, in un’altra dimensione, un altro mondo… e anche io  sono cinquant’anni di vita lontana dall’alba massauina che ricordavo. Ecco perché. Ora è diventato “domani” e questa è l’alba di “oggi”.

Marisa Baratti

(Mai Taclì N. 2-2005)