In una città dove tutte

le strade conducono a Roma 

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    Circola una storiella fra gli asmarini (come amano chiamarsi gli orgogliosi residenti di quella capitale africana) sul loro concittadino che, in visita in Italia, si è detto sorpreso della buona imitazione dell’architettura italiana con quella della sua città.

Naigzy Gebremedhin, un architetto che ha catalogato tutti gli edifici storici della città, sorride nel raccontarmi la suddetta facezia. Nel sorseggiare un caffè macchiato in un bar di Asmara mi dice: “Gli asmarini amano la propria città e pensano che qualsiasi altro posto sia prosaico”. Infatti il classico asmarino è convinto che non vi sia al mondo un luogo come Asmara.

E su questo punto essi hanno ragione. La storia è stata particolarmente crudele con l’Eritrea, che ha sofferto parecchi decenni di occupazione straniera, ma nello stesso tempo è stata anche generosa. Oggi Asmara, la capitale dello stato africano situato lungo il Mar Rosso, si differenzia da tutte le altre città del continente, congestionate e disastrate.

Gli occupanti italiani, che costruirono Asmara negli anni ’30, usarono la città come banco di  prova d’architettura. Audaci esperimenti che in Europa avrebbero potuto essere giudicati troppo avveniristici, furono permessi in quell’avamposto coloniale.

“Gli italiani hanno tentato di esprimere a grandi linee un moderno impero romano su di una lavagna pulita, esattamente come hanno fatto gli inglesi a  Delhi”. E’ questa l’opinione di Gabriel Abraham, un  architetto eritreo che vive a Cambridge, Massachusetts che continua: “Ciò che rimane oggi è una confusione di architetture che però fa di Asmara una delle più rare concentrazioni di modernismo nel mondo”.

Ci vuole immaginazione per capire ed apprezzare gli audaci progetti dell’epoca, ma è chiaro che quei palazzi furono eretti non solo per la loro funzionalità. Vi sono piccole torri, grandi archi, verande Art Deco e, nello spirito del futurismo italiano, riferimenti a treni, aerei e transatlantici. Tutto questo è rimasto intatto sin dalla sua costruzione, avvenuta nella prima metà del 20° secolo.

Qualcuno ha chiamato Asmara la “Miami d’Africa” per i suoi tesori art-deco anche se altri stili architettonici vi sono altrettanto rappresentati; fra questi razionalismo, novecento, neo-classicismo, neo-barocco e monumentalismo.

Un libro sulle meraviglie architettoniche della città (“Asmara: Africa’s Secret Modernist City” di prossima pubblicazione a cura di Merrel) consente di dare un’occhiata, palazzo per palazzo, al luogo che Mussolini sognava sarebbe stato l’inizio del suo impero italiano in Africa orientale. Mr.Gebremedhin, consulente d’architettura che ha scritto il libro unitamente a due colleghi, Edward Denison e Guang Yu Ren, si immerge fra i tesori della sua città e li descrive come se vi passeggiasse.

Come molti eritrei che si sono allontanati durante il lungo periodo di guerra che ha devastato il loro Paese, Mr. Gebremedhin, 69 anni, ha trascorso molto tempo all’estero, ma ora egli è tornato per tentare di aiutare l’Eritrea a vivere in pace.

Nadine Bolle,  professore di storia dell’architettura presso l’università dei Scienza Applicata di Ginevra che ha visitato Asmara anni fa, è rimasto sorpreso nel vedere l’architettura della città e ha dichiarato che al mondo non vi sono molti luoghi ricchi di edifici storici così ben conservati. Ma conservare il passato in un paese annoverato fra i più poveri del mondo è una grossa sfida.

Mr.Gebremedhin è sconvolto dal grande traffico che scorre nei due sensi di marcia, e che include macchine vecchie come i palazzi. Egli ha presentato una mozione contro un edificio chiamato Nakfa House che supera di ben nove piani tutte le costruzioni circostanti.

Secondo il parere di Mr. Gebremedhin quel palazzo, eretto ai primi del 1990, fa scomparire la stazione di servizio Fiat Tagliero, una precedente costruzione in stile futurista, oltre che  impedire la vista della zona a sud . Ma non tutti i mali vengono per nuocere ed è stato proprio quella bruttezza a convincerlo ad impegnarsi a salvare  l’architettura della città.

