Raccogliere le stelle con le mani,

respirare il profumo delle acacie, del pepe,

dell’incenso, sempre nell’aria,

ubriacarsi di luce e di tepore,

ascoltare i suoni della notte:

vento, sciacalli, coborò lontani,

cercare l’orizzonte all’infinito

senza trovarlo mai, senza confini,

l’eterna primavera ferma il tempo

e giovane ti senti, il cielo sempre blu s’imbizzarrisce

a un tratto, una sfuriata d’acqua

a catinelle poi torna blu come

se niente fosse, e prima di raccogliere le stelle

tutto s’incendia, è una sfuriata ancora,

di rosa, viola, giallo, di arancione,

allora si, si vede l’orizzonte

ché il sole immenso scende lestamente

dietro le ambe rosse che allungano le ombre.

Nell’intervallo grigio della sera,

brevissimo ché presto si fa buio,

tutto è silenzio e pace e quindi ecco la notte

che canta le sue voci che sfoggia le sue stelle,

milioni, luccicanti, tanto vicine che te le puoi pigliare

 

      Marisa Baratti

 (Mai Taclì N. 6-2002)

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