Canto la cavalletta

 

Il tiepido sole illumina la mia testa mentre passeggio, lasciando orme leggere, sulle lunghe dune del litorale di Ostia cavalcate dalla macchia mediterranea che già sprigiona un vago sentore di primavera.

La piacevole brezza riesce ancora a portare, malgrado l'inquinamento, un sottile odore di mare.

Passo in rivista, come un generale vittorioso, centinaia di cadaveri di cavallette morte di fatica e di freddo sulle sponde laziali dopo un volo incredibile.

Poi leggo i giornali e apprendo che la Protezione Civile è in stato di massima allerta e ha approntato tutti i suoi mezzi per combattere la prevista invasione.

E mi scappa un sorriso.

Oh care antiche cavallette della mia prima giovinezza! Ricordo ancora, e il cor mi si riscalda, i vostri salti gioiosi sull'asfalto per evitare di essere arrotate dalle automobili, le vostre capocciate contro i parabrezza ed i passanti, gli strilli allegri ed eccitati dei diavoletti che vi rincorrevano.

Ricordo che qualcuno vi faceva in fricassea o alia brace. Ma eravate così tante che le poche assenze di compagne sfortunate non vi preoccupavano.

Ricordo le gialle Land Rover e gli aereoplanini gialli del Desert Locust Contro! che vi controllavano da vicino perché non esageraste col vostro esuberante entusiasmo.

Si, lo so, siete una delle piaghe africane e arrecate molti dispiaceri ma non siete per nulla antipatiche. Fate parte di un mondo che anche voi aiutate ad essere diverso: più vivo, più vero, più bello.

I mali dell'Africa sono tanti (e non siete certo voi il più importante) ma anche le bellezze ed i lati buoni sono molti.

Certo che vedervi morte stecchite sulla spiaggia di un Paese straniero, osservate con curiosità e ribrezzo dai gitanti e studiate con cura dagli esperti per sapere a quale ceppo appartenete (sarebbe bastato chiederlo a me che vi ho riconosciute a prima vista!}, suscita in me strani sentimenti. Un miscuglio di nostalgia e di malinconia, di gioia e di tristezza, che non so definire.

Sono lieto, tuttavia, che siate morte di freddo e di fatica. Se aveste avuto la forza di raggiungere i nostri campi e i nostri frutteti, una morte ben più atroce vi avrebbe colpite. Avvelenate dai pesticidi e diserbanti, sareste decedute tra atroci convulsioni.

E avreste avuto tante delusioni inoltrandovi in questa Europa così ricca e così stupida.

Non avreste più visto cieli azzurro-indaco, sabbie dorate e praterie dagli splendidi cangianti colori. Non avreste più sorvolato indolenti cammelli dal passo pigro e ciondolante di chi ha capito tutto della vita. Non avreste più sentito il caldo vento del deserto avvolgervi nel suo abbraccio che da sicurezza e compagnia.

Invece siete qui, immobili e lambite dalle onde grigie di un mare che lotta per sopravvivere. E mi avete portata tanta malinconia.

Mi fate desiderare di essere un poeta capace di cantare il vostro epico volo e la misera morte lontane da casa.

Tornando verso Roma, un'idea si fa strada nella mia mente. E se voi foste soltanto la coraggiosa avanguardia inviata in avanscoperta per scoprire nuove terre? Vuoi vedere che nel 1990 immensi stormi di cavallette africane invaderanno la città eterna (si fa per dire) e si poseranno stanchi sul Colosseo prima di riprendere il volo verso la verde Umbria e le dolci

colline toscane?

Non fatelo. Qui la Protezione Civile non ha con voi i vecchi rapporti di stima e di collaborazione che avevate con il Desert Locust Control. E poi per che cosa? Per qualche abbuffata di verde chimico?

Care locuste restate dalle vostre parti: mangerete di meno ma vivrete meglio. La dieta mediterranea non fa per voi.

Angra

(Mai Taclì N. 2-1988)