In generale, le facciate in vecchie pietre e cemento sono relativamente intatte, ma gli interni hanno ricevuto poca o nessuna manutenzione nel corso degli anni, specialmente da parte dei proprietari che hanno abbandonato il Paese. Ora, però, in questo periodo di pace, gli eritrei stanno rimpatriando portando con se non solamente nuove vetture che intasano le strette strade, ma anche nuove richieste di alloggi.

Due anni fa l’amministrazione cittadina ha dichiarato zona storica un’area di un miglio e mezzo quadrato nel cuore della città in cui è vietato fare modifiche alle costruzioni di un certo rilievo storico.

 

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Asmara - Piazza della Banca d’Italia

 

Questa politica di conservazione è raramente applicata in Africa. Però non tutti gli eritrei  hanno apprezzato l’applicazione del vincolo alla loro proprietà poiché temevano che da questo derivasse una limitazione ai loro diritti. Ma il dissenso è stato superato dal profondo spirito comunitario e con la consapevolezza che le proprietà sarebbero aumentate di valore. 

Lo sforzo è stato portato avanti da Mr. Gebremedhin nella sua qualità di responsabile dell’ “Eritrea’s Cultural Assets Rehabilitation Project”. Finanziato dalla Banca Mondiale con 5 milioni di dollari, il progetto mira alla creazione di un catalogo di tutti i tesori storici di Asmara e della loro conservazione.

Normalmente le guerre distruggono la storia, ma non qui. La lunga storia dell’Eritrea è fatta di conflitti che l’hanno isolata dal resto del mondo, e questo ha salvato Asmara. Gli inglesi, che tolsero agli italiani il controllo dell’Eritrea durante la seconda guerra mondiale, fecero poco per modificare il luogo. La cosa più rilevante fu di eliminare alcuni dei più appariscenti tributi architettonici a Mussolini.

Il controllo dell’Etiopia sull’Eritrea è durato dal 1962 al 1991, ma anch’essa apportò pochi cambiamenti. La città di Asmara fu lasciata languire in quanto l’Etiopia, durante quei 30 anni, ha dovuto affrontare i ribelli eritrei che si battevano per l’indipendenza, ottenuta dopo una estenuante campagna militare svoltasi in un territorio aspro. Ma il sogno di poter tornare un giorno ad Asmara era troppo forte. Nel 1991, dopo la caduta del regime militare in Etiopia, quel sogno è diventato realtà. La nuova nazione dell’Eritrea, creata ufficialmente nel 1993, si ritrovò con una capitale malconcia ma in piedi. Ma la pace non è durata a lungo. Nel 1998 una scaramuccia avvenuta alla frontiera con l’Etiopia e durata due anni  ha provocato decine di migliaia di morti, nonché lo sconvolgimento dell’economia del Paese. La capitale eritrea è stata ulteriormente esposta ad un  ciclone ma è rimasta ancora illesa.

Asmara era stata destinata ad essere una continuazione dello stile di vita italiana degli anni ‘30. I larghi viali favorivano la passeggiata o l’ozio pomeridiano. I caffè lungo i marciapiedi ed i cinema riccamente decorati erano luoghi di passatempo.

Nonostante le difficoltà dell’Eritrea, quello stile di vita sussiste ancora. Gli eritrei, più che qualsiasi altro africano, apprezzano le passeggiate oziose. Essi affollano il vecchio viale Mussolini (ora chiamato Harnet avenue, cioè viale Indipendenza) camminando lentamente e senza nessuna meta apparente. Nel loro bighellonare, essi si imbattono in imponenti esempi di architettura, come il teatro Asmara con i suoi ornamenti romanici e rinascimentali, costruito su di una piccola altura e incorniciato da palme. Anche se seriamente bisognoso di riparazioni, come molte altre costruzioni, il teatro conserva nella parte alta un affresco Art Nouveau che mostra otto fanciulle danzanti.

Sul lato opposto si trova il vecchio palazzo Falletta, che, come gli altri palazzi stile novecento, possiede la tipica linea classico-moderna che ha caratterizzato le costruzioni italiane fra le due grandi guerre. La struttura, destinata ad appartamenti abitativi, è stata eretta nel 1937 e progettata in una moderna versione di un castello medioevale, con torri angolari costruite attorno ad un cortile.    

Lo stesso viale Mussolini è stato costruito per ospitare le parate, sufficientemente ampio per poter contenere le masse degli italiani di fede. La vecchia sede del partito fascista si erge ad un angolo del viale, un tributo in mattoni e calce al supremo leader; esso ospita oggi il ministero dell’Educazione.

