1946: piroscafo Toscana

Napoli-Massaua

 

 La guerra è finita da più di un anno e, riaperto il Canale di Suez, la navigazione è

ripresa quasi regolare. E’ tempo, dopo tre anni giusti di assenza, di ritornare a casa.

Tre anni passati a Strada in Chianti, pochi chilometri da Firenze, dove nonno possiede una Fattoria e dove non siamo stati in mezzo alla guerra, vicinissimi, si, ma meglio di tanti altri che ci sono cascati proprio dentro. Noi l’abbiamo vissuta, certo: passaggio di tedeschi in fuga e di alleati in arrivo, bombardamenti anche “sottocasa”, voglio dire, una bomba micidiale è caduta a pochi metri dalla villa, in uno dei cinque poderi che fanno parte della fattoria, e schegge e granate… ma non abbiamo almeno sofferto la fame ché grano e olio e verdure e frutta e carne… tutto si produce in una fattoria di questa portata. E il buon vino, naturalmente, che non è servito a sfamarci  certo ma a distrarre i tedeschi di passaggio immancabilmente fermi sulla strada bianca che porta a Firenze, intenzionati a piazzare una mina proprio sotto la torre dell’antico convento (che noi abitiamo e che tutti chiamano “villa”) la quale, accanto alla porta della cappella, fiancheggiano la strada, perché, andando in macerie, chiuderebbero irrimediabilmente il passaggio a chi li sta inseguendo.

E papà, sempre di guardia anche perché deve proteggere tutti i contadini uomini nascosti nei grandi tini della tinaia per sfuggire proprio ai tedeschi che li porterebbero via, accorre sempre a distrarli, a “corromperli” offrendo loro il buon vino e aprendo il portone della cappella per mostrare  che danno provocherebbero distruggendo una tale meraviglia centenaria, affreschi e quadri e persino i banchi appartenuti ai frati nel diciassettesimo secolo.

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 Strada in Chianti 1945 - la torre, la cappella,

la tinaia dell’antico convento sulla strada per Firenze.

 

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 Massaua 2003... il Porto

 Potenza dell’arte o del vino? Non ha importanza, papà è sempre riuscito a farli passare oltre senza danni.

Ora è tempo di tornare a “casa”, in Africa, in Asmara, dopo questa lunghissima forzata pausa: tornare alle nostre care cose, parenti e amici, alla nostra vita che abbiamo lasciato in sospeso.

Da mesi abbiamo fatto la domanda per il viaggio di ritorno e finalmente è arrivato il momento. Dobbiamo imbarcarci a Napoli, la nave che ci attende è il Toscana, ancorata al porto, è subito una delusione vederla: è nera, c’è qualcosa di rosso a renderla meno funebre, ma è imponente, solenne… incute quasi timore… non assomiglia certo alla splendida nave bianca, la Giulio Cesare, con la quale siamo sbarcati a Taranto giusto tre anni fa… ma ci riporterà a casa!

Ci imbarcano subito ma non si partirà prima di domani e, se ci va, possiamo pure scendere poiché Napoli è in festa: oggi è il 19 settembre, la festa di San Gennaro. E scendiamo in mezzo alla gente, tanta tanta gente quanto neppure potevamo immaginare potesse esserci, e cantano, parlano, litigano, in aria le musiche si rimestano: “Lilì Marlene” e  “Rosamunda”  e “In the mood”… ecco, questa è la più sentita, quella che fa venire i brividi, quella che i napoletani ballano per strada congiunti, mischiati alle camicie grigioverdi degli americani, degli inglesi, degli indiani… è la fine del  mondo, siamo tornati a vivere. Giriamo per le vie dove venditori ambulanti offrono ogni sorta di merce, e tutti ballando e ridendo e cantando in una confusione di lingue… gli americani in italo-napoletano e i napoletani, in inglese napoletanizzato che hanno in fretta imparato.

Tenendoci tutti per mano per paura di perderci, papà e mamma ai lati e noi quattro sorelle al centro, a volte in fila come un trenino per poter penetrare la folla, facciamo le ore piccole e siamo felici.

