Una preziosa pubblicazione

di Gian Carlo Stella DOGALI

 

Gian Carlo Stella ha realizzato, in occasione del centenario, una pubblicazione contenente tutta la bibliografia, i documenti e i personaggi dei fatti di Dogali.

Approfittiamo di questo fatto col pubblicare la «Premessa» al volume redatta dall'amico Massimo Romandini nella quale ci parla del «mito» di Dogali che, per noi italiani e per giunta ex asmarini rappresenta tult'ora una pagina indimenticabile della storia, ormai lontana, della «coionla» Eritrea.

II prof Massimo Romandini, studioso e autore fra l'altro di numerose pubblicazioni di carattere storico sull'Eritrea, non cerca di smitizzare l'impresa eroica dei nostri soldati, come potrete constatare, ma ne analizza i falli nella loro realtà e obiettività, certo che il tempo ha ormai sopito gli entusiasmi e le esaltazioni e i fatti sono diventati storia.

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Presentare, seppur brevemente, l'ennesima fatica dell'amico Stella è cosa che fa molto piacere. Tutto diventa però più difficile, allorché ci si accorge che l'argomento della pubblicazione è Dogali, e per di più in occasione del centenario.

Parlare di Dogali, a cent'anni esatti dallo scontro, è ancora arduo, soprattutto in un Paese come il nostro in cui fatti e situazioni, ormai vecchi e tramontati, continuano a suscitare vivaci polemiche e poco costruttivi scontri e non invitano certo ai chiarimenti o alla ricerca obiettiva della verità. Perché - sia chiaro - si pecca sempre per eccesso, da qualunque parte si affronti la discussione.

Dogali, dunque, cent'anni fa. Se il fatto militare è ancora oggetto di accese polemiche, il luogo dello scontro va perdendo anche le ultime povere tracce del tempo che fu.

Quando anni fa ebbi modo di visitare, da solo e con perfetta calma, la collina di Dogali, i tumuli, le croci e il monumento del Tomagnini erano ti a testimoniare il lontano passato. Dogali era ignorata dai più (ricordo soltanto su alcune tombe dei fiori bruciati dal sole novembrino del bas-sopiano), ma viveva, anzi sopravviveva nella sua solitudine. Oggi, da quel che ho saputo, una parte del cimitero è stata spazzata via dagli avvenimenti eritrei, che non rispettano certo i diritti della Storia.

Forse, i resti del forte di Saati, miseri resti, non occhieggiano più neanche loro di lontano. Forse, un giorno, anche il colle non ci sarà più...

Dogali, storia e leggenda. Storici di allora e storici di oggi hanno occupato di forza versanti opposti, poco propensi gli uni e gli altri a trovare i punti di incontro.

A Dogali, il 26 gennaio del 1887, la colonna di De Cristoforis è attaccata e distrutta da ras Alula, e coronamento di ingenuità e contraddizioni della prima espansione coloniale italiana in Africa. È l'epoca in cui agisce per impulsi immediati, con l'occhio rivolto alle grandi Potenze, manca la chiarezza in molte iniziative che si prendono in quella che di lì a tre anni sarà, con un pizzico di enfasi, la «Colonia Eritrea».

Intanto, con incredibile sicurezza e leggerezza, Di Robilant, quasi contemporaneamente al disastro, afferma alla Camera che non è davvero il caso di annettere troppa importanza ai «quattro predoni» che l'Italia può trovarsi tra i piedi in «Africa».

Superficialità, questa, che non si riscontra solo per Dogali, ma ritornerà spesso nel prosieguo degli avvenimenti, anche militari, relativi alla presenza italiana nel continente.

Non è fuori luogo, credo, un breve cenno ai fatti che portarono alla tragica giornata e alle successive reazioni, anche scomposte, che - esse pure - non sono una cosa nuova nella storia pure più recente del nostro Paese.

Saati, il presidio italiano a pochi chilometri da Massaua (e la cui occupazione ha irritato a suo tempo ras Alula, capo dell'Hamasien per designazione del negus Johannes), viene attaccato il 25 gennaio 1887.

