paola

L’Africa non è nera di Paola Pastacaldi

(a cura di Giulia De Martino) BLOG SCRITTI D'AFRICA 28 aprile 2015


Ancora una volta presentiamo un romanzo italiano ambientato in una terra del Corno d’Africa : l’ultimo testo apparso era stato “Albergo Italia” di Carlo Lucarelli del 2014. Della scrittrice Paola Pastacaldi ci eravamo occupati, nel 2008, in unapprofondimento, poi edito sul nostro sito, dedicato allo sguardo degli italiani sul Corno d’Africa, che qui potete consultare. L’autrice trevigiana, giornalista e scrittrice, insegue una sua pista molto particolare, disegnando romanzi che sono ad un tempo saga famigliare e ambientazione storica collettiva, perché è all’interno del suo contesto individuale che trova le storie da raccontare. Infatti il primo romanzo “Khadija” cercava di ricostruire l’avventurosa vita,in Etiopia ad Harar, del nonno paterno, diplomatico livornese, alle prese con un’Africa orientale prima dell’epoca mussoliniana, che aveva sposato una bellissima donna oromo da cui era nato il padre dell’autrice.

In “ L’Africa non è nera” tratteggia l’emigrazione ad Asmara, nel ’36, del nonno materno, la cui figlia avrebbe sposato il mulatto nato dalla relazione di cui sopra. Non a caso abbiamo utilizzato il termine ‘emigrazione’: la scrittrice sa benissimo quanti italiani e come vennero a colonizzare l’Eritrea, conosce in modo approfondito il contesto fascista e razzista, ma è evidente che intende seguire la vita di un italiano,suo nonno edile di Treviso, che lascia la sua terra, come altri, pensando principalmente di raggiungere quel benessere che non aveva avuto in patria. Molti italiani dal nord est d’Italia avevano scelto le Americhe, altri, seguendo la sirena di Mussolini, avevano creduto, chi più chi meno, alla ‘civilizzazione’ dell’Eritrea e alle possibilità di guadagno che si aprivano per coloro che avessero accettato di lavorare duro. La Pastacaldi sa che avventurarsi in un contesto simile è attraversare un terreno minato, suscettibile di una quantità di critiche: il fatto è che si tratta, ci sembra, di una persona che non accetta le censure.

Lo sappiamo che la colonizzazione è stata , per molto tempo, oggetto di rimozione da parte dell’opinione pubblica e degli storici. Ma oggi questo tappo è saltato ed è giusto recuperare memorie che andrebbero perse se non se ne continuasse a parlare. Si tratta di seguire le vite delle persone, non solo ricostruire fatti di guerra o politica in senso stretto. Infatti, seguendo il suo blog, si ha idea di quanta ricerca e documentazione, in svariati archivi locali e nazionali, ci sia sotto la trama del suo romanzo: questa, del resto, è anche la tendenza di molti studiosi di storia e letteratura post-coloniale in Italia e altrove. Sono state pubblicate anche memorie e diari che cercano di aprire uno spiraglio sul quotidiano ‘coloniale’; i romanzi italiani hanno avuto spesso ambientazioni militari o del bel mondo coloniale o,nel caso di scrittrici di origine africana come la Ali Farah, la Ghermandi o la Dell’Oro, contesti di nativi.

Qui, nel presente romanzo, siamo tra i lavoratori italiani:sterratori e operai stradali, piccoli imprenditori agricoli e commerciali, autisti di camion, muratori e artigiani. Il protagonista arriva in Eritrea nel ’36. Sulla nave, immersa in canti patriottici di militari e fascisti esagitati, già si capisce il ruolo di Francesco: sta in disparte, da una parte crede agli slogan sulla grande impresa civilizzatrice italiana, dall’altra non si sente coinvolto negli estremismi parolai e nerboruti dei fanatici.


Leggi l'intervista di Maria Signori 

Paola Pastacaldi
http://www.paolapastacaldi.it/