Dolce Asmara

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E’ uscito sul quotidiano “La Stampa” un articolo di Domenico Quirico, il bravo autore di “Squadrone Bianco”, intitolato “Dolce Asmara: l’Africa decò firmata Italia”.

Vi si parla anche della mostra che si è tenuta a Roma, una mostra che finalmente onora i soldati eritrei che si batterono con i nostri in Africa, senza mai tirarsi indietro: sono state esposte divise, armi, cartoline reggimentali, fotografie inedite che illustrano le imprese eroiche degli ascari arruolati dagli italiani, che hanno accompagnato mezzo secolo del nostro colonialismo.

Quanti di quegli uomini “quelli dei 60 chilometri al giorno a piedi nudi” saranno ancora in vita?

Soldati dimenticati, poco ricordati dalle cronache e dai rapporti militari. Eppure il loro attaccamento al “reggimento” era proverbiale. Queste gesta sono degne della nostra memoria.

Gli ascari che entrarono in Asmara con gli italiani di Baldissera, lasciandosi alle spalle le calure del bassopiano, trovarono solo le poche capanne di paglia e fango di Ras Alula e non avrebbero mai immaginato che Asmara sarebbe diventata quella di oggi. Asmara è l’unica città del mondo rimasta in stile decò. Dal ’35 al ’38 Asmara fu un grande cantiere dove gli architetti si fecero ispirare dalla magia della luce africana. Quante emozioni in questa piccola città! Nemmeno la guerra con l’Etiopia è riuscita ad incrinarne il fascino. In quel periodo la città passò da 4000 a 50.000 abitanti.

Asmara ha ancora bellissimi palazzi in art decò. Lo scrittore ricorda la Moschea che Guido Ferraso costruì nel 1936, il Teatro fastoso, vagamente rinascimentale con volta affrescata, naturalmente in stile liberty da Saverio Fresa, la Sinagoga che risale all’inizio del secolo dove fa bella mostra di sé uno splendido cancello in ferro battuto con preziosi motivi ebraici.

Asmara, dolce Asmara: tutti custodiamo nel cuore un luogo del passato, un luogo che non abbiamo la forza di dimenticare, ma neppure il coraggio di tornare a vedere, nel timore di scoprirlo diverso da com’era o da come ci pare di ricordare che fosse.

So che molti tornano ad Asmara per dare un’occhiata; qualcuno, come me, preferisce rimanere con una fotografia sulle ginocchia ed una lacrima negli occhi.

 

Silva Tosi

(Mai Taclì N. 1-2005)