L'albero dei zaituni

 

Capitolo primo: il ricordo. Viaggio verso Keren dove mi ha inviato il medico di famiglia per farmi riavere da un tragico esaurimento nervoso causato dal mio mancato matrimonio con Isabella Pereira Carvaiho da Fernambuco (oggi Recife).

Il carburatore della Ballila aspira a grandi boccate l'aria non più rarefatta del bassopiano e la vettura percorre lo scuro serpente d'asfalto quasi assaporandolo.

Il ruscello di acqua diamantina trae dolci armonie dai ciottoli e dalle radici secolari accompagnando il malinconico suono dei flauti di canna degli esili pastorelli assisi tra le agili capre.

Mi sorge il dubbio che il Creatore abbia tratto ispirazione da un quadro di Incegneri per realizzare questo incantevole sito.

Il giallo brillante delle ginestre riveste i dolci declivi e si fonde con l'indaco dei glicini con accostamenti cromatici d'avanguardia.

Attraverso il finestrino aperto mi giunge pungente e balsamico il profumo degli aulenti zaituni: quante memorie!

Dal cuore mi sgorgano, come "bucaneve dal candido manto invernale, le vivide immagini del mio incontro con Isabela... Sono a Tessenei per una partita di caccia. Il fido Tesfai compagno di tante avventure è alla guida. Sciami di grilli mi saltano nella testa e il sangue mi scorre nelle vene con l'impeto delle acque del Gasc nella stagione delle grandi piogge. Il vento mi scompiglia i folti ricci dai ramati riflessi e l'aria calda del limitrofo Sudan accarezza il mio corpo asciutto e abbronzato. Mi sento come un giunco del Nilo, come un piccione dall'occhio rosso! Il Mauser 30.30 mi da una sensazione di potenza e ho la netta ed esaltante sensazione che siano fluiti in me, per metempsicosi, Marco Polo, Lawrence d'Arabia e Sylvester Stallone.

Attendo con ansia di misurarmi col potente facocero, di competere con l'astuto leopardo, di gareggiare con la slanciata gazzella.

Ma Tesfai mi distrae richiamando la mia attenzione: abbandonato lungo l'impervia pista giace un corpo esanime. Con felino balzo scendo dalla vettura ancora in movimento e mi avvicino. Sollevo il capo reclinato ed immobile e resto folgorato dalla squisita bellezza di cammeo del volto segnato dalla stanchezza. Verso qualche goccia d'acqua tra le labbra riarse e detergo la serica pelle olivastra. Poi sollevo il corpo ancora esanime con le muscolose braccia e la depongo sul sedile della lussuosa Range Rover facendo molta attenzione perché sto ancora pagandone le rate.

È tarda sera. Tesfai prepara un parco desinare mentre le fiamme colorano di rosso tizianesco la tenda montata nella savana. Le bestie iniziano il loro coro notturno che pare un'invocazione all'immenso baobab che si erge poco lontano.

L'aurora di bianco vestita già l'uscio dischiude al gran sol (Leoncavallo) quando Isabela esce dalla tenda radiosa come un

pensionato INPS che abbia appena ricevuto gli arretrati. Con innata grazia si siede sul vecchio tronco preparato appositamente dal solerte Tesfai e comincia il suo sofferto racconto.

Giovanissima aveva incontrato a Fernambuco (oggi Recife) uno studente africano di nome Omar Yusuf, originario di  Ondurrnan, recatesi in Brasile per perfezionarsi sui metodi di sfruttamento delle alghe per il trattamento della cellulite delle donne sudanesi e per eventuali vendite televisive (pare sia stato un precursore di Wanna Marchi).

Nacque un amore a prima vista e la successiva fuga da casa per seguire Omar richiamato in patria ne fu la naturale  evoluzione.

L'amore, forse anche a causa delle mutate condizioni climatiche, durò lo spazio di un mattino e Ornar non spinse Isabella sui marciapiedi essendone Ondurman sprovvista, ma la cacciò di casa ripudiandola. Non pretese la restituzione di quanto dato alla famiglia della sposa perché non aveva dato niente.

La rottura del matrimonio comportò anche la cancellazione della residenza e Isabela espatriò in Eritrea con l'intento di raggiungere Afabet dove pensava di ricostruirsi una vita all'ombra delle acacie peraltro assai numerose in quella zona. Ma i suoi programmi erano stati frustrati dal fato avverso e dalla mancanza di autobus di linea tra Ondurman e Afabet.

Mi innamorai perdutamente di Isabella e la portai con me ad Asmara dove le trovai una ridente villetta a Ghezzabanda e un impiego in Municipio.

E iniziò per me un periodo di ineffabile felicità. Ormai mi avviavo raggiante al matrimonio e avevo abbandonato la mia  futile vita da scapolo persa tra feste, ragazze, gioco e giri del mondo.

Però il fato che aveva colpito Isabela si preparava, instancabile, a colpire anche me. Mi domando se gli autori della serie  Harmony sarebbero stati capaci di prevedere tanto.

Quel sabato sera il boschetto di eucalipti (alberi originari dell'Australia e perciò indifferenti agli eventi locali) era immerso in un bagno di latte lunare che aveva trasformato anche la superficie del laghetto in una immensa fetta di mozzarella. Il ponentino trascinava con sé il profumo dei fichidindia ed il canto delle rane insieme alle fioche risate di alcuni notturni giocatori del vicino circolo tennistico ignari di ciò che gli dei mi stavano riservando. La radio della macchina irradiava un soave notturno di Chopin ed il cestino di zaituni sul sedile posteriore mi inebriava.

In questa atmosfera lialesca (!) mi sentivo particolarmente su di giri colpito da quella che poi Travolta avrebbe chiamato la febbre del sabato sera e, considerato il lungo fidanzamento e l'ormai prossimo matrimonio, mi lanciai in un flirt un po' più ardito... Le diafane dita dell'alba mi trovarono seduto sulle scale della Cattedrale letteralmente distrutto dopo avere passato la notte vagando per le deserte vie della città chiuso nel mio cupo dolore.

Nel vago chiarore mi alzai e andai a consultarmi con il parroco.

Successivamente consultai il medico di famiglia e l'avvocato. Fortunatamente tutto si risolse con la massima discrezione.

Isabela non aveva alcuna intenzione di citarmi in tribunale dove sarebbe emersa una verità allora impensabile: Isabella Pereira Carvaiho era un transessuale!

L'unica nota positiva fu che non dovetti pagare i danni per la rottura di promessa di matrimonio.

Rimetto in moto la Ballila e, mentre l'intenso effluvio di zaituni si affievolisce, sento già che il balsamo della bianca Keren

lenisce i miei tormenti

Angra

 

(Mai Taclì N. 3-1988)