Caro amico asmarino 

 Questa lettera scritta con sentimento e con poesia rappresenta egregiamente lo spiirito che anima il Mai Taclì e il cuore degli asmarini e spiega cosa veramente è la “nostra” nostalgia 

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Se non è possibile scrivere una lettera al proprio cuore è però possibile scriverla al cuore di un amico, anzi si deve, perché ciò che non viene donato va perduto.

Desidero condividere una piccola riflessione; piccola per non rischiare di mandare in frantumi una storia, di sciupare il frammento di un sogno portato in giro con precauzione, come un prezioso vaso di porcellana finissima e Asmara è la festa dei sogni che continuiamo a rivivere quasi a volerli materializzare.

Mi sovviene il ritornello di quella dolce canzone che diceva:” All I have to do is dream… dream… dream… dream…” Non mi resta che sognare… sognare… sognare… anche se da tempo ormai ho superato l’età in cui  “si scende, da svegli, l’altro pendio del sogno”, cosa che lo rende un miracolo inafferrabile.

Un personaggio importante ha detto che un uomo è vecchio solo quando i rimpianti superano i sogni e quindi è un bene continuare a sognare. Sognare è, infatti, una cura magica che può aiutarci a comprendere quanto prodigiosa ed esaltante è la vita, quanti motivi essa ha ogni giorno per farsi venerare.

La nostra esperienza asmarina è divenuta un ricordo molto più in fretta del dovuto, mentre la sua perdita ha continuato a crescere robusta e vitale e così i demoni della storia tornano di tanto in tanto a reclamare i ricordi per ricacciarli nelle nostre vite.

Non mi riferisco ai ricordi nostalgici nei quali l’anima si macera, ma a quel percorso a ritroso che dobbiamo compiere per rendere visibili le pietre miliari che lo segnano e gli alberi che abbiamo piantato lungo il tragitto… ma con uno scopino in mano per cancellare le impronte o, meglio, senza proprio lasciare impronte per non rimanere inutilmente imbrigliati in qualcosa che, pur essendo la nostra radice, paradossalmente non ci appartiene più.

E’ l’anima di quel mondo che dobbiamo saper cogliere; delle cose che ci sono state care, dei luoghi in cui siamo vissuti, delle esperienze che abbiamo condiviso, per far tesoro della struggente bellezza di cui siamo stati nutriti e restare senza fiato nella meraviglia di una continua riscoperta.

Sono questi i sogni di cui possiamo riempirci la testa come un armadio stipato di segrete delizie, lasciando di tanto in tanto che una parola, un’immagine, un odore lo spalanchino e, come dolci melodie, accendano i ricordi che teniamo imbottigliati, compressi, per risospingerli in superficie per un attimo  evanescente ma sufficiente a illuminare la nostra vita.

I giorni della nostra esistenza stanno volando come un alito di vento ed è naturale che i ricordi del passato emergano con sempre maggior prepotenza. E’ quella che io chiamo “la memoria del futuro”, quella che compare con l’avanzare degli anni, quando i neuroni faticano a trattenere il ricordo di ciò che abbiamo appena fatto, ma sono prolifici nel partorire i ricordi del passato. Per evitare che questi ricordi ci paralizzino è però necessario al tempo stesso scoprire quanto è bello ridestarsi per trovare ogni giorno qualcosa di nuovo sotto il sole e sapere che, ovunque e comunque, esiste un cielo per tutti.

Come dice una scrittrice:” Questa è la Nostra Grande Storia” Il segreto delle Grandi Storie, caro amico, è che esse non hanno segreti. Le Grandi Storie sono quelle che  abbiamo già sentito e che vogliamo sentire di nuovo. Quelle in cui possiamo entrare da una parte qualunque e starci comodi. Sappiamo in anticipo come vanno a finire, eppure le seguiamo come se non le sapessimo allo stesso modo in cui sappiamo che un giorno dovremo morire, ma viviamo come se non lo sapessimo. Tuttavia  vogliamo sentirle un’altra volta..

Abbracciandoti con affetto rivolgo a te e a me l’augurio di saper….

“Vedere il mondo in un granello di sabbia

 e il cielo in un fiore di campo tenere l’infinito nel palmo della tua mano

e l’eternità in un’ora”  (William Blake)                  

Con affetto,

Enrico Ballerino

 

(Mai Taclì N. 2-1988)