Chi non vi è mai stato è portato a credere che in Africa sia caldo dappertutto, e resta sorpreso quando gli dite che in Asmara si dorme con la coperta addosso per tutto l’anno.

Altra credenza errata è che in Eritrea si viva tra serpenti e leoni.

Non è che serpenti e leoni non vi siano, ma si tengono lontano dall’uomo il quale, quando non uccide, dà fastidio. Per vederli, bisogna andarli a cercare con chi sa dove sono.

Nella trentina d’anni passati in Eritrea e in Etiopia, una sola volta ho visto un serpente. In quanto ai leoni, non ne ho mai visto uno allo stato libero. Solo una volta, ne ho udito la “indimenticabile” voce.

Ecco come vidi il serpente. Fu a Cheren, durante la guerra scorsa. Eravamo accampati nella piana fra le acacie ombrellifere. Ma un giorno gli aerei inglesi ci avvistarono e mitragliarono e perciò ci fu ordinato di spostarci.

Di buon mattino ero con alcuni ascari intenti a piantar la tenda sotto un sicomoro. Il terreno era duro, e per farvi entrare i picchetti bisognava picchiar sodo.

Il tonfo delle martellate diede fastidio a un grosso pitone che se ne stava invisibile tra il fogliame e lo indussero a sloggiare. Gli ascari chini sui picchetti non si erano accorti di nulla, ma io, nell’alzare gli occhi, vidi il serpente pendere da un ramo ed allungarsi.

Misurava forse cinque metri ed era a circa dieci passi da me. Stetti a guardarlo per alcuni secondi. Poi il pitone cadde al suolo con rumore di cosa floscia, somigliante a quello prodotto da una borsa di gomma piena a metà di acqua, quando cade a terra.

La bestia non era irritata o, anche se lo era, non ritenne opportuno assalire né me né altri. Spari tra l’ erba alta.

Quella che serpenti e leoni siano pronti ad attaccare l’uomo fa parte anch’essa delle credenze errate. Bisogna convincersi che l’uomo non è un pasto gradito. Apparentemente, per il leone e il serpente, noi puzziamo talmente che gli facciamo schifo.

Del resto, a pensarci bene, una cosa è avere sotto i denti la pelle di una gazzella o di una lepre ed altro il tessuto indossato dall’uomo.

Il leone potrebbe balzarti fulmineamente addosso e squartarti in due con una zampata, il serpente avvolgerti in un attimo nelle sue spire e spezzarti le ossa, ma se la sorte non ti fa pestare un serpente o ferire leggermente un leone, essi non ti attaccheranno. In pratica, non offendono che per difendersi.

Ed ecco come udii il leone. Il Gruppo Bande a Cavallo Amhara cui appartenevo si spostava verso il Sudan. Viaggiavamo di notte per evitare gli aerei. All’alba, ci eravamo accampati ai pozzi di Sciaglet, grosso villaggio del Bassopiano occidentale dell’Eritrea a 27 km. da Agordat. La notte di marcia ci aveva stancati e riposammo tutta la giornata. A sera, eravamo pronti a riprendere la marcia.

L’ordine doveva venire dal generale Fongoli che era a Cherù. Il comandante Guillet mi ordinò di andare a ricevere la telefonata alla vicina stazione ferroviaria.

Dovevo attraversare il palmeto , ma siccome mancava circa un’ora all’appuntamento, mi avviai pian piano.

Era una magnifica notte di luna. I ventagli di palma dum si profilavano contro il cielo. Nel palmeto filtrava una luce irreale che stimolava la fantasia. Sentivo il privilegio di poter godere di una simile notte. Intorno a me pullulava la vita. Ascoltavo il grido delle iene e degli sciacalli, il brontolio dei cammelli accosciati nella sabbia dell’arido fiume, il nitrito dei cavalli spaventati dalle iene, i richiami degli uccelli notturni. Mi sentivo bene, forte e felice.

Il ruggito mi colse di sorpresa. Per un istante credetti di essermi sbagliato. Ma ciò che seguì mi tolse ogni dubbio. La voce del leone produsse il più profondo silenzio, gelò la vita tutt’intorno. Ogni creatura era ferma, inchiodata dal terrore, con gli occhi fissi nella notte. Il silenzio era più pauroso del ruggito.

Ed io stesso, che mi ero improvvisamente accorto di aver lasciato la pistola all’accampamento, mi guardavo intorno terrorizzato, temendo da un istante all’altro di vedermi piombare addosso il felino.

Quel pesantissimo silenzio durò poco, ma sembrò un’eternità. Restai lì immobile, ghiacciato, trasalendo ad ogni fruscio.

Poi, finalmente, una iena lanciò il suo orribile uuuhù, che suonò dolcissimo, perché diceva che il re della foresta si era allontanato o aveva già abbattuto la sua preda. Ed io mi rianimai, mentre il concerto notturno riprendeva deliziosamente.

Fu la paura del leone? Fu perché è facile perdersi in un palmeto? Non so. Certo è che vagai per ore tra le palme, e solo per caso mi ritrovai all’accampamento.

Il giorno dopo cicchettone del generale che aveva tentato invano di comunicare con noi.

Ora voi mi direte: “Come mai affermi che il leone non attacca l’ uomo, e poi diventi un vigliacco appena odi un ruggito?”

Sì, è vero: il leone non attacca l’uomo, ciò è provato, affermato, giurato da tutti i cacciatori. Ma anche quando ne siete arciconvinti, provate a trovarvi nel raggio di azione di un leone ruggente e vedrete che razza di tremarella vi verrà.

OSCAR RAMPONE

 

(Mai Taclì N. 4-1983)