Il piroscafo Toscana non è solo triste all’esterno, è una confusione e disordine anche dentro. Cuccette in ogni angolo possibile e nessuno spazio destinato alla ricreazione, uno spazio per riunirsi, chi si conosce e chi no. Neppure le tavolate per il pranzo e per la cena ché, all’imbarco, a ognuno è stata consegnata una gavetta di lucido alluminio. Una gavetta a regola d’arte: piano superiore per la seconda “portata” e inferiore più profondo per le minestre, un bel coperchio e un manico come fosse un secchio. Cucchiaio forchetta e coltello. E tutti, fatta la fila sul ponte principale per fare il pieno della pietanza scelta, va a cercare un posto dove potersi sedere: qualche panchina, la base dei boccaporti e, finite le possibilità, in terra, sulle tavole verniciate di smalto bianco, appoggiata la schiena al parapetto sul mare.

Il primo giorno pare un dramma ma poi diventa un divertimento. Prima di iniziare ad ingoiare i minestroni cerchiamo mescolando con il cucchiaio, se qualche verdura ha pure… le ali. E, finita la ricerca, tutto il resto è “verdura” e l’aria di mare risveglia anche l’appetito. Il secondo tempo di questa cerimonia prevede il lavaggio delle “stoviglie”: tutti in fila davanti alle vasche dalle quali sgorga acqua fredda semisalata… sapone? E come riuscirebbe a vincere il sale? E poi stasera e domani sarà sempre la stessa minestra! E’ così anche nei bagni comuni dove i lavandini, in fila su una parete fino a sei per ogni ambiente, docce di fronte riparate da tende di tela cerata… acqua tiepida e semisalata… le saponette paiono false, come quelle di bachelite per lavare le bambole… ma qui non siamo bambole, siamo tutte ragazze autentiche, belle e nude senza vergogna, partite bambine tristissime lasciando i giocattoli… stiamo tornando donne verso la vita.

I giorni di navigazione sono pochi questa volta e li prendiamo con allegria; è come ci conoscessimo tutti, ci si riunisce lungo i ponti alla sera e si fanno anche dei cori come si fosse vecchi amici, come partecipassimo ad una gita. Anche i marinai e qualche ufficiale in quelle ore fuori servizio, si uniscono a noi. Passeranno in fretta i giorni, pochi mari da solcare in questo ritorno: siamo partiti navigando il Tirreno per arrivare subito nel Mediterraneo e quando arriveremo in vista dell’Egitto, appena entrati nel Canale di Suez, saremo nel Mar Rosso, come dire: “il Mare nostro!” e poi Massaua… a casa. Quando abbiamo lasciato l’Africa tre anni fa seguendone per mare le sue forme, erano passati quasi due mesi navigando per gli oceani, ora faremo in fretta, pochi, pochissimi giorni.

Ci fermiamo a Porto Said mezza giornata prima di imbucarci per il Canale di Suez, bisogna rispettare il turno di passaggio perché ci sono le precedenze, si, perché davanti e dietro di noi ci sono tante navi, quasi tutte mercantili che stanno navigando verso oriente.

…E il Mar Rosso è sotto i miei piedi, il suo profumo mi stordisce l’anima, vorrei toccarlo, leccare il sale dalla mano che lo ha incontrato rimescolando l’acqua come fosse una tavolozza  di colori… perché cambia tonalità ad ogni riflesso, ad ogni capriccio del sole che a momenti gioca nascondendosi dietro una piccolissima nuvola solitaria, trasparente come un velo che gli tiene mano per sorprenderci. Non mi muovo dal parapetto del ponte, forse ci saranno dei delfini… nel mare adesso non ci sono più rottami di guerra, ora, forse, i delfini salteranno tra le onde per dirmibentornata… e poi, a un certo punto laggiù laggiù dal nulla… si formerà una striscia bianca che in fretta prenderà forma e saranno case… saranno minareti… sarà Massaua!

Marisa Baratti

 (Grazie a tutti, amici e conoscenti e sconosciuti che mi hanno scritto e telefonato per augurarmi buona salute. Grazie davvero, è stato un gran sostegno. n.d.oggi).