L’austero palazzo, la cui altezza doveva conferirgli un’autorità smisurata,  non è mai stato terminato in quanto nel 1941, quando le truppe alleate hanno occupato la città, la costruzione era ancora incompleta.

Il lato negativo dell’occupazione italiana di Asmara è ancora oggi evidente nei ghetti abitati dalla popolazione locale. Nessuna costruzione importante della città è stata destinata agli eritrei. Gli italiani avevano pianificato una duratura presenza e nella progettazione della edilizia  si evidenziava chiaramente il loro disdegno per coloro che chiamavano “nativi”.

I quartieri poveri esistono tuttora e coloro che vi vivono si sentono tagliati fuori dalla città vera e propria, oggi abitata dagli eritrei più abbienti.

Ahmed, uno studente universitario che abita una casupola di legno con tetto di lamiera che egli chiama “casa”, dice di sentirsi come se la città fosse un museo. Non ha voluto dare il suo nome per intero poiché teme l’intolleranza del governo verso ogni forma di dissenso.

L’Eritrea non ha voluto seguire la strada percorsa dagli altri Paesi africani, che hanno cercato di distruggere i ricordi del loro passato coloniale. Forse anche per aver sofferto fortemente l’occupazione etiopica, molti vecchi eritrei ricordano con nostalgia i tempi degli italiani.

Molte tracce dell’occupazione etiopica sono state cancellate, mentre perdurano le memorie del periodo italiano. Il bar Crispi, che ha preso il nome dal ministro degli esteri italiano fondatore della colonia, serve tuttora un vino italiano. Una targa nella cattedrale ortodossa indica che essa fu costruita nell’anno 1938, XVI° anno secondo il calendario di Mussolini che ha inzio dalla sua ascesa al potere nel 1922.

Dichiara Tesfai Menghistù, un funzionario in pensione nato nel 1937, cioè nel pieno boom dell’edilizia. “Questa è la nostra città; sarà anche un progetto italiano, ma è stato il nostro sangue ed il nostro sudore a costruirla. Io non la sento straniera. Potrà sembrare una città italiana, ma essa è eritrea”.

Oggi Asmara si sente come presa in uno strano miscuglio di passato, presente e futuro.  Il cinema Impero è stato costruito nel 1937 e decorato accuratamente con sculture e basso-rilievi; la  vecchia sala di proiezione e le pellicole avvolte sulle “pizze” già da tempo sono state  sostituite da un moderno proiettore DVD.

La vecchia stazione di rifornimento Fiat, costruita nel 1938 su disegno di Giuseppe Pettazzi, è ora in fase di ristrutturazione, circondata da costruzioni quasi a formare uno steccato.

Richiamandosi ad uno stile futurista, il signor Pettazzi ha anche progettato le due ali in cemento armato che hanno un’apertura di 97 piedi. Secondo una leggenda locale, le autorità del tempo non avevano fiducia nei calcoli del progettista, ragione per cui gli chiesero di mettere dei sostegni sotto le ali. Ma il signor Pettazzi installò dei pilastri smontabili costringendo poi gli operai  a rimuoverli in occasione dell’inaugurazione. Dopo 60 anni, le ali (tuttora senza sostegni) sono lì al loro posto. Presto la struttura ospiterà una discoteca.

La sede precedente della Banca d’Eritrea, una delle prime costruzioni in stile moderno, è sfuggito alla sua demolizione nel 1990, quando i responsabili dell’edilizia cittadina iniziarono un tentativo di abbellimento della capitale. Conosciuta in precedenza come Caserma Mussolini, essa era stata recentemente utilizzata come prigione e gli eritrei che vi erano stati imprigionati hanno voluto la sua conservazione per ricordare i difficili giorni del dominio straniero. Ma non tutti erano d’accordo. Per Mesghinà Almedom, 78 anni, un maestro di scuola  pensionato e già membro del parlamento eritreo, l’ex prigione conservava troppi cattivi ricordi e secondo lui avrebbe dovuto essere abbattuta.

Per quanto concerne gli altri vecchi edifici eretti dagli italiani, per Mr. Almedon  essi non rappresentano il retaggio dell’Eritrea, ma sono cose buone ed utili lasciate dagli italiani  e non debbono essere abbattuti in quanto non si deve rinnegare il passato.

Marc Lacey

 

(traduzione di Sergio Bono)     

Articolo pubblicato dal New York Times nel settembre 2003.

(titolo originale: “In an African city, all roads lead to Rome”)

 (Mai Taclì N. 2-2002)

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