Gené, che comanda le forze italiane nel Mar Rosso, invia a Saati una colonna di rinforzo, diretta da De Cristoforis (molti militari nazionali sono solo da poche ore in Eritrea). La partenza della colonna viene ritardata da alcune difficoltà, in primo luogo la scarsità dei cammelli, ma finalmente alle prime luci del 26 gennaio essa può mettersi in movimento, forte di 540 soldati e 50 «basci-buzuk», oltre che di due vecchie mitragliatrici che daranno pessima prova di sé.

Quando, dopo un paio d'ore di marcia, tocca il luogo che con qualche difficoltà passerà alla storia come Dogali, la colonna avverte la presenza di qualche gruppo di «abissinesi» annidati tra le non poche insidie naturali del terreno.

Chi, come noi, ha potuto visitare attentamente i luogo dello scontro, non può fare a meno di dare ragione a chi afferma che De Cristoforis avrebbe dovuto ripiegare in ogni caso (anche se Bandini si dice dell'avviso contrario). Il terreno è insidioso, occultarsi per chi attacca è facile. Si aggiunga a tutto ciò la modesta (o nessuna?) conoscenza, in generale, del luogo e delle forze attaccanti.

Fatto sta che De Cristoforis avanza per ritrovarsi accerchiato, prima comunque che Saati possa essere in vista.

Cominciano allora le comunicazioni col forte di Monkullo dove Gené è in attesa (la seconda comunicazione del comandante è molto chiara nella sua drammaticità).

L'accerchiamento si compie con tattica infallibile e sperimentata nei secoli e in breve la colonna si riduce a un pugno di combattenti attorno al comandante. Vero o no il «Presentate le armi», sfatato senz'altro il «mito» dei «morti allineati», confermata la ferocia delle evirazioni, restano gli errori che hanno generato il disastro. Pochi si salvano, o perché soccorsi dalla colonna Tanturri o perché rientrati avventurosamente a Massaua.

Si saprà poi che al campo del ras, Sa limbeni. Piano e Savoiroux (tenuti in ostaggio) hanno dovuto assistere da vicino al massacro dei connazionali, impotenti anche dinanzi alla scarsa efficacia dei «Vetterly» italiani.

Verranno poi con qualche ritardo i provvedimenti governativi, l'accantonamento di Gené (per aver ceduto sulla questione  di alcuni prigionieri abissini, volendo egli salvare la vita degli Italiani nelle mani del ras), il ritorno di Saletta e, a fine anno, la spedizione di San Marzano (venti milioni dell'epoca per una dimostrazione militare in grande stile che deluderà per varie ragioni).

All'agguato di Dogali si reagisce in modo contrastante in Paese e il Parlamento, poiché si va dalla richiesta di vendicare l'onore della Nazione alla certezza che l'Italia commette un grave errore a fare la guerra e la potenza colonizzatrice sulle coste africane del Mar Rosso. È dalle reazioni emotive che nasce il «mito» di Dogali, come sorgono in più città le Piazze dei Cinquecento.

Ricordare Dogali, anche solo bibliograficamente, dopo cento anni - mi sia consentito - è quasi un dovere, perché lo scontro ha una precisa collocazione storica che non è possibile misconoscere, comunque la si pensi. Non a caso molti hanno anche detto che episodi simili, per quanto dolorosi, costellano il cammino di Francia e Gran Bretagna nelle loro colonie incipienti o affermate.

L'amico Stella ha avuto il coraggio di sempre ed ha raccolto questa ampia bibliografia. Egli opera instancabilmente con l'occhio vigile ai suoi libri numerosissimi e alle sue «sudate» carte. Si direbbe che i contrasti, che hanno già tanto avvelenato il cinquantenario della conquista italiana dell'Etiopia, restino lontani dai suoi scaffali dove gli storici di tutte le ideologie sono i benvenuti.

Questa bibliografia offre abbondante materiale di lavoro agli studiosi. Dimenticavo: agli studiosi seri che la Storia ricostruiscono sulla molteplicità dei testi, e non su questo o quello soltanto, perché più comodi.

Massimo Romandini

(Mai Taclì N. 5.1987)